Ho avuto il piacere di poter collaborare con il pittore e incisore Vincenzo Piazza, il quale ha illustrato con alcune sue incisioni un mio racconto fantastico di genere noir: Villa e giardino in vendita. Tea C. Blanc / Vincenzo Piazza: Villa e giardino e in vendita (Edizioni Dell’Angelo, 2018) Nel repertorio digitale dell’incisione italiana Bagnacavallo vengono menzionate le maggiori attività artistiche di Vincenzo Piazza, tra cui la collaborazione con diversi editori per il corredo iconografico di edizioni d’arte, nonché di ex libris (di questi ultimi ne avevo tracciato una storia sommaria qui e ne avevo parlato in altre occasioni in merito alla ex libristica contemporanea). Ma basta digitare il suo nome in un qualsiasi motore di ricerca per scoprire quanto sia variegata e diffusa la sua opera. Vincenzo Piazza: Ex libris per Nicola Arnoldo Manfredi, 1997. Acquaforte (Collezione Frederikshavn Art Museum) Vincenzo Piazza: Ex libris per Cristiano Beccaletto: Omaggio a Ennio Flaiano, 2010. Acquaforte (Collezione Frederikshavn Art Museum) Nell’immagine di seguito un esempio di elegante libro d’artista a tiratura limitata di 60 esemplari: Libro n. 6 (collana “I Diamantini”; Il Girasole edizioni, 2011). Si tratta di una pubblicazione in cui i versi della poetessa siracusana Elena Salibra, tradotti anche in tedesco, confluiscono nell’immaginario di Vincenzo Piazza attraverso un’incisione che addirittura fuoriesce dal suo campo inciso per essere vergata in rilievo sulla carta. Elena Salibra / Vincenzo Piazza: Libro n. 6 (I Diamantini). Il Girasole edizioni, 2011 Elena Salibra / Vincenzo Piazza: Libro n. 6 (I Diamantini). Il Girasole edizioni, 2011. Incisione interna Dal volume L’ultimo libro (Mavida, 2007) di Silvia Giuberti, collaboratrice per le pagine culturali on-line di Il Sole 24 ore, di seguito un paio di incisioni di Vincenzo Piazza che lo illustrano. L’opera, oltre che in tiratura limitata, è stata pubblicata anche in riproduzione. Le immagini illustrano la versione originale e firmata dall’incisore. Silvia Giuberti / Vincenzo Piazza: L’ultimo libro (Mavida, 2007) Silvia Giuberti / Vincenzo Piazza: L’ultimo libro (Mavida, 2007). Incisione interna Silvia Giuberti / Vincenzo Piazza: L’ultimo libro (Mavida, 2007). Incisione interna Alcune incisioni… Vincenzo Piazza: La porta dei sogni Vincenzo Piazza: Folate ottobrine Vincenzo Piazza: da “Rime” … e una monografia sui paesaggi mediterranei ad opera di Vincenzo Piazza, con testo introduttivo di Alberto Randisi che tra poco vedremo chi è. Alberto Randisi: “Vincenzo Piazza, Paesaggi mediterranei” (Lorenzo Misuraca editore, 1999) Ma torniamo a Villa e giardino e in vendita. Il racconto è illustrato con le incisioni originali, e questo ne fa una edizione d’arte. Esiste infatti una microeditoria di pregio dedicata alla produzione di opere dall’elegante fattura artigianale che investe componenti di ordine artistico, culturale ed anche economico, perché questo tipo particolare di edizioni presenta una tiratura limitata e numerata. Limitata dal momento che un’incisione non può essere mandata in torchio all’infinito, la lastra si consuma ad ogni impressione e ad ogni impressione perde di rilievo. Questo in particolare per le incisioni su lastra metallica, come per esempio acqueforti, acquetinte, puntesecche. La nostra plaquette è stata pubblicata da Edizioni Dell’Angelo, la casa editrice condotta da Alberto Randisi, nota per le sue collane di edizioni d’arte in cui figurano valenti artisti illustratori e testi sia di prosa che di poesia. Il racconto Villa e giardino e in vendita figura nella collana “Fuori collana” ed è stato pubblicato alla fine del 2018. È stato illustrato con tre acqueforti di Vincenzo Piazza, stampate su carta Rosaspina, in tiratura limitata di 33 esemplari firmati e numerati con cifre arabe. Qui è possibile vedere l’intera plaquette con le incisioni in buona risoluzione, ma per chi non voglia cavarsi gli occhi per leggere riporto di seguito l’intero racconto, con l’intenzione di fare cosa gradita perché, oltre al fatto che la plaquette risulta essere di esigua disponibilità, i suoi costi non sono come si suol dire “popolari”. Villa e giardino in vendita “Il vento porta il Chi e l’acqua lo trattiene”. Questo è il significato letterale dell’antica arte geomantica del Feng Shui Uscendo dalla porta d’ingresso principale alzai gli occhi verso la notte stellata. Il vento l’aveva resa cristallina come poche volte mi era capitato di vedere. Tornai a guardare meglio il Carro Maggiore. Si vedevano galleggiare al suo interno miriadi di stelle e non c’era un tratto del cielo che non fosse un occhio luminoso. Fumai una, due, tre sigarette, pensando a come organizzare l’indomani. Le cose stavano cominciando ad andare meglio. Avevo sempre quella sensazione di colla intorno a me, è vero, di una impalpabile immobilità che mi faceva percepire ogni idea, i progetti, qualsiasi movimento, come se fossero contrastati da una forza invisibile e potente. Al punto tale da impedirmi di uscire o prendere l’auto, per esempio, qualche volta addirittura di varcare la porta di casa, quasi fossi pietrificata. Spesso, solo a giornata finita mi accorgevo di non aver concluso nulla. E non riuscivo a capire come fossero trascorse tante ore con l’impressione di aver fatto quando, a ben guardare, non avevo portato a termine niente di quello che mi ero prefissata. Eppure ogni mattina mi alzavo con la determinazione di far sì che la nuova giornata sarebbe stata diversa da quella precedente. Da ogni precedente giornata. Sono trascorsi sei anni dalla sua partenza. Ho negli occhi il ricordo dell’ultimo istante in cui ci guardammo. Intorno a noi la folla dell’aeroporto correva, sostava, riprendeva a marciare come elettroni sollecitati e impazziti. Noi, fermi come sta fermo l’occhio del ciclone, davanti al cancello che ci avrebbe separati unimmo in un abbraccio i nostri capelli, testa contro testa, e un sorriso umido di emozioni mascherate salì sulle nostre labbra controllando lo stupore del distacco. Fu quello il segnale del consenso. Ci demmo le spalle, l’uno a dirigersi verso un’entrata, l’altra verso un’uscita, per tacito accordo senza voltarci. In fondo sarebbe stata una lontananza di solo un anno. Passarono sei mesi, ci sentivamo attraverso la Rete, passò un anno, lui rimandò il ritorno, non mi fu ben chiaro il motivo, tergiversava, qualche mese dopo finalmente mi disse che sarebbe tornato, sembrava felice. Me lo riportarono dentro una cassa di legno, irriconoscibile. Era l’unico figlio, lo piansi da sola. Ieri sera guardavo la notte stellata e mi dicevo che le cose vanno meglio, nonostante tutto. È vero che a volte ho ancora una sensazione di colla nelle ossa, come quando faccio per prendere le chiavi dell’auto e resto minuti interi a guardarle mentre rifletto se abbia dimenticato qualcosa prima di poter finalmente uscire. Di solito mi riscuoto e mi accorgo con sorpresa che l’orario di chiusura dei negozi è già partito. Ripongo le chiavi con un sospiro, ma so perfettamente, mi dico, che il giorno dopo non ripeterò lo stesso errore. Devo solo fare più attenzione. Del resto ora succede sempre meno e quando mi sale l’ansia, guardando l’orologio che tira dritto per la sua strada, quel tremore che mi attanaglia sentendo il tempo volare via scompare quasi subito. Sto imparando a controllarlo. Di nuovo c’è che, un giorno di qualche settimana fa, è arrivata a trovarmi la mia bella sorella e non se ne è più andata. Ci teniamo compagnia. Non so esattamente quale sia il meccanismo, ma capita di ritrovarci la sera in cucina a chiederci che cosa abbiamo fatto durante la giornata. Perlomeno, io me lo chiedo. Lei non so, è strana e silenziosa, le invidio questa accettazione del tempo che passa come se non passasse. Io invece sono piena di progetti e idee, attacco quadri, riordino, faccio acquisti al computer, organizzo le uscite e la lista di quello che manca. Lei si alza, fa colazione, fuma, legge, mangia, finché si fa cena e torna a leggere. Sempre lo stesso libro. La primavera sta tornando. Sono spuntati i crochi! La settimana scorsa ho visto in fondo al giardino, a ridosso del cancello, un cartello bianco che non avevo mai visto prima: dopo andrò a leggere quello che c’è scritto. Ora, però, devo dare un’occhiata all’agenda. Ci sono tante cose da fare e spesso dimentico quelle più importanti. Devo metterci più attenzione. Senza contare che, quando guardo nel frigo, trovo sempre tutto a posto e anche più del necessario. Non sarà che la spesa l’abbia fatta lei e non mi abbia detto niente? Che strano… Oggi, alla canicola, guardavo i muri esterni e mi dicevo che hanno il bisogno urgente di una ritoccata. Danno quasi l’idea di una casa abbandonata. Non voglio che al suo ritorno trovi la villa a pezzi. Per quest’estate possono tenere ancora, ma l’anno prossimo dovranno essere rifatti, magari di un verde leggero così che i muri si confondano nel giardino. E anche un giardiniere ci vorrà: il giardino ha un’aria disordinata e gli alberi da frutto devono essere potati. Sono convinta che lui tornerà, prima o poi. Che quel corpo in quella cassa non fosse il suo. L’inverno è quasi alle porte. Oggi, mentre sistemavo la legnaia, un pensiero mi ha colpito come uno schiaffo: non è tanto il fatto che sia rimasta di nuovo sola perché mia sorella ha deciso di andarsene, quanto di essermi resa conto che io non ho mai avuto una sorella. Lei, chi era? Ah, mi sono ricordata di quel cartello bianco in fondo al giardino che mi ero ripromessa di andare a leggere, e non l’ho ancora fatto. A volte dovrei essere più curiosa. Oggi ci vado. Che strano… vedo gente proprio laggiù davanti al cancello. Ne è passato di tempo dall’ultima volta in cui ho ricevuto visite. * * * Una luce esplosiva fu quello che vidi per la prima volta. I polmoni bruciavano come braci nel petto. Feci per alzarmi, ma una mano gentile e ferma mi tenne giù e sentii una voce maschile formulare parole che all’inizio non comprendevo: «Stia calma. Vera, mi sente? Lei sta uscendo da un coma durato più di un anno… Va tutto bene, ora… Deve solo stare tranquilla…». Sei mesi dopo, e dopo pianti feroci, ero tornata quella di prima dell’incidente. Non avevo più famiglia, tutti morti in un giorno di vacanza da cui ne sarebbe uscita un’unica sopravvissuta. Io. Impensabile abitare dove tutto mi ricordava chi avevo perso. Quel mattino stavo finendo di litigare con l’uomo dell’agenzia: si ostinava a propormi quello che voleva lui, ma io insistevo per la villa che avevo visto nel dépliant. Lui rimbeccava che sì, costava poco e nulla per quello che era, ma che non fosse adatta a me. Però non riuscivo a tirargli fuori il motivo. Alla fine l’avevo vinta io e ci eravamo dati appuntamento per fare un sopralluogo. Imboccammo una stradina di campagna e vidi la casa spuntare solo quando fummo all’ultima curva della collina: sì, i muri erano scrostati e ammuffiti, gli infissi avevano il bisogno urgente di una riverniciata, il giardino era in uno stato pietoso, ma l’interno era semplicemente splendido per quello che avevo potuto vedere nelle foto. La volevo. Arrivati al cancello lo sguardo mi andò a un vecchio cartello bianco all’ingresso, e quando feci per leggerlo mi prese un senso di colla, di tempo che passa senza ricordare come, la netta sensazione di non riuscire a fare un passo successivo a quello precedente. L’uomo della agenzia continuava a parlare senza sosta. Le sue parole incalzavano fastidiose mentre scorrevo le lettere cancellate dalla pioggia e dal vento, dal gelo e dal sole: “VI LA E GIA DI O IN EN IT” e alcune lettere risaltavano più di altre quasi fossero state ripassate tempo dopo. Diceva che «… la proprietaria è stata trovata morta… e la cosa più curiosa è che anche il proprietario successivo è stato trovato morto, per lo stesso motivo… non vuole sapere qual era il motivo?.. fame, morti per fame!.. eppure avevano la dispensa piena…», e alla fine cominciai a ricordare. «Può aprirmi il cancello, per favore? Facciamo che lei ritorna qui fra un’ora a riprendermi e io comincio a dare un’occhiata al giardino» interruppi il venditore, e quel per favore risuonò più un ordine perentorio che una richiesta. L’uomo mi guardò a bocca aperta, indeciso, ma mi porse l’intero mazzo. Lasciai che la sua auto partisse e girai la chiave nella toppa del cancello arrugginito. Girò. Alzai lo sguardo verso il portone di entrata seminascosto dal portico. La vidi, sembrava un’ombra mentre agitava la mano in segno di saluto. Era lei. Mi incamminai salendo per il vialetto, conscia di avere un’unica possibilità, quella di essere impeccabile. E di colpo seppi quello che dovevo fare. C’era un libro a me caro, lasciato sul comodino per tutto il tempo in cui ero rimasta in coma, un libro bianco ancora da scrivere. Qualcuno, forse un’infermiera pietosa, lo aveva trovato nei miei effetti personali recuperati dai rottami metallici da cui ero stata estratta. Non me ne separavo mai. Lo estrassi dalla borsa, entrai con lei festosa dentro casa, presi una penna che stava sullo scrittoio che conoscevo bene e scrissi sulle sue pagine: “Amica cara, quello che sto per dirti forse non ti piacerà, ma ti libererà dall’ossessione del tempo. Tutto questo che vedi, che senti, è solo un’illusione, non esiste se non nei tuoi ricordi. Vai dove devi andare, lascia che la tua via riprenda. Tu sei morta!” Le mostrai il libro e mi voltai a guardarla. Seguii i suoi occhi leggere e, al primo improvviso stupore che il suo viso diede, allo sguardo incredulo che poi mi rivolse, a un gesto che comprese il tutto l’universo il niente, seguì un sorriso. Una lacrima di liberazione. Come una serie di fotogrammi in sequenza rallentata la vidi sbocciare, solcare piano il volto tremante e scendere, quasi immobile e quieta, a raggiungere l’estremo confine. Ne sentii lo schianto a terra, mentre la sua bocca disegnata in un grazie si dissolveva insieme al resto della sua ombra. Comprai la villa. C’è un minuscolo e indelebile alone chiaro sul pavimento della biblioteca, a volte risplende di luce propria, quando cessa il vento e la notte è stellata e tersa. (Questo racconto è World © di Tea C. Blanc. All rights reserved. Le immagini sono World © di Vincenzo Piazza. All rights reserved.) Navigazione articoli GENNARO LANZO IL GRAFITISTA – ART POP! I SEGRETI PER RIUSCIRE A NON PUBBLICARE UN LIBRO
“Uscendo dalla porta d’ingresso principale alzai gli occhi verso la notte stellata. Il vento l’aveva resa cristallina come poche volte mi era capitato di vedere. Tornai a guardare meglio il Carro Maggiore. Si vedevano galleggiare al suo interno miriadi di stelle e non c’era un tratto del cielo che non fosse un occhio luminoso”. Mi ha procurato un brivido. Mi sono riletto. Il racconto abbandona poi la notte stellata, per addentrarsi nei meandri di una oscurità più angusta. Fantastica e avvincente. Come solo possono essere gli incubi della mente umana. Incubi? Forse sogni. Comunque il disperato tentativo di cerare percorsi e mondi alternativi. Di sfuggire alle logiche opprimenti della Mente di Dio. Rispondi