Il 17 marzo del 1229 lo “Stupor Mundi” stupì per davvero l’Occidente cristiano entrando trionfalmente in Gerusalemme a capo delle sue truppe senza colpo ferire, al termine di quella che fu la VI Crociata. Come l’Imperatore Federico II vi sia riuscito, è un capolavoro di diplomazia e scaltrezza. Non è un segreto infatti che Federico nutrisse ammirazione nei confronti dei califfi islamici che, a differenza sua, avevano risolto il problema del dualismo fra potere temporale e spirituale accentrando entrambi nelle proprie mani. Lui invece aveva trascorso tutta la vita a dover mediare col contro-potere costituito dal Papato. Pertanto a Federico, che i nemici avevano soprannominato “il Sultano battezzato”, ripugnava l’idea d’entrare in guerra contro Al Kamil che governava sulla Palestina di quei tempi. Messo alle strette nel 1227 da papa Gregorio IX, dopo aver temporeggiato a lungo prima d’adempiere all’impegno assunto col suo predecessore d’indire una nuova Crociata, Federico si esibì in una “falsa partenza” quando, dopo aver radunato al porto di Brindisi navi e soldati, rinunziò all’impresa adducendo come scusa lo scoppio di un’epidemia di tifo. Quando il pontefice lo scomunicò, lui strinse relazioni diplomatiche proprio con Al Kamil, al quale avrebbe dovuto dichiarare guerra, sapendo che quest’ultimo si trovava invischiato in una disputa di carattere familiare col fratello Al Mu’azzam, sultano di Damasco. I colloqui sfociarono in un patto che prevedeva la restituzione del Regno di Gerusalemme a Federico, in cambio del suo aiuto contro Al Mu’azzan. Con l’accordo in tasca, Federico salpò da Brindisi alla volta della Terrasanta nel 1228, ma quando vi arrivò scoprì che nel frattempo Al Mu’azzan era deceduto, così mettendo in imbarazzo Al Kamil, che non aveva più bisogno dell’ingombrante alleato crociato. Federico iniziò così a tempestarlo di messaggi, alternando blandizie a minacce, per piegarne la resistenza psicologica. Infine Al Kamil cedette e, dopo la firma di un nuovo trattato che ne prevedeva la cessione per dieci anni, dieci settimane e dieci giorni, restituì a Federico una Gerusalemme in condizioni pietose, con le mura abbattute, semi-disabitata e diroccata. Se l’imperatore poté annunciare al mondo di avere ripreso il controllo dei luoghi più santi della Cristianità, l’imbarazzo del Papa fu grande. Dopo aver a fatica digerito lo smacco, attese più di un anno prima di revocare la scomunica, dovendo infine lodare come “amato figlio della Chiesa” colui che poco prima aveva definito «discepolo di Maometto». Accompagna questo scritto “Federico II incontra il Sultano Al-Kamil alle porte di Gerusalemme”, miniatura del XIII secolo, Biblioteca Apostolica Vaticana. Navigazione articoli MILANO 1848, LE MILIZIANE A CACCIA DI MASCHI JONATHAN STRANGE & IL SIGNOR NORRELL