Non so come, non so quando, non so né il perché né il percome, ma so, senza ombra di dubbio alcuno, che Alessandro Manzoni, dipingendo la losca figura di quel gaglioffo di Egidio, si sia ispirato ai pensieri e ai costumi di quei perfidi libertini resi celebri nel tardo settecento dalla penna inquieta di Donatien Alphonse Francoise de Sade, noto semplicemente come il Marchese de Sade.

Così come nella biblioteca di Dante trovavano posto le Metamorfosi di Ovidio e l’Eneide di Virgilio, a cui il Vate spesso faceva rimando nelle terzine della sua Commedia, in quella di Manzoni, nascoste dietro a qualche volume al fine di non essere agevolmente individuate da occhi indiscreti, trovavano posto quelle opere che avevano, allora come ora, spaventato il mondo.

Si analizzi la sintetica ed efficace descrizione dell’amante della monaca di Monza, Egidio, illustrato ai lettori nella sua cruda essenza: Quel lato del monastero era contiguo a una casa abitata da un giovine, scellerato di professione, uno dè tanti che, in què tempi, e co’ loro sgherri, e con l’alleanze d’altri scellerati, potevano, fino ad un certo segno, ridersi della forza pubblica e delle leggi”.

E ancora, sempre dipingendo il ritratto dell’amante della monaca Geltrude.

(…) allettato anziché atterrito dai pericoli e dall’empietà dell’impresa, un giorno osò rivolgerle il discorso”.

In Egidio c’è tutto, o se si preferisce, non manca nulla, del perfetto libertino sadiano.

C’è l’essere uno scellerato, che di tale scelleratezza fa pure professione e vanto, c’è il cercare man forte nel sodalizio con altri soggetti della stessa indole (l’alleanza d’altri scellerati), c’è il disprezzo della legge, vista come intollerabile barriera da vincere, c’è l’attrazione per il pericolo nelle imprese, che anzichè atterrire, invoglia, c’è l’empietà dei gesti, che anzichè far desistere, rafforza il proposito, rendendolo irrinunciabile.

C’è tutto de Sade nel furfante di Monza che impudentemente ha rivolto la parola alla sventurata.

Come non ritrovare, nella descrizione di Egidio, alcuni personaggi di de Sade. L’intemperanza del giovane scapestrato Bressac, macchiatosi nei confronti della madre del più spaventoso dei crimini, o di Monsieur De Bandole, ateo e indomito scellerato, pronto a compiere atti indicibili per soddisfare le sue malsane pulsioni, o ancora del dissoluto D’Esterval, in grado di perpetrare orrendi delitti senza covare il benchè minimo rimorso. O ancora il perfido Verneuil, profeta del piacere terreno che, a suo dire, era solo alla portata di chi, per gustarlo appieno, fosse stato in grado di allentare ogni freno per abbandonarsi agli eccessi più estremi e inverecondi.

Le opere del Divin Marchese, già in circolazione verso la fine del 700 (le tre successive versioni de La nuova Justine, ovvero le sciagure della virtù, sono rispettivamente del 1787, del 1791 e del 1799), nonostante la censura e i sequestri, erano comunque disponibili per gli intellettuali dell’epoca, per i quali non era poi così difficile riuscire a procurarsele.

Alessandro Manzoni iniziò a dedicarsi alla scrittura di un romanzo storico a partire dall’autunno del 1821, ma la stesura vera e propria del Fermo e Lucia iniziò nella primavera di quello stesso anno, dopo aver letto l’Ivanhoe di Scott tradotto in francese, ed è risaputo che l’autore conoscesse quella lingua.

Nella quiete della sua villa di Brusuglio, Manzoni iniziò a scrivere il suo romanzo dopo aver quindi iniziato la lettura dei romanzi europei, specialmente inglesi, in quanto la letteratura italiana si era concentrata su altre tipologie di generi in prosa.

Troppe le similitudini, le circostanze coincidenti e la somiglianza dei termini utilizzati per descrivere la persona, ma soprattutto il pensiero, di Egidio, per non pensare come lo scrittore milanese, nel concepirlo, non si fosse ispirato ai perfidi dissoluti delle avventure sadiane.

 

Di Marco Faccioli

Marco Faccioli. Laureatosi in giurisprudenza all'università degli studi di Torino con tesi in materia giuridico-economica, dopo aver svolto l'attività di giornalista ed aver prestato servizio come ufficiale nell'Esercito Italiano, si è dedicato unicamente alla libera professione di avvocato. Membro del network giuridico Cendon & Partners, attualmente con studio in Torino, Vercelli e Strambino, si occupa di diritto civile e societario, nonché de diritto di internet e delle nuove tecnologie. Ha pubblicato, per i principali editori giuridici italiani, saggi sull'utilizzo degenerativo della Rete, sulle insidie per i minori nei social network e nel deep web, e sul fenomeno della pedopornografia on line, argomenti sui quali ha tenuto anche pubbliche conferenze e numerose video-interviste.

2 pensiero su “MANZONI ISPIRATO DA DE SADE”
  1. Prima di De Sade, c’era un altro famoso libertino: Don Juan Tenorio detto El burlador de Sevilla. Protagonista di una commedia di Tirso de Molina (drammaturgo ma anche monaco e priore). L’epoca è il 1630, il che fa capire quale fosse la complicità sessuale tra i nobili e gli ecclesiastici nell’epoca dei promessi Sposi. La vicenda di Don Giovanni avrà un gran successo; tra il secolo XVII e quello seguente verranno scritte almeno sette opere ispirate a lui, comprese quelle di Moliére e di Mozart. De Sade quindi non inventa il libertinaggio, caso mai lo esaspera, e Manzoni non aveva bisogno del francese per descrivere il nobile seduttore di monache, lombardo ma suddito del re di Spagna come Juan Tenorio..

  2. In un’epoca in cui ci atteggiamo tutti a scrittori di successo, trovare qualcuno che indossi i più modesti panni di critico letterario ci fa bene al cuore.
    E’ quanto fa l’ottimo Faccioli negli interventi del 20 e 30 aprile.
    Nel primo egli ci propone una sua personalissima ipotesi circa le fonti che avrebbero ispirato il Manzoni nel creare la figura di Egidio, amante di Gertrude e sequestratore di Lucia: si tratterebbe dei romanzi del marchese De Sade e relativi personaggi.
    Nel secondo, che farà oggetto di un prossimo commento, Faccioli sostiene che nel suo racconto L’uomo della folla, Poe avrebbe “perfettamente e totalmente profetizzato l’avvento delle piattaforme social”.
    In entrambi i casi si tratta di ipotesi di lavoro di indiscutibile fascino, che meritano la massima attenzione e che rivelano in chi le formula vivacità intellettuale e apprezzabile, e coraggioso, entusiasmo esegetico.
    Secondo la definizione che ne dà lo studioso di letteratura italiana Giovanni Getto, con riferimento ai suoi scritti dedicati al Tasso, “entusiasmo esegetico equivale a un forte coinvolgimento, interesse o passione per l’esegesi, cioè l’interpretazione e lo studio critico di un testo, in particolare religioso o letterario. È una sorta di fervore nello svelare i significati nascosti o le sfumature di un testo.
    In parole più semplici, si può dire che l’entusiasmo esegetico è la passione che spinge qualcuno a dedicarsi con impegno all’analisi e alla comprensione di un testo, cercando di decifrare i suoi messaggi e le sue implicazioni”.
    Ora all’ottimo Faccioli sicuramente l’entusiasmo non manca. Anzi.
    Iniziamo dalla monaca di Monza.
    L’incipit del trafiletto così recita: “Non so come, non so quando, non so né il perché né il percome, ma so, senza ombra di dubbio alcuno, che Alessandro Manzoni, dipingendo la losca figura di quel gaglioffo di Egidio, si sia ispirato ai pensieri e ai costumi di quei perfidi libertini resi celebri nel tardo settecento dalla penna inquieta di Donatien Alphonse Francoise de Sade, noto semplicemente come il Marchese de Sade”.
    Dobbiamo riconoscere grande onestà intellettuale al nostro nel momento in cui ammette, apertis verbis, di non possedere uno straccio di prova a sostegno della sua tesi. Confessa infatti che la sua è fiducia cieca e irrazionale, una intuizione quasi sciamanica, un credo quia absurdum. Sembra dire: io non ho nessuna prova, nessun indizio, non il minimo riscontro, però voi dovete credermi perché la mia intima convinzione vale più di qualunque argomento filologico, storico e compagnia bella.
    Faccioli avrebbe potuto fermarsi qui. E forse sarebbe stata una decisione saggia in quanto gli avrebbe evitato quei voli pindarici durante i quali, come sa bene Icaro, si corre il rischio di lasciarci le penne.
    Ma evidentemente l’idea che il nostro massimo scrittore, incarnazione vivente della sensibilità cattolica e del politically correct, che scrive un romanzo dove anche i personaggi più cattivi alla fine si redimono e finiscono nelle braccia di Dio, dove la trasgressione di Gertrude viene evocata con lodevole cristiano pudore (che non sia mai che qualche lettore venga turbato!!) possa avere avuto tra i suoi ispiratori il più accanitamente pornografico scrittore di tutti i tempi e di tutte le letterature mondiali evidentemente è troppo allettante per non provare a imbastire un qualche simulacro di argomento a sostegno.
    Mettiamo a confronto Manzoni e De Sade e la tesi del pur ottimo Faccioli rivelerà per intero la sua simpatica inconsistenza.
    Manzoni:
    “ Costui, da una sua finestrina che dominava un cortiletto di quel quartiere, avendo veduta Gertrude qualche volta passare o girandolar lì, per ozio, allettato anzi che atterrito dai pericoli e dall’empietà dell’impresa, un giorno osò rivolgerle il discorso. La sventurata rispose”.

    De Sade:
    “Compagne mie, scopate, siete nate per scopare! La natura vi ha create per essere scopate. Lasciate dire agli sciocchi, ai pudibondi e agli ipocriti; hanno i loro motivi per biasimarvi della deliziosa intemperanza che costituisce il fascino della vostra vita. Non potendo ottenere più niente da voi, gelosi di quanto potete concedere agli altri, vi biasimano soltanto perché non si attendono più nulla e non possono chiedervi più nulla. Chiedete consiglio invece ai figli dell’amore e del piacere, interrogate tutti: ognuno sarà d’accordo per consigliarvi di scopare, perché scopare è lo scopo della natura, astenersi è un delitto. La fama di puttana non vi impaurisca: si inganna quella che se ne fa intimidire. Una puttana è creatura amabile, giovane, voluttuosa, che sacrifica la sua reputazione al benessere degli altri, e che solo per questo meriterebbe elogi. La puttana è figlia prediletta della natura, la ragazza onesta ne è invece detestata; la puttana merita gli altari, la vestale i roghi”.(…)
    “La direttrice l’acciuffa. È una ragazza alta, di diciotto anni, bella come il sole. Il più bel culo del mondo, il più bianco, il meglio tagliato, è immediatamente offerto alle brame del libertino che vuole essere scrollato da Justine: la sventurata obbedisce maldestramente; le compagne l’istruiscono; le sue mani issano finalmente quel membro che il suo culo aveva curvato; le dicono che deve essere lei a presentarlo al buco che dovrà perforare: obbedisce, l’arnese penetra, il monaco fotte, ma solo il culo di Justine vuol baciare; le altre sultane lo circondano solo per la prospettiva; i suoi occhi ardono; si direbbe che l’avventura giunga a lieto fine, ed è così, ma senza raggiungere la mèta”.

    Il trafiletto così si conclude:
    “Troppe le similitudini, le circostanze coincidenti e la somiglianza dei termini utilizzati per descrivere la persona, ma soprattutto il pensiero, di Egidio, per non pensare come lo scrittore milanese, nel concepirlo, non si fosse ispirato ai perfidi dissoluti delle avventure sadiane”.
    Anche con la massima buona volontà è impossibile aderire a queste asserzioni.
    Stessa inconsistenza probatoria presenta la ipotizzata possibilità che il Manzoni annoverasse i romanzi di De Sade sugli scaffali della sua biblioteca.
    Siamo come sopra in presenza di una mera congettura.
    Ma anche le congetture un minimo di verosimiglianza debbono averlo, altrimenti tutto è mero flatus vocis.

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