È di nuovo nei cinema di tutta Italia Eraserhead – La mente che cancella, il primo, scioccante lungometraggio del grande regista americano David Lynch, di recente tornato a popolare i nostri incubi televisivi con la seconda serie di Twin Peaks. Dal 2013 la Cineteca di Bologna ha promosso la distribuzione di una serie di grandi film del passato nelle sale dell’intero territorio nazionale. Una scommessa nel nome del cinema e un gesto attivo di tutela dei cinema, in anni in cui la vita delle sale cinematografiche in Italia sta diventando una questione di sopravvivenza. Questi capolavori, recuperati e restaurati a Bologna, sono film concepiti e realizzati per la visione in una sala cinematografica. Dopo anni di esilio televisivo, mortificati dalla scarsa qualità e definizione e dai pochi pollici degli schermi, tornano nella loro sede naturale. Rivedere I quattrocento colpi, Tempi moderni, Gioventù bruciata o dieci opere di Roberto Rossellini, tra film e documentari, in alta definizione sullo schermo cinematografico, oltre ad essere una goduria per la mente il cuore e la vista, vuol dire ridare a ciascuna di queste opere d’arte la capacità di incidere nelle vite dello spettatore, non più costretto a perdersi nel frastuono di salotti casalinghi ritrovando la dimensione immersiva del grande schermo. Si tratta di film restaurati con tecnologia digitale, riportati a uno splendore e a una nitidezza visiva mai raggiunti prima come quella del 4K. La tecnologia digitale, inoltre, alleggerendo costi e modalità della distribuzione, ha reso possibile quello che fino a oggi sarebbe stato impensabile: organizzare un “Cinema Ritrovato” al cinema, non nella riserva indiana di occasioni o eventi speciali, ma come una vera e propria stagione che copre l’intero anno, con un ritmo, un impatto comunicativo e anche una ambizione commerciale. Sono la scommessa di chi crede davvero che, visti in sala, questi capolavori tornino a essere nuovi film, pronti a conquistare il pubblico delle nuove generazioni. All’interno del progetto “Cinema Ritrovato” torna in questi giorni nelle sale italiane Eraserhead di David Linch, la cui seconda stagione di Twin Peaks e un documentario a lui dedicato stanno allietando le serate degli abbonati a un noto canale tv a pagamento. Il film è stato restaurato in 4K da Criterion Collection, a partire dal negativo camera originale 35mm sotto la supervisione dello stesso Lynch. Nato in un contesto indipendente e underground, il primo lungometraggio di David Lynch passa in pochi mesi dalle gallerie d’arte di New York alle sale di tutto il mondo. Girato in totale autonomia nel 1976, con un pugno di amici e collaboratori fidati, si fa subito notare per l’inquietudine che emana e per lo sconcerto che suscita nei pur ben disposti spettatori. È il primo incunabolo (ma per alcuni il più radicale e ipnotico) delle visioni lynchane: b/n avanguardistico, narrazione apocalittica, vicende inspiegabili e orrore ovunque, con una trama (un uomo misterioso con un figlio mostruoso dentro un futuro post-industriale) pressoché inesistente. Né fantascienza né horror, anche se i vari distributori nazionali, Italia compresa, provarono a farlo passare per un film di genere. Il dialogo è con il surrealismo, la fotografia industriale, l’underground statunitense. “Come Shining, Eraserhead stupisce per la capacità di tener fede alla forma linguistica dell’inconscio”, afferma il nostro Enrico Ghezzi. A posteriori, va considerato come il film che per primo ha dato voce ai fantasmi interiori di Lynch: non solo alle sue fantasie morbose, ma anche al suo desiderio di purezza. ALCUNI SEGRETI DI FABBRICAZIONE Se vuoi mandare un messaggio vai all’ufficio postale. Devi essere libero di pensare le cose. Le idee arrivano e si agganciano l’una all’altra. Se stanno bene assieme e formano una storia che ti fa portare avanti, la prima cosa che può rovinare tutto ciò è preoccuparsi di cosa ne penserà la gente. Quindi, se ti danno il permesso e il denaro per realizzare un film, devi dire o così o niente. Se vi disturba, uscite dal cinema, per favore. (David Lynch) Durante il primo anno al Center for Advanced Film Studies (Afi), Lynch lavora principalmente a una sceneggiatura a cui tiene molto, ma che non riesce a trasformare in film, Gardenback, da lui definita “una storia di adulterio che ha molto a che fare con i giardini e gli insetti”. Abbandonato a malincuore il progetto, comincia a lavorare a Eraserhead. Nelle sue intenzioni il film dev’essere un lungometraggio, ma l’Afi tende a finanziare soltanto opere brevi e, dal momento che la sceneggiatura presentata da Lynch è di ventuno pagine, mettono a sua disposizione cinquemila dollari per realizzare un cortometraggio di ventuno minuti. L’idea di partenza deriva da una sorta di visione: una testa spiccata dal corpo e utilizzata per farne gomma per cancellare. Da questo nucleo primario il regista ricava altri spunti altrettanto bizzarri, strutturando la sua storia più in termini di texture (un vocabolo, questo, ricorrente nei discorsi di Lynch) che di trama vera e propria. Il regista ottiene dall’Afi il permesso di girare il film in 35mm in bianco e nero. Le riprese hanno inizio il 29 maggio del 1972. Si prevedono sei settimane di lavorazione. Convinto che il film finirà per essere più lungo, David Lynch inizia a negoziare, ottenendo il permesso di girare un mediometraggio di 41 minuti. Per le scene può contare su locali lussuosi, diverse stanze di una residenza estiva di proprietà dell’Afi. Riunisce un ristretto gruppo di lavoro, che comprende suo fratello John, Alan Splet e Catherine Coulson, la futura Signora del Ceppo della serie Twin Peaks. Nella primavera del 1973 le riprese vengono interrotte, soprattutto perché l’Afi, intuendo che il lavoro si stava trasformando in un lungometraggio, sospende i finanziamenti e cessa di rifornire al regista la pellicola necessaria. Il nucleo centrale della troupe di Eraserhead comprendeva l’operatore Herbert Cardwell (che più tardi sarebbe stato rimpiazzato da Frederick Elmes), il tecnico del suono Alan Splet, Catherine Coulson (in un gran numero di ruoli), la produttrice esecutiva Doreen Small e l’attore Jack Nance. L’affetto nutrito da Lynch per il film costituisce una componente del naturale attaccamento per le persone, per l’epoca e per un particolare metodo di fare cinema, basato sui tempi lenti. Tutte ragioni in più, presumibilmente, per preservare il quintessenziale mistero di Eraserhead. Anche solamente a causa delle sue dilatate modalità produttive, il film apporta nuove sfumature di significato all’idea di ‘lavoro svolto per passione’. Con i suoi cinque anni di lavorazione, Eraserhead rappresenta uno degli esempi più singolari dell’assoluta determinazione di un regista nel portare sullo schermo le proprie visioni, pur affrontando una considerevole serie di avversità. L’aver messo a punto un immaginario così impeccabilmente ermetico nell’arco di diversi anni, e potendo disporre di un budget tanto ristretto, costituisce un esito eccezionale. I SAW IT: NASCITA DI UN CULT Io dico sempre che Eraserhead è il mio Scandalo a Filadelfia. Gli manca solamente James Stewart! (David Lynch) Ignorato dalla maggioranza di critici ed esperti di cinema sperimentale, film d’arte ed exploitation – nonostante possieda alcuni tratti in comune con tutte e tre le categorie (o forse proprio per questo) – e trattato in maniera sprezzante da gran parte della stampa mainstream dell’epoca, Eraserhead trovò il suo ristretto pubblico solo grazie alla pazienza e alla dedizione del distributore, che continuò a organizzare proiezioni nel circuito dei cinema notturni per molte settimane ben prima che il film diventasse qualcosa di simile a un oggetto di culto. La proiezione al Filmex ha tuttavia un seguito fecondo: suscita infatti l’entusiasmo e l’interesse del distributore Ben Barenholtz, lo stesso che ha inventato, con film come El Topo di Jodorowsky, il fenomeno del film-culto per proiezioni di mezzanotte. La sua tattica consiste nel passare per un lungo periodo film che il pubblico deve scoprire a poco a poco, senza investimenti promozionali che rischierebbero di stroncare il fenomeno sul nascere. Nel 1977, Lynch si reca dunque a New York con Mary, e passa due lunghi mesi a controllare la stampa di una buona copia (operazione che da sempre costituisce il suo incubo, e infatti in seguito criticherà violentemente quelle di Elephant Man). Per l’occasione, Barenholtz scopre con una certa sorpresa l’aspetto da bravo ragazzo di Lynch, così poco newyorkese, incapace di farsi coinvolgere in una discussione intellettuale, e abituato ad andare a letto alle dieci di sera (ma forse doveva soltanto recuperare la fatica accumulata in tante notti passate a realizzare il film). Il film esce a New York al cinema Village nell’autunno del 1977. La prima sera fa venticinque spettatori e la seconda ventiquattro. Ma le previsioni di Ben Barenholtz finiscono per realizzarsi: programmato tutti i sabati sera a mezzanotte, trova un pubblico e costruisce la sua leggenda. “I saw it”, dice il distintivo del suo fan-club. Il cineasta John Waters aiuta Lynch dichiarando che Eraserhead è il suo film preferito durante una proiezione di una delle sue opere. Eraserhead passerà poi in un altro cinema del Greenwich Village, il Waverly, dove resta in programmazione fino a metà settembre del 1981. Nel 1982, Ben Barenholtz aveva trentadue copie del film in circolazione nel mondo intero. Presentato ad Avoriaz nel 1980, il film vince un’Antenne d’or e il Premio della giuria (presieduta da William Friedkin). I critici francesi ne sono affascinati e sconvolti, ma alcuni in realtà soltanto sconvolti perché vedono nel film un fastidioso esercizio sperimentale che ricollegano all’avanguardia newyorkese o al teatro dell’assurdo. Il film diventa un oggetto unico, anche per coloro che non l’hanno mai visto, ma ne hanno sentito parlare in termini stupefatti (il nostro primo approccio al film, prima di scoprirlo al Waverly, è frutto dei racconti di amici che ne descrivevano minuziosamente l’ambiente sordido). Corre voce che Kubrick se lo sia fatto proiettare varie volte nel suo rifugio in Inghilterra, per capire i segreti di fabbricazione del neonato, e abbia dichiarato come sia l’unico film che avrebbe voluto dirigere egli stesso. Oggi che Eraserhead fa parte, per noi, della serie di film targati Lynch, può aver perso l’aspetto cult movie dei suoi esordi. Questa dimensione andrebbe riguadagnata, poiché il contesto di appartenenza del film è proprio quello. Il cult movie, come noto, è un film che convive a fatica con la nozione di ‘autore’ poiché si dà come espressione unica del rapporto diretto testo/spettatore, senza tante mediazioni critiche o accademiche né chiavi d’accesso categoriche come la politique des auteurs. La forza di Eraserhead è probabilmente più nel suo impatto e nella sua unicità a suo modo ‘datata’ che non nella iscrizione dei suoi temi e figure dentro la poetica di Lynch, del resto ovvia. Privo di una trama o di un personaggio convenzionali, Eraserhead ruota attorno a un giovane sognante e sdolcinato di nome Henry Spencer (Jack Nance) che vive con una pianta scarna e malnutrita in una stanza ammobiliata buia e squallida di un ambiente urbano degradato. Invitato a una grottesca cena di famiglia dall’ex fidanzata Mary, si scopre padre di un mostro illegittimo, una sorta di feto simile a un verme; Mary e l’ululante creatura prematura traslocano nell’appartamento di Henry. La creatura si ammala e le sue urla strazianti finiscono per causare la fuga di Mary nel mezzo di una notte piovosa. Henry tenta di prendersi cura del figlio. Non riuscendoci, distrugge il feto e di conseguenza se stesso e l’intero universo. Storia lugubre, certo, ma gran parte del film è soprattutto una sardonica meditazione metafisica sui contenuti della mente di Henry: un paesaggio di fantasie, processi misteriosi e rumori industriali tenuti assieme da un mosaico di ossessioni riguardanti il sesso, le macchine, la biologia, la botanica, l’astronomia, la teologia, il tutto espresso in maniera non verbale. E se di trama si può parlare, essa è più che altro una commedia dell’assurdo, un incubo, più che una tragedia tormentata dall’angoscia. Gli equivalenti europei più prossimi non sono Ingmar Bergman e Michelangelo Antonioni, ma Il processo di Orson Welles, le sequenze in bianco e nero di Stalker di Andrej Tarkovskij, oppure (per l’uso comicamente astratto e musicalmente ritmato di suono e silenzio) Le vacanze di Monsieur Hulot di Jacques Tati. Percorso da un’ipnotica bellezza formale e da un’originalissima forma di umorismo nero, con ritmi meditativi che trasformano l’esile trama in una serie perpetua di scoperte e di rivelazioni, Eraserhead è un capolavoro sui generis che la maggior parte degli spettatori e dei critici non ha mai saputo bene come prendere. PER UN’ESTETICA DELL’INCUBO Io ho ‘sentito’ Eraserhead, non l’ho pensato. (David Lynch) Nel cinema di Lynch, l’inquietante contenuto nei racconti di Edgar Allan Poe e di E.T. A. Hoffmann si esprime nella raffigurazione di ambienti, case, appartamenti, piccole città, apparentemente benevoli e familiari, invasi da una presenza estranea spaventosa. Ed è questa la sostanza di Eraserhead, Velluto blu, Twin Peaks, Strade perdute e Mulholland Drive. La loro espressione psicologica sta nella metafora del doppio, dove la minaccia è data dall’esistenza di una copia di se stessi, tanto più terrificante in quanto l’altro non è veramente ‘altro’. […]. Si pensa che gran parte degli incubi inquietanti della letteretatura e del cinema del ventesimo secolo siano storicamente generati dal sorgere delle grandi città moderne, rappresentazione solida della gabbia sociale e psicologica che imprigiona l’uomo moderno. Appena le persone cominciarono a sentirsi separate dalla natura e dal passato, vennero colpite da un’ansia moderna, associata a malattie e disturbi psicologici, in particolare a paure legate allo spazio come l’agorafobia o la claustrofobia. L’iniziale terrore delle città di Lynch e il suo amore per la natura e per un passato idilliaco può aver contribuito a queste paure così evidenti nel suo cinema, spesso espresse nell’uso del cinemascope. Personaggi come Fred Madison in Strade perdute sono circondati da spazi aperti, arenati nell’incerta geografia delle loro stesse vite. O, come per Henry in Eraserhead, ogni ambiente, interno ed esterno, dev’essere dettagliatamente e attentamente trattato. L’incertezza, l’estraniazione e la mancanza di orientamento ed equilibrio sono talvolta così intense, nell’universo lynchiano, che ci si chiede se sia mai possibile sentirsi a casa propria. […] L’inquietante fu ripristinato come categoria estetica dall’avanguardia moderna, che l’usò come strumento di ‘defamiliarizzazione’. Per i surrealisti, esso risiedeva nello stato tra il sonno e la veglia, da qui il loro interesse per il cinema (nel volume a cura di Chris Rodley: David Lynch, Io vedo me stesso, il Saggiatore, Milano 2016) Se Lynch è “il primo surrealista popolare”, tanto da approdare su un media mainstream per eccellenza come la televisione, “un Frank Capra della logica del sogno”, è proprio per il suo interesse per il processo di defamiliarizzazione dell’ambiente (più o meno artificiale che circonda ognuno di noi, e per questo stato veglia/sonno) che ben rappresenta il senso di estraniazione che alle volte accompagna la nostra vita. (Clicca qui per vedere la programmazione del film). Navigazione articoli MARGARET LEE, L’INGLESINA ECCITAVA GLI ITALIANI 36 QUAI DES ORFÈVRES HA LASCIATO IL SEGNO