Prima della guerra fredda con la Russia, per l’Occidente la minaccia arriva da ancora più lontano, dal misterioso Oriente patria del “pericolo giallo”. Le storie di detective, come quelle di avventura e di guerra, hanno spesso bisogno di un nemico facilmente identificabile, una minaccia da sventare. Che sarebbe Sherlock Holmes senza Moriarty, o James Bond senza la Spectre? Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, l’Occidente teme la Cina per svariati motivi, innanzitutto per la supremazia demografica. La Cina già allora vantava oltre quattrocento milioni di abitanti, potendo così mettere in campo un esercito potenzialmente composto da milioni di soldati. Poi quella cinese è una cultura molto differente, spesso difficile da comprendere per il pubblico europeo e americano. Infine, nel 1904 il Giappone trionfa sulla Russia zarista in un conflitto locale, creando un precedente preoccupante: è la prima volta che un esercito asiatico ne sconfigge uno occidentale. Il timore si diffonde in Europa e America, raggiungendo anche la narrativa popolare. Il potenziale nemico è sempre la Cina, non il Giappone, considerato comunque un alleato dell’Occidente. Nel 1937, però, il piccolo e superficialmente occidentalizzato Giappone invade la Cina rivelandone la debolezza militare: fatto questo che segna la fine della paura per il “pericolo giallo”, inteso come cinese. Almeno fino ai nostri giorni, quando la Cina, dopo la lunga notte maoista, riprende a marciare verso la modernizzazione con l’attuale miliardo e quattrocento milioni di abitanti… FU MANCHU, L’INCARNAZIONE DEL PERICOLO GIALLO Lo scrittore inglese Sax Rohmer (1883-1959) nel 1912 pubblica The Mistery of Dr. Fu Manchu, in Italia tradotto letteralmente Il mistero del dott. Fu Manchu. Signore del crimine, genio del male, impersonificazione del temuto pericolo giallo, Fu Manchu vuole sconfiggere la “razza bianca”. Ha l’aspetto stereotipato del cinese malvagio: occhi sottili e penetranti, lunghissimi baffi spioventi, unghie esagerate. A contrastarlo ci sono due detective inglesi, sir Denis Nayland Smith e il dottor Petrie, che hanno sempre la meglio per il rotto della cuffia senza però riuscire a batterlo del tutto, lasciando quindi la strada aperta a vari sequel. Negli anni venti e trenta Fu Manchu è ben presto seguito da vari epigoni, come Wu Fang e il Dr. Yen Sin, questa volta pubblicati sui pulp, riviste popolari americane poco pretenziose dal punto di vista letterario ma straboccanti di storie avvincenti e dalle copertine ipnotiche, spesso occupate proprio da quei pericolosi cinesi dagli sguardi agghiaccianti e dalle malvagie intenzioni. L’immagine del “giallo” malvagio rimbalza un po’ su tutti i media americani, dai serial cinematografici ai fumetti: l’alieno Ming, avversario di Flash Gordon, ha il medesimo aspetto di Fu Manchu, che tra l’altro negli anni settanta viene recuperato fuori tempo massimo (ormai da tempo il pericolo non era più giallo ma “rosso”) per diventare l’avversario principale (nonché padre) di Shang-Chi, eroe delle arti marziali dei fumetti Marvel Comics. ARRIVA CHARLIE CHAN Nel 1925 a cercare di contrastare la visione negativa degli orientali nei romanzi polizieschi arriva Charlie Chan, un detective cinese uscito dalla penna di Earl Derr Biggers (1884-1933). Il romanziere statunitense, ispirandosi a un poliziotto realmente esistente, dà vita alla figura di un ispettore di Honolulu (nelle Hawaii), corpulento ma dal passo lieve, che con sottile umorismo, citazioni confuciane e aforismi vari risolve i casi più intricati. La prima indagine di Chan, The House without a Key nota in Italia come Charlie Chan e la casa senza chiavi, viene pubblicata a puntate sul diffuso settimanale Saturday Evening Post e in seguito in volume. Il personaggio riscuote subito un buon successo, diventando protagonista di altre cinque avventure prima che Biggers muoia di infarto. Chan continua a vivere anche in assenza del suo creatore dato che Hollywood, a partire dal 1926, gli dedica svariati serial (cortometraggi a episodi) e film, prima basandosi sui romanzi poi facendo scrivere nuove sceneggiature. A cui si somma una serie televisiva, Le nuove avventure di Charlie Chan, e una di cartoni animati prodotta da Hanna e Barbera: Il clan di Charlie Chan. Oltre a fare uso della sua saggezza, Chan utilizza quelli che definisce i “sette fiori”: cortesia, umorismo, pazienza, lentezza, rassegnazione, umiltà, prudenza. La popolarità del personaggio raggiunge anche il suo Paese d’origine, la Cina (almeno fino al 1949, quando Mao Zedong prende il potere). Una segnalazione anche per i fumetti di Charlie Chan, disegnati con successo da Alfred Andriola dal 1938 al 1942, per poi passare alla matita di altri artisti meno ispirati. LE INDAGINI DEI GIUDICI Dopo Charlie Chan, altri cinesi diventano protagonisti di storie in giallo, non si tratta però di detective, bensì di giudici. Lo scrittore e orientalista olandese Robert Van Gulik (1910-1967) nel 1949 riporta alla luce una raccolta di antichi polizieschi cinesi intitolata Di gong’ an, I celebri casi del giudice Dee, il cui protagonista è, appunto, un giudice. L’operazione non ha grande successo, Van Gulik decide quindi di scrivere di suo pugno nuove avventure di Dee, anche se con caratteristiche più vicine al giallo occidentale che alle storie di casi legali tipicamente cinesi. Queste ultime, infatti, più che sull’identificazione del colpevole, spesso noto fin dalle prime pagine, preferiscono concentrarsi sulla metodologia del giudice/investigatore, sulla comprensione delle motivazioni del colpevole e sulla punizione che lo aspetta, formando un puzzle nel quale alla fine deve essere la giustizia a trionfare per ristabilire l’ordine sociale. Gong’ an (“caso legale”), quindi, diventa il nome di un vero e proprio genere letterario incentrato principalmente sui giudici, popolare in Cina dal Trecento fino all’Ottocento. Van Gulik nel 1956 scrive quindi il primo romanzo del Giudice Dee totalmente suo, I delitti del labirinto cinese, a cui ne seguono altri tredici e alcuni racconti. Ambientati nella Cina dell’epoca Tang, vedono il giudice alle prese di delitti da risolvere, ma anche con un Paese fatto di gravi diseguaglianze sociali. Facendo uso della logica, Dee risolve casi molto intricati. Nel 2010 tocca al francese Patrick Marty, sceneggiatore, e al cinese Chogrui Nie, disegnatore dal tratto realistico, portare nuovamente alla ribalta in Occidente un giudice cinese, stavolta a fumetti: il Giudice Bao. Bao mostra una rigida intolleranza verso ogni forma di criminalità e si impegna nel punire severamente chi commette soprusi, al contrario è sempre pietoso nei confronti delle vittime, tanto da venire indicato come difensore dei deboli. Il giudice Bao e i suoi collaboratori (la guardia del corpo Zhan Zhao, il medico Gongsun Ce, il giovane allievo Bao Xing) percorrono una Cina ben descritta, anche nella sua corruzione. Anche Bao, come Dee, è ispirato a un giudice realmente esistito, Bao Zheng (999-1062), noto anche come Bao Gong (“Signor Bao”), un magistrato governativo noto per la sua onestà e imparzialità, al punto da arrivare a condannare parenti e persone vicine all’Imperatore cinese, spesso per corruzione. Come accade col giudice Dee, anche nelle storie del giudice Bao il protagonista non solo deve investigare, ma, in quanto rappresentante della legge e della giustizia, suo preciso compito è riportare l’ordine e la pace nei territori di sua competenza, se non in tutta la Cina. INVESTIGATORI MODERNI Alla fine dell’Ottocento, in Cina il genere gong’ an entra in crisi. Nel Novecento, grazie alle prime traduzioni di opere investigative occidentali, come quelle di Conan Doyle con il suo Sherlock Holmes, la figura locale del giudice “tuttofare” comincia a essere sostituita da quella anglosassone del detective. Tra i responsabili della svolta c’è il anche il traduttore cinese di Holmes, Cheng Xiaoqing (1893-1976), che dopo essersi dedicato alle opere dello scrittore inglese nel 1914 crea il proprio detective. Huo Sang, questo il suo nome, si muove nella Cina degli anni venti, in una Shangai definita “la Parigi d’Oriente”. Assieme all’assistente Bao lang, che ricorda Watson e che come lui è il narratore delle storie, risolve complessi casi in una metropoli che ospita ricchezza e mondanità ma anche povertà e crimine. Esattamente come l’ispiratore inglese, Huo Sang usa la deduzione quale principale strumento di lavoro, osserva ogni minuscolo dettaglio, sviscera ogni indizio, trasformandoli in pezzi di un puzzle che riesce immancabilmente a completare. La sua genialità investigativa viene ammirata da alcuni poliziotti e vista con sospetto e invidia da altri, ma l’imperturbabile protagonista non si lascia rallentare né da lusinghe né da critiche e i casi che lo vedono all’opera contano oltre trenta volumi. Inoltre, seguendo la tradizione occidentale, Cheng e Huo portano al centro dell’attenzione l’indagine, rafforzando l’elemento suspence, a discapito dei processi e delle sentenze. Sempre a Shangai, palcoscenico preferito dei giallisti cinesi, si muove l’ispettore Chen Cao, uscito dalla penna di Qui Xiaolong (1953). Si tratta, però, di una Shangai molto differente, quella degli anni novanta controllata come il resto della Cina dal granitico Partito comunista cinese dopo la svolta “capitalistica” di Deng Xiaoping. Il Partito comunista a partire dal 1949, anno in cui sale al potere, aveva proibito il genere giallo (come molti altri aspetti della cultura occidentale), ritenendolo istigatore di desideri violenti in contrasto con la società socialista. Un divieto che verrà ritirato solo nel 1978, ma nel frattempo alcuni scrittori hanno lasciato il Paese per trasferirsi altrove. Come Qui Xiaolong, appunto, che nel 2000 dà alle stampe negli Stati Uniti il primo dei nove romanzi di Chen: Death of a Red Heroine, in Italia La misteriosa morte della compagna Guan. Nonostante il protagonista sia un giovane traumatizzato dalle violenze subite durante la cosiddetta Rivoluzione Culturale degli anni sessanta, e nonostante sia un poeta idealista e sognatore laureato in letteratura, si ritrova assegnato al dipartimento di polizia, destinato suo malgrado a fare rispettare la legge. Comandante in capo della squadra casi speciali del Dipartimento di polizia di Shangai, Chen deve impiegare la logica come consuetudine, ma usare molta più discrezione dei suoi predecessori, per non turbare il delicato equilibrio politico locale. Oltre che protagonista dei casi che deve risolvere, Chen è spettatore dei grandi cambiamenti che percorrono la società cinese, perché il genere giallo è anche un testimone dei tempi. (Dall’introduzione del volume “Minnie e la protezione cinese e altre storie ispirate all’Oriente”, collana “Disney Noir – Il top del giallo a fumetti”, allegato a La Repubblica nel giugno 2018). 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