L’8 marzo 2020 il governo ha stabilito che non si può entrare e uscire dalla Lombardia e in quattordici province fino al 3 aprile, per cercare di rallentare il contagio del coronavirus Covid-19. Il pericolo maggiore è che i reparti di terapia intensiva degli ospedali, già strapieni di contagiati con problemi di respirazione, non riescano più a curare tutti gli ammalati, facendo aumentare in maniera incontrollata il numero già alto dei morti. Più di 16 milioni di italiani nelle aree del nord del paese sono, quindi, in isolamento. E da diverse settimane la Cina ha messo in quarantena la metropoli di Wuhan e chiuso la provincia di Hubei, da dove è partito il coronavirus, per un totale di 60 milioni di abitanti. Non è una novità. Già la Bibbia contiene riferimenti a persone malate che devono essere isolate per prevenire la diffusione di malattie. I governi di ogni epoca si sono preoccupati della diffusione di malattie infettive, soprattutto quando provocano morti. Una xilografia di contagiati di peste, 1532. Landesmuseum Baden Nell’anno 549, per esempio, l’imperatore bizantino Giustiniano vietò l’accesso a Costantinopoli alle persone che provenivano da zone dove era diffusa la peste. Quella fu una delle peggiori epidemie della storia, che uccise un’altissima percentuale non quantificabile con precisione della popolazione europea. Nel 707, il califfo al-Walid aveva richiesto al nuovissimo ospedale di Damasco l’istituzione di un reparto separato per i lebbrosi. Su richiesta della Chiesa, in Europa circa 1200 lebbrosi furono obbligatoriamente isolati in “case dei lebbrosi” o “colonie dei lebbrosi”. Solo l’isolamento completo permise di far sparire la lebbra dall’Europa già nel medioevo. L’invenzione della quarantena Nel 1348 la peste bubbonica, o morte nera, imperversò in gran parte dell’Europa. Arrivò dall’Asia attraverso le colonie delle repubbliche marinare italiane del Mediterraneo collegate con l’Oriente, e si diffuse molto rapidamente. Un terzo della popolazione europea morì negli anni seguenti. Sepoltura di numerose vittime della peste, miniatura del Trecento Occorreva prendere misure radicali. Nel 1374, il duca di Milano, Bernabò Visconti, espulse tutti i malati di peste dalla sua città, per farli “morire o guarire” nei boschi. Quello dell’espulsione era allora il provvedimento più comune. Nel 1377 la repubblica marinara di Ragusa (Dubrovnik, ora in Croazia), sul mare Adriatico, impose alle navi l’obbligo di rimanere ancorate per 30 giorni prima che le persone o le merci potessero essere portate a terra. A Venezia l’obbligo fu in seguito esteso a 40 giorni, da qui la parola quarantena. Altre città marinare, come Genova e Marsiglia, seguirono presto questo esempio. Successivamente fu istituito il Lazaretto su un’isola della laguna di Venezia, dove le persone con malattie infettive erano costrette a vivere in isolamento. Ciò non impedì, in certi periodi, la diffusione dei contagi, ma il numero dei morti a Venezia fu considerevolmente più ridotto rispetto ad altri luoghi. L’esempio fu presto seguito da altre città. Misure analoghe furono prese quando la febbre gialla e la sifilide colpirono l’Europa nei secoli successivi. Il porto di Venezia nel 1697 Dal Decamerone al coronavirus La peste del 1348 ispirò a Giovanni Boccaccio il suo capolavoro, il Decamerone. In quell’opera letteraria, una comitiva di uomini e donne fugge dalla città di Firenze per paura della peste, rifugiandosi in una villa in campagna. Per trascorrere il tempo, ognuno racconta una storia, per dieci giorni. Boccaccio perse il padre, molti familiari e amici a causa della peste, per questo descrive in prima persona l’epidemia del 1349. “Era così grande la paura che si era impossessata di loro da evitare i malati e tutto ciò che apparteneva a loro” La quarantena divenne comune anche in Nord Europa. L’esempio più noto è il villaggio inglese di Eyam, che si chiuse volontariamente in quarantena durante un’epidemia di peste successiva al 1665, per non contaminare la zona circostante. Circa la metà degli abitanti sopravvisse alla malattia. Qui l’epidemia di peste è ricordata ogni anno nell’ultima domenica di agosto, da una celebrazione nota come Plague Sunday. Due anni prima, re Carlo II aveva disposto che tutte le navi giunte a Londra restassero all’ancora nell’estuario del Tamigi per 40 giorni. Nel 1721 venne istituito il “muro della peste” nel Vaucluse, in Francia meridionale, per prevenire la diffusione della malattia nella zona costiera intorno a Marsiglia. E nel 1821, il governo francese inviò trentamila soldati per chiudere il confine con la Spagna colpita da un focolaio di febbre gialla, istituendo il primo “cordone sanitario” della storia. Negli Stati Uniti, nel 1874, il Congresso approvò una legge che istituiva la quarantena per i nuovi arrivati dall’Europa. Gli immigrati sono quindi passati per decenni attraverso la piccola Ellis Island, nella baia di New York. Coloro che erano malati venivano tenuti in quarantena per un po’ di tempo o gli veniva negato il visto d’accesso. Volontaria o meno, la quarantena e l’isolamento non sono mai divertenti. Oltre all’incertezza sulla propria salute e quella dei propri cari, ci sono il senso di abbandono e la noia, come hanno testimoniato in questi giorni i cittadini delle zone rosse in Lombardia e in Veneto, i turisti reclusi in hotel a Palermo e quelli confinati sulle navi da crociera. Leggere il Decamerone di Boccaccio potrebbe offrire una via d’uscita, almeno per la noia. Navigazione articoli O.J. SIMPSON, UN CAMPIONE IN FUGA MARCEL PETIOT HA IN CASA UNA PICCOLA AUSCHWITZ
È da ricordare la “quarantena” di Noè sull’Arca durante il Diluvio Universale: la sua nigredo per salvare il bagaglio psichico essenziale dell’essere umano rappresentato dagli animali. Rispondi
La noia? E’ un disastro lavorativo, altro che noia. Serviva prevenzione e cervello. Che non ci sono state. Ovviamente. Rispondi
Evidentemente non hai prevenzione e cervello. Ma fortunatamente non tutti sono come te. Neanche dal Decamerone hai imparato qualcosa. Rispondi