Lo chiamano bigfoot, in italiano “piedone”. Si narra che nelle foreste dell’America settentrionale viva una enorme, misteriosa creatura simile a una scimmia. Avvistamenti della sua presenza sono stati registrati in diverse parti degli Stati Uniti. In base alle testimonianze e ai video registrati, sembrerebbe essere alto tra i due e i tre metri e pesare oltre duecento chilogrammi. Ha una folta pelliccia e cammina in posizione eretta lasciando impronte enormi e profonde, di cui esistono numerose foto. Negli ultimi decenni gli avvistamenti di bigfoot si sono concentrati sulla costa del Pacifico statunitense, più sporadicamente nella valle del Mississippi e addirittura in Florida. L’origine di bigfoot è antica, sembra risalire ad alcune leggende dei nativi americani. Lo scettico Daniel Loxton e il paleontologo Donald R. Prothero ne ripercorrono la storia nel libro “Abominable science”. A quanto pare, tra i protagonisti di queste leggende c’erano i sasquatch, descritti come uomini selvaggi, alti e robusti, che si nascondevano nelle foreste più fitte. I sasquatch non erano degli scimmioni, bensì uomini molto alti, in tutto simili a noi per intelligenza e vestiario. Venivano descritti come hairy giants, giganti pelosi, semplicemente perché portavano i capelli lunghi fino alla vita. C’è però una ragione ben precisa alla base dell’uso odierno del termine sasquatch come sinonimo di bigfoot. Era il 1957 e in occasione del centenario della regione canadese della Columbia Britannica, nel paese di Harrison Hot Springs, dove c’era la riserva indiana dei nativi Chehalis, si decise di rilanciare le leggende della tradizione locale organizzando una caccia allo sasquatch, sul quale venne messa una taglia di 5mila dollari per chiunque fosse riuscito a catturarne uno vivo. Nessuno ci riuscì, ma un certo William Roe giurò alla stampa che due anni prima ne aveva incontrato uno, o meglio una: aveva, infatti, visto la femmina di un primate molto grande, dalla folta pelliccia scura, con braccia che arrivavano alle ginocchia. La storia di Roe non ebbe mai conferme, ma l’anno successivo, nel nord della California, nella regione del Bluff Creek, ci fu un nuovo avvistamento: un operaio che lavorava nell’impresa edile dell’imprenditore Ray Wallace trovò delle strane orme lunghe circa 40 centimetri nella terra rimossa dal suo escavatore. Non se le era inventate. Seguirono ritrovamenti di altre impronte e alcuni sostennero addirittura di essere stati rapiti da famiglie di Bigfoot. Il 20 ottobre 1967 due cacciatori, Roger Patterson e Bob Gimlin, realizzarono un filmato in cui si vede una creatura molto alta, coperta da folti peli scuri, che cammina nella foresta sulle zampe posteriori con passo malandato, facendo oscillare le lunghe braccia. Il filmato è girato nella stessa zona dove erano state trovate le impronte, vicino al fiume Bluff Creek, durante una spedizione a cavallo appositamente organizzata per cercare bigfoot. Roger Patterson scomparve nel 1972, sostenendo fino alla morte l’autenticità del filmato. Il filmato divenne famoso perché fu l’unico a essere preso in considerazione dagli studiosi, e alla grossa creatura, che si riteneva fosse una femmina, fu dato il nome Patty. Chi sosteneva che non si trattasse di una burla portava come dimostrazione a sostegno di tale tesi la particolare camminata, che non poteva essere quella di un uomo, una donna e neppure di una scimmia per la proporzione tra gli altri superiori e inferiori, perché l’essere teneva le ginocchia sempre piegate e infine per la massa muscolare ben visibile. Insomma, al di là di ogni possibile inganno! Ray Wallace, nel frattempo, aveva cominciato a produrre poster che ritraevano il suo bigfoot (visto che era stato avvistato nelle sue terre) in compagnia di altri animali, o fotografie in cui lo si vedeva cibarsi di alci o di rane. Per coloro che consideravano ormai provata l’esistenza di Bigfoot sulla base di questi documenti, si trattava di considerarne l’evoluzione dal punto di vista zoologico, allo scopo di inquadrare sotto un profilo scientifico l’animale. Secondo il sito statunitense HowStuffWorks ci sono reperti fossili che dimostrano l’esistenza di tale creatura databili da 1 a 9 milioni di anni fa, i quali farebbero ipotizzare che Bigfoot discenda dal Gigantopithecus, un antico primate oggi estinto, il quale avrebbe attraversato un “ponte “di ghiaccio tra l’Asia settentrionale e l’America del nord. Dopo aver appurato la sua genealogia, i sostenitori più “seri” dell’esistenza di Bigfoot sono passati a cercare prove genetiche della stessa. Tra gli studi effettuati, non si può non citare la scoperta del genoma di bigfoot, opera della veterinaria Melba Ketchum, che sul suo sito si lamenta perché nessun giornale peer-review ha mai voluto pubblicare le sue ricerche: un’ingiustizia seconda solo a quella subita da Galileo! Probabilmente l’avere inserito nella bibliografia uno studio che era chiaramente un pesce d’aprile non ha aiutato. L’unico a darle spazio è stato il DeNovo Journal, un sito internet che si presenta come una raccolta di pubblicazioni open access dalla dubbia scientificità. Qualcosa di più scientifico, però, esiste. Nel 2014 un gruppo internazionale di scienziati ha pubblicato sulla rivista Proceedings of Royal Society i risultati della prima analisi genetica condotta su 30 campioni di peli attribuiti a primati di dubbia esistenza come bigfoot o yeti, raccolti negli ultimi 50 anni da escursionisti, naturalisti e cacciatori. L’analisi è stata condotta su piccoli frammenti di Dna mitocondriale isolati dai campioni di peluria, provenienti da Stati Uniti, Russia, Indonesia, India, Bhutan e Nepal. I ricercatori hanno confrontato i risultati dei test del Dna con i profili genetici delle specie animali note, concludendo che tutti i campioni, tranne due, appartenevano a mammiferi esistenti. Un campione proveniente da Ladakh, in India, e uno del Bhutan, invece, risultavano geneticamente affini all’orso polare del paleolitico. Con non poca delusione, nessun reperto apparteneva a bigfoot. Se la scienza non è ancora riuscita a trovare prove dell’esistenza di questo animale, che ne è stato dei video e delle impronte trovate? Fin dalla sua diffusione, non mancarono le voci scettiche sul filmato di Patterson e Grimlin. Nel 2004 tutti i dubbi trovano risposta: Bob Heironimus confessa, nel libro “The Making of Bigfoot”, che è stato proprio lui a vestire i panni dello scimmione nel video del 1967. A far realizzare il costume, dice Heironimus, era stato lo specialista di costumi Philip Morris della Carolina del Nord, il quale l’aveva in seguito venduto a un documentarista dilettante di nome Roger Patterson per 435 dollari. Per travestirsi e girare il video Heironimus aveva ricevuto da Patterson ben mille dollari. L’unica prova tangibile rimasta dell’esistenza di bigfoot crolla miseramente. Restano solo le impronte nell’impresa edile di Ray Wallace… Wallace morì all’età di 82 anni, alla fine del 2002. Solo in seguito, il figlio Michael ha svelato che la sua era una burla. Wallace si era legato ai piedi due grosse sagome di legno intagliate a forma di piedoni: «Ray Wallace era Bigfoot. E la realtà è che ora Bigfoot è morto». Dopo la morte del marito, anche la moglie di Ray confessò che in alcune foto era lei stessa a essersi travestita da Bigfoot! Ancora oggi, per molti americani, Bigfoot esiste davvero: alla fine del 2004 più del 20% degli americani credeva fermamente nella sua esistenza, ma nel 2016 la percentuale è scesa al 13.5%. Bigfoot è diventato anche oggetto di un seguitissimo show televisivo prodotto dai canali Discovery, Spike e Animal Planet, intitolato Finding Bigfoot: quattro ricercatori, tra cui un solo scettico, esplorano il Nord America seguiti dalle telecamere alla ricerca della creatura dai piedi grossi. Nonostante finora non abbiano mai trovato nulla, il programma è arrivato alla nona stagione, grazie ai milioni di telespettatori che lo seguono ogni settimana. (Il mito del bigfoot ha ispirato diverse opere di fantasia, come la storia a fumetti dell’incontro tra il signor Whiteman con un bigfoot femmina realizzata nel 1971 dal noto autore underground Robert Crumb, che in seguito ha ripreso in una serie di illustrazioni – NdR) (Oppure, in Italia, l’episodio pubblicato nei numeri 31 e 32 di Martin Mystère, “L’orrenda invasione” – “L’uomo dei boschi”, scritto da Alfredo Castelli e disegnato da Franco Bignotti – NdR). In collaborazione con il Cicap. Navigazione articoli I TESCHI DI CRISTALLO MAYA, TANTO INCREDIBILI DA ESSERE FALSI IL VIAGGIO DI OSCAR 1, IL SATELLITE CHE RIDEVA