Immaginate la testa qui sopra lunga un metro e mezzo, e armata di denti grossi come banane… (Fonte immagine).

Tyrannosaurus rex aveva un muso da varano, dotato di labbra squamate che coprivano la dentatura, oppure aveva un muso da coccodrillo, con i denti completamente esposti e la pelle spessamente corneificata? Questo, in estrema sintesi, è il dibattito che avvince, spesso con toni molto emotivi, gli appassionati, gli studiosi e i paleoartisti.
Questo dibattito ha assunto finalmente i toni della discussione tecnica e non più solo amatoriale con la recente pubblicazione di Cullen et al. (2023), nella quale vari criteri morfologici e morfometrici sono stati combinati per discriminare la plausibilità di modelli alternativi di ricostruzione dei tessuti extra-orali nei dinosauri theropodi non-aviani. Gli autori di quello studio concludono che il modello “lacertiliano” è più plausibile di quello “coccodrilliano” per interpretare il tegumento facciale dei theropodi mesozoici.

(I fan della faccia da coccodrillo non si danno per vinti, ma io cerco di stare fuori da certe discussioni troppo sentimentali e poco scientifiche…).

Uno dei criteri utilizzati da Cullen et al. (2023) per ricostruire questi tessuti è la abbondanza, distribuzione e disposizione dei forami neurovascolari che emergono dalla superficie laterale delle ossa dermiche del muso, in particolare quelle dentigere (premascellare, mascellare e dentale). Questi forami sono lo sbocco esterno alle ossa dei canali che ospitavano sia i nervi sensoriali della regione della bocca (i rettili non hanno sbocchi dei muscoli motori in quella zona, come il nervo facciale dei mammiferi) sia i vasi sanguigni: ambo i vasi e i nervi sono deputati a irrorare e innervare i tessuti molli che ricoprivano le ossa.

(Badate bene: in paleontologia, il termine “tessuto molle” non indica la consistenza del tessuto, ma la sua deperibilità, il fatto di non essere mineralizzato. Il tessuto corneo delle unghie, per quanto duro e resistente in vita, è comunque un “tessuto molle” perché non è mineralizzato e raramente si conserva a livello fossile. Pertanto, quando si parla di “tessuto molle” del muso di un dinosauro, ciò può indicare sia una gengiva carnosa sia un robusto becco corneo).

Tornando ai forami neurovascolari, lo studio di Cullen et al. (2023) non fornisce una misura quantitativa della abbondanza di questi forami, si limita a distinguere una condizione a “bassa densità di forami” disposti solo lungo il margine orale dell’osso (come nei lepidosauri) e una condizione ad “alta densità di forami” disposti più abbondantemente sulla superficie delle ossa (come nei coccodrilli).
Questa distinzione è intuitivamente sensata fintanto che si discriminano lepidosauri e coccodrilli, ma funziona con altri rettili? Per esempio, molti dinosauri mostrano una densità di forami che è “intermedia” tra lepidosauri e coccodrilli: come la interpretiamo? L’ideale sarebbe di definire in modo più rigoroso e quantitativo le diverse condizioni, per stimare la robustezza statistica delle differenti attribuzioni.

A oggi, l’unico studio quantitativo sulla densità e abbondanza di forami neurovascolari nelle ossa facciali dei rettili è la tesi magistrale di Morhardt (2009), citata anche da Cullen et al. (2023). In quella tesi, l’autrice ha raccolto dati sul numero dei forami neurovascolari nelle ossa facciali di vari amnioti, e ha confrontato statisticamente questi risultati con varie specie di dinosauro mesozoico. La tesi conclude che il numero di forami neurovascolari nei dinosauri è compatibile con la presenza di tessuti extra-orali, ma non entra nel dettaglio di stabilire quale modello vivente sia il più adatto per ricostruire le specie fossili.

Ho visionato i dati di Morhardt (2009). Il primo elemento da considerare è che solo una minoranza di esemplari fossili è stato visionato dal vivo, mentre la maggioranza è tratta dalla letteratura. Tuttavia, in letteratura raramente è riportato il numero dei forami neurovascolari, e quindi esso deve essere dedotto solamente dalle illustrazioni presenti: ciò però è rischioso, dato che una foto o illustrazione può sotto-rappresentare il numero effettivo dei forami (perché l’immagine non è abbastanza dettagliata, perché non tutti i lati sono visualizzati, perché la foto è illuminata male eccetera).
A conferma di questo sospetto, alcuni valori nei fossili sono alquanto anomali (c’è un ampio margine nei valori tra individui all’interno della medesima specie), e potrebbero non essere accurati. Pertanto è saggio escludere i valori riportati essere tratti dalla letteratura e limitarsi solo a quelli basati sull’osservazione diretta che l’autrice ha documentato su esemplari fossili.

Il campione fossile quindi si riduce a 5 taxa:

Corythosaurus, Dryosaurus, Edmontosaurus, Plateosaurus e Tyrannosaurus.

Servendomi dei dati dalle 49 specie viventi elencate in Morhardt (2009), ho svolto una analisi di discriminanza del numero dei forami neurovascolari nelle ossa premascellari, mascellari e dentali di questi cinque dinosauri per determinare a quale categoria vivente essi siano più simili. Dal campione ho rimosso i mammiferi, dato che il “premascellare” dei mammiferi theri (i soli presenti nel campione dei dati) non è omologo al premascellare dei rettili, bensì alla septomascella. Il campione così definito è stato diviso in quattro categorie viventi: “muso coccodrilliano”, “labbra lacertiliane”, “becco aviano” e “muso da tartaruga”.

L’analisi discriminante è molto accurata: il 91% delle specie viventi è stato collocato correttamente nella propria categoria. In particolare, tutti i musi coccodrilliani, tutti i musi lacertiliani e tutti i musi da tartaruga sono stati collocati nella propria categoria. Gli unici errori di identificazione sono nel campione aviano: 4 esemplari su 11 sono stati classificati come “lacertiliani”. Nondimeno, l’analisi appare molto robusta nel discriminare i musi “da lucertola” rispetto a quelli “da coccodrillo” e viceversa.

Dove si collocano le specie fossili?

TYRANNOSAURUS CON IL MUSO DA TARTARUGA

Corythosaurus, Dryosaurus, Edmontosaurus, Plateosaurus risultano collocati nella categoria “muso lacertiliano”, con i primi quattro che si collocano dentro la distribuzione di questa categoria, e Plateosaurus appena fuori dalla distribuzione. Dryosaurus si colloca nella zona di intersezione tra “aviano” e “lacertiliano”. Visto il margine di errore nell’attribuzione a questa categoria, c’è quindi un 91% di probabilità che essi siano stati collocati correttamente.

Interessante constatare che gli ornitischi ed il sauropodomorfo ricadano dentro il modello lacertiliano, a conferma dei recenti studi sulla muscolatura masticatoria di questi animali che implicano labbra da squamato e non “guance” (Nabavizadeh, 2016).

E Tyrannosaurus? Esso si colloca lontano dalla distribuzione lacertiliana e aviana, ma anche distante da quella coccodrilliana: l’analisi indica che è classificabile dentro la categoria “muso da tartaruga”, alla quale è relativamente prossimo.

Occorre fare alcune precisazioni: il campione di tartarughe incluso nell’analisi è piccolo (3 specie), quindi è possibile che espandendo il campionamento si definisca meglio l’ampiezza della “zona tartaruga”. Dato che l’analisi ha classificato correttamente tutti i coccodrilli e tutti gli squamati, è improbabile che Tyrannosaurus sia stato collocato per errore fuori da una di queste due categorie. Ovvero, il numero di forami labiali di Tyrannosaurus NON è coccodrilliano ma non è NEMMENO lacertiliano. Come abbondanza e numero, esso appare più simile alle tartarughe, quindi, se proprio dobbiamo scegliere un modello vivente per ricostruire questo dinosauro, i forami ci dicono di prendere le tartarughe, non i varani né gli alligatori. Sì, la cosa a prima vista può sembrare inattesa, ma questi sono i dati quantitativi, su cui c’è poco da discutere. Ripeto, l’analisi discriminante ha collocato correttamente tutti i rettili non-aviani viventi nelle rispettive categorie, e nessun aviano è stato collocato erroneamente nella zona delle tartarughe, quindi perché Tyrannosaurus dovrebbe essere una eccezione?

A questo punto, sarebbe molto interessante espandere il campione di specie fossili per le quali si abbia un conteggio sicuro del numero di forami. Non voglio affrettare conclusioni definitive, ma spero che questi dati siano ampliati e tradotti in uno studio quantitativo revisionato.

Siccome siamo in un blog, possiamo anche fare qualche volo speculativo. Ammettiamo per un attimo che la conclusione di questa analisi sia corretta. In tal caso, abbiamo sbagliato tutto nel ricostruire i dinosauri carnivori? I grandi theropodi come Tyrannosaurus (e quanti altri dinosauri?) non erano analoghi né ai coccodrilli né ai varani, ma potrebbero aver sviluppato una sorta di “becco corneo” affilato ai lati della bocca, a protezione dei denti? La questione può essere analizzata funzionalmente: può “funzionare” un margine corneo esterno (analogo ad un becco) assieme alla dentatura? Certi dinosauri, come molti ornitischi e alcuni theropodi, mostrano la compresenza di un becco rostrale e denti posteriori, secondo una disposizione mesio-distale dei due ambiti: può quindi essere ammissibile anche una disposizione labio-linguale dei due ambiti?

Vado oltre, e mi domando: la presenza di questa corneificazione orale potrebbe spiegare il fatto che il becco si evolva così spesso in molti gruppi di theropodi?

Infine, il becco aviano potrebbe essere una evoluzione di questa struttura cornea esterna non-aviana?

Ma soprattutto, quanto è terrificante un Tyrannosaurus con il muso da tartaruga azzannatrice?!

Bibliografia

Morhardt A.C., 2009. Dinosaur Smiles: Do the Texture and Morphology of the Premaxilla, Maxilla, and Dentary Bones of Sauropsids Provide Osteological Correlates for Inferring Extra-Oral Structures Reliably in Dinosaurs? (Western Illinois Univ.).

Cullen T.M., et al. 2023. Theropod dinosaur facial reconstruction and the importance of soft tissues in paleobiology. Science 379, 1348. DOI: 10.1126/science.abo7877.

Nabavizadeh A. 2016. Anatomical Records. 299, 271–294.


(Da Theropoda).





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