Sarà perché tra le due grandi Hepburn del Cinema ho sempre preferito la sanguigna e tenace Katharine alla svenevole ed eterea Audrey, ma miss Julia Kendall (che della poco credibile interprete di “Colazione da Tiffany” riprende le sembianze) non mi è mai stata particolarmente simpatica. La brillante criminologa di Garden City mi è sempre sembrata finta ed artefatta, troppo perfetta per essere reale, con quella sua aria da impenitente sbarazzina associata a un inguaribile atteggiamento da prima della classe. Certo, ammettiamolo pure, nel suo lavoro è estremamente efficace. Alla “dottoressa” Kendall è sufficiente un misero indizio per definire vita, morte e miracoli del cattivo di turno. Da mezzo capello può risalire alla settima generazione del reo (Kay Scarpetta, non sei nessuna!). Julia è il parto letterario di un ormai maturo Giancarlo Berardi ma, a mio avviso, non può essere annoverata tra le migliori creazioni del Maestro genovese. Probabilmente, Berardi ha lasciato il cuore su Ken Parker ed è andato avanti, professionalmente, solo con la testa. Giancarlo rimane un ottimo scrittore ma, paradossalmente, quello che dovrebbe essere un pregio finisce per diventare un limite. Le sceneggiature sono troppo levigate, gli ingranaggi troppo lubrificati, i meccanismi troppo collaudati. Il lettore abituale sa già cosa aspettarsi in ogni albo. In ordine sparso ci saranno una o più animate discussioni tra Julia ed il tenente Alan Webb, inevitabilmente sedate dal buonsenso del bonario “Big Ben” Irving; la telefonata con l’amico fraterno Leo Baxter, puntigliosamente impegnato in acrobatiche imprese amorose con la conquista di turno rigorosamente di carnagione scura. Prima o poi spunterà l’immancabile siparietto con la governante Emily sulla sua tribù di ex mariti e di figli (quella donna deve aver trascorso la maggior parte della sua vita in sala parto), il contrito riferimento alla sorellina degenere Norma (droga nel mondo della moda, una tematica originalissima) e il nostalgico coinvolgimento dell’eterna nonna Lillian (questa zia May all’italiana avrà ormai speso milioni di dollari per le rette della Casa di Riposo). Tutto verrà intervallato dalla “lectio magistralis” alla Hollyhock University dell’inappuntabile professoressa Kendall, capace di tenere a bada con piglio fiero un branco di scalcinati e ignoranti studenti e, una notte sì e l’altra pure, dal solito delirio onirico (allucinazioni che entrano nelle storie determinandone l’andamento, un sano tocco di realismo) con l’immancabile pistolotto psicoanalitico. Gli ingredienti della pietanza sono fondamentalmente sempre gli stessi e il soggetto vero e proprio è solo il sale da aggiungere e dosare a volontà. Certo, dopo un paio di centinaia di numeri, qualcosa va aggiunto ed ecco che arriva la tenera storiella dell’adozione a distanza: Abebe appaga il desiderio di maternità di Julia ma non rompe le scatole con la sua presenza fisica. Infine, poiché il paese è piccolo e la gente mormora, bisogna che l’attempata ragazza si trovi un buon partito. Chi meglio del focoso poliziotto italiano con la faccia dell’attore Michele Riondino? Ettore Cambiasso è bello, simpatico e scherzoso (è o non è un italiano vero?), instaura subito una love story con Miss Kendall, ma se ne sta nel suo orticello genovese e non dà troppi fastidi. Un’ultima citazione di “merito” va a Myrna Harrod, la nemesi letale di Julia. Con lei davvero gli stereotipi vengono sparati a raffica, giocando sull’ambiguo, ma trito e ritrito, rapporto di amore e odio tra le due donne. In definitiva c’è, secondo il mio modesto e fallibile parere, un problema di fondo che zavorra le storie di Julia. Il personaggio sembra cristallizzato in un eterno divenire che non diviene mai, tra titubanze, incertezze e cuori infranti di un “voglio ma non posso” stucchevole e sempre uguale a se stesso. Questa caratteristica, comune a molti personaggi della Bonelli, se da una parte gratifica il lettore dandogli granitiche certezze, dall’altra limita le potenzialità impedendo una concreta svolta narrativa o un rimescolamento delle carte. Questa situazione, per mille motivi, è accettabile per Tex ma non lo è per Julia che non è un’icona paragonabile al vecchio Aquila della Notte. La coerenza narrativa deve rimanere, ma non ci si può infilare in un vicolo cieco narrativo continuando a sbattere la testa contro il muro del “già visto”. Qualche volta l’ascia deve sostituire il cesello! Tutto da buttare, dunque? Certamente no! Julia rimane un discreto prodotto medio che ha avuto l’indubbio merito di avvicinare al mondo del fumetto diverse lettrici, ma il fatto è che Giancarlo Berardi ci aveva abituato troppo bene e ai “grandi” non è concesso essere solo discreti. Navigazione articoli PERCHÉ TEX WILLER DERIVA DA DICK TRACY CARD CAPTOR SAKURA, LA NUOVA STAGIONE
Leggo Julia, sottoscrivo tutto, dall’inizio alla fine. Meriti indubbi e indubbi limiti. Di Berardi devo però dire che… ce ne fossero almeno altri 10 sceneggiatori così, mestiere, sicuramente, ma riconosciamogli anche una qualità sopra la media. Rispondi
nessuno ti obbliga a leggerlo Julia è un capolavoro e non permetto a ne4ssuno di gettarci fango Rispondi
Mi Sembra una lettura un po’troppo schematica di Julia Kendall…. La Kendall non ha nessun a arroganza di prima della classe…Inoltre Myrna Harrods è tutto tranne che un personaggi semplice… SI evolve da semplice assassin a manipolatrice che mira a spingere Le vittime delle sue manipolazioni Al suicidio trova do questo ancora piu’interessante che uccidere… Prima di parlare in modo cosi’esemplificativo di Julia varrebbe la pena di avere una visione piu’ COmplessivo a dell’opera Rispondi
È effettivamente vero che le storie sono abbastanza stereotipate, e le trovate si ripetono molto simili, ma, non dobbiamo dimenticare che è un personaggio immaginario che deve obbligatoriamente seguire uno schema, perché è quello il suo scopo. Cioè, è come pretendere che Ken Shiro diventi improvvisamente un paleontologo che rifà il verso ad indiana jones… Rispondi
Passi la critica sul fumetto in se (di cui secondo me non ha capito l’anima, ma vabbè), passi la critica sulla ripetitività degli schemi narrativi (forse dovuti anche alla stanchezza dello sceneggiatore?), ma questa frase poteva anche risparmiarsela “ha avuto l’indubbio merito di avvicinare al mondo del fumetto diverse lettrici”. Credo sia sessista e lontana dalla realtà. Sa, moltissime donne leggono i fumetti, di tutti i tipi…da sempre. Rispondi
Se questo è il tuo modo di scrivere una critica “ogettiva” allora ti consiglio di chiudere baracca e burattini e di andare a interpretare la nobile arte del pescivendolo. Rispondi
Ho iniziato a leggere Julia questo mese, e solamente i primi due numeri. Non condivido alcune cose: 1)Julia finta e artefatta: solo in questi due numeri gli sceneggiatori hanno mostrato almeno 2 scene in cui lei piange, una volta quando ha scoperto il doppio-gioco del suo ragazzo-produttore Phil, un’altra volta quando ha parlato con la sorella Norma. 2) pistolotto psicanalitico: è una criminologa, e chi ha studiato sa benissimo che è un mix di materie umanistiche e scientifiche. Se uno compra questo fumetto è perché è interessato a questo tema. 3) Lectio magistralis dell’inappuntabile professoressa Kendall: ha anni di studi teorici e casi pratici alle spalle. Non ho capito che s’intende dire. La testata sicuramente può essere migliorata, ma questo articolo sembra più uno scimmiottare la testata e l’autore piuttosto che fare critiche costruttive. Rispondi
Sono sostanzialmente d’accordo con l’articolo, Julia è un discreto prodotto ma sostanzialmente sempre uguale a sè stesso, i capolavori sono ben altri, Ken Parker è di un altro livello. Rispondi