Nel 1949 si tenne al teatro Odeon di Milano la prima di Moulin Rouge, di Pierre La Mure, una commedia tragica che l’autore ricavò dal suo celebre romanzo dedicato alla vita di Toulouse Lautrec.
Il libro, pubblicato in Italia nel 1950 dall’editore Martello, toccherà, negli anni Settanta, ripresentato negli Oscar Mondadori, il cinquantesimo migliaio di copie vendute.

La versione teatrale, messa in piedi dalla Compagnia delle Tre Venezie diretta da Gianfranco De Bosio, si avvalse della valorosa interpretazione di Giancarlo Sbragia (che recitò tutto il tempo e poi per tutta la lunga tournée gravato da un particolare congegno ortopedico) e Diana Torrieri, che si ringiovanì nel ruolo dell’ingrata amante del pittore.

Carlo Terron, grande critico e sensibilissimo autore, sottolineava sul Corriere Lombardo che il pubblico applaudì con partecipazione (quindici chiamate) mentre lui, a dire il vero, rimase abbastanza deluso dalla rappresentazione.
Nel 1952, era uscito il film, con José Ferrer diretto da John Huston, che, per ricchezza di ambienti e requisiti tecnici, non può essere confrontato con la rappresentazione all’Odeon.

Pierre La Mure (1909-1976) non passerà alla storia per essere stato un grande romanziere, ma, per aver scritto Moulin Rouge, con cui si distinguerà come il più autorevole narratore-biografo di Henri De Toulouse Lautrec (1864-1901), l’incomparabile pittore francese, emblema doloroso e intenso del neoespressionismo, inventore della grafica pubblicitaria moderna… puttaniere, alcolizzato, sifilitico con una statura di 1.51.

Moulin Rouge di John Huston, girato in Inghilterra e vincitore di tre Oscar, su sette nomination,  tra cui quelle meritatissime per le scenografie e i costumi, si può collegare ai film dell’ultimo periodo (gli anni Settanta, anche se il suo ultimo film – I morti da Joyce – risale al 1987) di maggiore e cosciente spessore intellettuale.

Huston volle, fin dai primi contatti con i produttori inglesi, dirigere il film con i colori che avrebbe scelto lo stesso Toulouse Lautrec.
Ci riuscì usando un tipo di technicolor a tre strati in modo che si potesse poi stampare con tre modulazioni di gelatine diverse e riproducibili in tante altre svariate gradazioni.

I proprietari del brevetto furono contrari nell’ipotesi poiché diversi direttori della fotografia della Metro Goldwyn Mayer paventavano che il tutto finisse in un amalgama sgraziato come capitava ai film di serie b girati in Trucolor o in Cinecolor, che spesso dovevano essere “lavati” in un’emulsione definitiva per consolidare una tinta primaria non però in grado di reggere nel tempo.
Ma il direttore della fotografia Oswald Morris riuscì a compiere il miracolo che poi diventò usuale in altri capolavori del “cinema dipinto”.

Scritto dallo stesso regista e dal suo abituale sceneggiatore Anthony Veiller, il film è una delle rare biografie di pittori degli anni Cinquanta a essere estremamente sentita e coinvolgente. Ispirandosi con convinzione al romanzo di La Mure, non ha solo raffigurato il mondo pittorico di Toulouse Lautrec, ma anche la sua vita disgraziata e infelice. Il film dipinse cinematograficamente un’epoca della storia e del costume francese, quella della Montmartre degli artisti di fine Ottocento che solo un altro regista – Jean Renoir, uno dei massimi maestri – seppe raccontare con uguale passione in French Can Can, del 1954, con Jean Gabin, dal romanzo di André-Paul Antoine.

Ma se il film di Renoir è la divertita ricostruzione degli anni d’oro del Moulin Rouge, il locale per antonomasia di Montmartre (e rifacendosi felicemente alle raffigurazioni di Auguste Renoir, padre del regista), Moulin Rouge di Huston ha dalla sua, come il libro di La Mure, l’incredibile vicenda di Toulouse Lautrec che di quel locale e del suo quartiere fu il narratore per eccellenza. Il protagonista è indelebile come lo sono i suoi quadri e i manifesti che realizzò proprio per reclamizzare il caffè-teatro, popolato di ballerine di facili costumi, rampolli in cerca d’avventure, attrici dai molteplici amanti, artisti dai calzini bucati. Gli impresari dal folto pelo sullo stomaco videro trasformare un’attrazione considerata di terz’ordine in un punto nodale della cultura a cavallo tra due secoli; e poi una rinomata ribalta del bel mondo dove il prezzo dello champagne quadruplicò nel giro di poche settimane.

Toulouse Lautrec era l’erede maschio d’una famiglia d’alto lignaggio ed altrettanto alto senso dell’aristocrazia.

Il padre spadroneggiava sulle sue immense tenute limitandosi a tenere l’amministrazione mentre centinaia di fittavoli lavoravano per lui e lo osservavano, da lontano, andarsene tutti i giorni a cavallo sugli sterminati prati della sua proprietà.

Sposatisi tra cugini per svariate generazioni precedenti, i genitori trasmisero al figlio una cospicua dose di malattie genetiche.

Ma la sua vera disgrazia fu la rottura, per una banale caduta, dei due femori che, mal curata, lo condannò al nanismo e, per crudele paradosso, all’ipertrofia dei genitali in un busto da uomo mentre le sue gambe non raggiunsero più di 65 centimetri.

TOULOUSE LAUTREC AL MOULIN ROUGE


Rinchiuso nel maniero di famiglia come un vergognoso scherzo della natura, Toulouse Lautrec iniziò a disegnare e poi a dipingere paesaggi e figure tradizionali. Quando fu convinto di avere talento, prese il coraggio – non comune per un nobile del suo tempo e malridotto com’era – e se ne andò a Parigi. Qui, diseredato dal genitore, alloggiò in una soffitta passando la maggior parte delle ore al Moulin Rouge, allora considerato luogo di depravazione e disonore, nel quale familiarizzò con le ballerine e soprattutto con le prostitute.

Visse a lungo in un bordello in cui, sempre aiutato economicamente dalla madre, finanziò l’emancipazione di alcune delle ospiti che, nella sua preveggenza, considerava simbolo femminile dell’emarginazione di cui soffriva egli stesso.

TOULOUSE LAUTREC AL MOULIN ROUGE


Quando si accenna alle “signorine” di Montmartre non ci si può ovviamente riferire alle “escort” che oggi guadagnano cifre da capogiro e hanno scambiato l’emancipazione della donna con la conquista del lusso e di un deprimente riconoscimento sociale.

Le madamigelle che frequentava il pittore erano, per la maggior parte, delle povere disgraziate, per lo più analfabete e avviate alla professione dalla famiglia stessa, costrette al mestiere dalla miseria e dall’ignoranza.

Alcune erano ex attrici e danzatrici che, dilapidato in fretta il guadagno della gioventù trascorsa sul palcoscenico, si erano ridotte, nel migliore dei casi, a fare le mezzane, ricattate dalla polizia e dai politici che in pubblico chiedevano la chiusura delle “case” e in privato le costringevano alle peggiori nefandezze.

Uno dei capitoli più struggenti del libro, che costituisce l’asse portante della parte centrale del film, è appunto la passione di Toulouse per una di queste che cerca disperatamente, affamato d’amore e tenerezza, di considerare come una compagna fedele fino a quando lei, incrudelita dalla povertà e incapace di comprender l’arte e l’affetto del suo amante, lo lascia.

TOULOUSE LAUTREC AL MOULIN ROUGE


Lui, datosi all’alcol con la determinatezza del disperato, riavrà lo splendido ritratto della ragazza – che l’aveva venduto per pochi spiccioli su un mercatino di cianfrusaglie – grazie ai suoi amici pittori che lo ritrovarono per caso su una bancarella del Lungo Senna, ed oggi è esposto al Louvre.

Un altro momento, il più significativo e pregnante del romanzo e del film, è il tentativo di suicidio che il pittore attua dopo un’ennesima e sconcertante delusione amorosa.
Apre i rubinetti dell’illuminazione a gas e, con la compagnia di una bottiglia, si addormenta nel buio della sua soffitta.

All’alba, quando le prime lamine di sole lo svegliano non ancora completamente avvelenato, il suo sguardo va all’ultimo quadro lasciato incompiuto sul treppiede.
Allora si alza. Chiude i rubinetti.
Spalanca tutte le finestre e, immemore d’ogni altra cosa che non sia la sua vocazione coincidente con la passione per la vita, riprende a dipingere.

Che Toulouse Lautrec abbia tentato più volte il suicidio è certo.
Che le cose siano andate esattamente così è un’invenzione artistica di La Mure, che Huston asseconda ergendola, per convinta partecipazione, ad esempio dell’arte incompresa ed emozionante.


Allo stesso modo non è sicuro che, sul letto di morte, riportato al castello di famiglia, il padre, che ha appena saputo dell’acquisizione dei dipinti del figlio al Louvre e della loro enorme quotazione di mercato, gli chieda perdono per non averlo capito mentre (evidente ma dolce e nostalgica licenza poetica) le ballerine e le cocotte del Moulin Rouge entrano danzando nella sua stanza per tenergli compagnia fino all’ultimo respiro.

Dimostrava allora quasi cinquant’anni. Ne aveva solo trentasette.

Dove il libro non può giungere, ma il film certamente, è nella riproduzione non tanto dei famosi manifesti (pur esaltati con raffinatezza), quanto dei quadri più importanti del protagonista. Figure di donne angariate, annichilite, umiliate, infelici, ridotte a carne e ossa. Piccoli seni prosciugati, capezzoli intirizziti, gambe rinsecchite dalla disgrazia e dall’assenzio che fanno il paio con altri ritratti di queste nel pieno della vigoria e della sensualità. Poppe turgide, cosce accoglienti, corpi rigogliosi sia nudi sia vestiti, al centro dell’attenzione del pubblico del Moulin Rouge, alla toletta, in attesa di clienti nell’atmosfera fumosa e straprofumata dei bordelli di lusso, nelle osterie come nei salotti borghesi.

A Toulouse Lautrec toccò anche d’essere il ritrattista della sua svariata fauna umana e testimone della trasformazione di Montmarte, e quindi del Moulin Rouge (proprio grazie alle sue “reclame” che divennero immediatamente famose in tutta Parigi) da postaccio di bettole e ubriaconi a tempio del can-can e della moda del tempo sicché i pittori più giovani e ancora squattrinati emigrarono a Montparnasse, l’altro quartiere che dà titolo alla più intensa biografia letteraria e cinematografica di uno di questi (Modigliani) nell’indimenticabile interpretazione di Gerard Philipe.

L’attore che impersona Toulouse Lautrec è José Ferrer, nativo di Porto Rico, divenuto uno dei più apprezzati e valenti attori e registi di Broadway. L’anno prima, era stato il vincitore dell’Oscar per l’interpretazione di Cyrano de Bergerac.

Ferrer, non sempre dotato di grande empatia con il pubblico cinematografico, come può succedere anche ai più eclettici mattatori del teatro, riesce qui, recitando costantemente sulle ginocchia, a darci un ritratto eccezionale, pietoso e feroce al tempo stesso, di Toulouse Lautrec. L’artista è raffigurato, come nelle fotografie e nell’autoritratto, quasi sempre con la marsina lunga, immerso in un’invincibile tristezza ma anche in una caparbia volontà di amare e godere della vita e dell’arte. E’ con l’immancabile bastone di mogano con cui teneva lontano le turbe di ragazzini che lo schernivano e i creditori che lo perseguitavano, ha la battuta pronta e acuminata, manifesta l’allegria venata di sarcasmo e amarezza.

Il film Moulin Rouge (2001) di Baz Luhrmann è un’opera effervescente, piena di ricche contaminazioni melodiche, omaggio intelligente e colossale agli splendori della commedia musicale.

Ma non ha niente a che fare con Moulin Rouge di La Mure, né col film di Huston. È uno specchio dell’immaginario del regista, che può piacere o meno, ma si situa a distanza siderale dall’analisi della vita di un pittore e del suo mondo, di una raffigurazione del passaggio dell’arte da soggetto personale a oggetto di consumo come i corpi delle baldracche e delle ballerine confuse nel flusso di colori del locale dove si inventò il can-can.


Infatti – uno dei particolari meno riusciti – raffigura Toulouse Lautrec come una macchietta, poco più di uno schizzo uscito da un album di figurine da barbiere, solo una delle tante in questo arsenale di fuochi d’artificio che fanno sfondo all’interpretazione totalizzante di Nicole Kidman.

Quindi, senza nulla togliere al talento di Luhrmann, se volete conoscere, senza addentrarvi nella saggistica specifica, la vera Montmartre degli impressionisti (e dei post-impressionisti) compratevi i dvd dei film di Renoir e Huston, compratevi Moulin Rouge di Pierre La Mure.

E, se volete appassionarvi e commuovervi, emozionarvi e capire la sua anima e godere dei suoi colori, cercate il Moulin Rouge con José Ferrer la cui interpretazione di Toulouse Lautrec nessuno (e ci hanno provato) ha mai eguagliato.

Il libro, fuori commercio da tempo, forse lo trovate ancora su qualche bancarella e anche online.
Non vale tanto, ma compratelo come fece Pissarro quando salvò il ritratto di Marie Charlet al mercato delle pulci.

Anch’esso contiene ancora le luci variopinte del vecchio Moulin Rouge che splendono per sempre nei quadri, negli acquerelli, nei disegni, di Henri De Toulouse Lautrec, poeta delle taverne e dei bassifondi, della carne umiliata, della miseria e del sesso mercenario, elevati a testimonianza della potenza dell’arte e del suo più intimo ardore.


 

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