The Wicker Man non è mai stato distribuito in Italia: è disponibile in lingua originale in Dvd e Blue-ray. Alcune versioni possono avere i sottotitoli in italiano. A bordo di un idrovolante, il sergente Neil Howie va nell’appartato isolotto di Summerisle, nell’arcipelago scozzese delle Ebridi, alla ricerca della adolescente Rowan Morrison, di cui i genitori hanno denunciato la scomparsa. Fervente cristiano, l’agente di polizia resta turbato e nauseato dalla natura estremamente libera e disinvolta dei costumi degli abitanti dell’isola, dediti a una forma di paganesimo celtico. Ben presto, le sue indagini si scontrano con il silenzio e la reticenza degli isolani e con l’ambiguità della loro guida, Lord Summerisle. Intanto, la grande festa pagana del Primo maggio si avvicina (nei paesi anglosassoni in quella data non si celebra la festa dei lavoratori – NdR). Quando nei primi anni settanta i manieri, i castelli infestati e le strane creature dei film della casa di produzione inglese Hammer cominciarono a interessare meno il pubblico in favore di pellicole dal taglio più realistico realizzate negli Stati Uniti (come L’esorcista di William Friedkin o Rosemary’s Baby di Roman Polańsky), Robin Hardy, regista già molto attivo nella pubblicità e in televisione, specialmente con i documentari, dirige The Wicker Man, suo primo lungometraggio per il cinema, con la sceneggiatura di Anthony Shaffer, che adatta il romanzo del 1967 “Ritual”, di David Pinner. Shaffer, che desiderava cimentarsi con l’horror, è un drammaturgo di talento già autore di due film, Frenzy (1972) diretto da Alfred Hitchcock e Gli insospettabili (Sleuth, 1972) di Joseph L. Mankiewicz, con Laurence Olivier e Michael Caine, a sua volta adattamento per il cinema di una sua pièce teatrale già portata sulle scene con successo. La casa di produzione e distribuzione British Lion Films accettò di finanziare il film con un budget di circa 460mila sterline, talmente risicato che Christopher Lee (il quale, oltre a essere un appassionato di occulto, credeva molto nel progetto) accettò di interpretare gratuitamente il ruolo di Lord Summerisle. Anche se aveva già interpretato un parte simile (ma meno importante) nello spaventoso La città dei morti (The City of the Dead, 1960) di John Llewellyn Moxey, il ruolo di Lord Summerisle per Christopher Lee segna una svolta nella carriera dell’attore che vuole svincolarsi dalla “maledizione del vampiro” di cui fu “vittima” il grande Bela Lugosi, schiacciato dal suo immenso Conte Dracula. Edward Woodward / sergente Neil Howie Christopher Lee / Lord Summerisle Del cast fanno parte anche l’attrice polacca Ingrid Pitt (al secolo Ingoushka Petrov), divenuta famosa per i suoi ruoli da vampira in alcuni film della Hammer e la futura Bond Girl Britt Ekland (L’uomo dalla pistola d’oro, 1974, in cui recitava anche Christopher Lee), le cui scene di nudo, oltre a causare la censura del film (in Italia non è mai uscito ufficialmente), indispettirono alquanto Rod Stewart, fidanzato di allora dell’attrice svedese, al punto di tentare (si dice) di acquistare tutte le copie del film, per evitare la programmazione pubblica. Per il ruolo del sergente di polizia Neil Howie, la produzione aveva pensato a David Hemmings e Michael York ma, dopo che entrambi rifiutarono, si scelse Edward Woodward, già noto per avere interpretato il ruolo da protagonista nella serie Callan (1967-1972), dove interpreta la parte di un killer al soldo di un’agenzia segreta del governo britannico (che gli valse il premio come miglior attore protagonista ai British Academy Television Awards del 1970). Woodward sarà anche il protagonista della serie Tv The Equalizer (1985-1989), conosciuta in Italia con il titolo Un giustiziere a New York. Inizialmente si era pensato anche a un altro veterano del genere horror, Peter Cushing, star della Hammer come Lee, che però era già impegnato in altre produzioni. Così, dopo tutti i preparativi necessari, piena libertà e sei settimana per girare, a ottobre iniziarono le riprese in Scozia, cosa che causò più di un problema visto che la storia si svolge alla fine del più mite mese di aprile. Edward Woodward, a causa del freddo, perse un dito del piede. Quando Emi acquistò British Lion Films, non credendo che il film potesse avere successo, decise di tagliare dal montaggio finale 11 minuti e successivamente lo distribuì in sordina negli Stati Uniti. In Inghilterra, invece, presentò il film insieme a un’altra pellicola che considerava un fallimento annunciato, A Venezia… un dicembre rosso shocking (Don’t Look Now, 1973) di Nicolas Roeg (che poco dopo girerà un altro classico, L’uomo che cadde sulla terra, con David Bowie). È curioso notare come entrambi i film in cui la major non credeva, siano poi diventati dei cult della cinematografia di genere. Sul finire degli anni sessanta, con l’arrivo del movimento hippy che vagheggiava uno stile di vita alternativo in armonia con la natura, il folklore legato ai riti celtici ha goduto di una nuova primavera, favorendo il riaffiorare del “druidismo” che, per buona parte del secolo scorso, ha interessato molte comunità sorte sulle isole al largo dell’Inghilterra. In The Wicker Man, Hardy, fa sfoggio di un’accurata ricerca effettuata su questa cultura, restituendo una impressionante idea di coerenza. Il fatto che il film sia stato girato proprio in un’isola, a contatto con la natura scozzese e i suoi magnifici panorami (nonostante tutti i problemi che questo ha generato al cast e agli addetti ai lavori il clima sfavorevole), dà ancora più vigore alla riuscita generale del film, contrapponendosi alla maggior parte delle produzioni inglesi di genere realizzate fino a quel momento, che erano generalmente ambientate in tetri manieri o comunque per lo più in location delimitate e ricostruite negli studi di posa. Messa così da parte tutta la tradizionale iconografia demoniaca e vampiresca, che aveva fatto la fortuna del cinema horror gotico della Hammer, The Wicker Man mette in scena il contrasto tra cristianesimo e un immaginario paganesimo druidico e i suoi simbolismi celtici, attingendo dalla mitologia dell’occulto. Contemporaneamente, Shaffer inserisce nella sceneggiatura elementi gialli e di mistificazione, che gli sono particolarmente congeniali. The Wicker Man viaggia su binari opposti a quelli tipici dell’immaginario horror dell’epoca. Hardy mostra la vita dell’isola quasi sempre durante le ore diurne, gli isolani (interpretati da abitanti del luogo) sono un po’ “esuberanti” per le idee bigotte del sergente, ma appaiono gioviali e bonari, così come lo stesso signore dell’isola, Lord Summerisle/Christopher Lee, non è un tenebroso signore (del male) ma un cordiale e allegro aristocratico, con una folle pettinatura (quella si, fa veramente paura…). Senza cedere alla tentazione di inserire momenti cruenti e sanguinari, il film costruisce piuttosto una lunga attesa che non fa ricorso direttamente al soprannaturale, suggerendo che sotto alla superficie bucolica si nasconda, in realtà, qualcosa di molto più grande e pericoloso. Britt Ekland Ingrid Pitt Si può dire che The Wicker Man segue le orme di due classici britannici del genere horror: La notte del demonio (Night of the Demon, 1957) di Jacques Tourneur e The Devil Rides Out (1968) di Terence Fisher, inedito in Italia. Se nel film di Tourneur è la razionalità di uno scienziato (interpretato da Dana Andrews) a dover combattere contro una terribile maledizione degli un adoratori del diavolo (l’attore Niall MacGinnis), in quello di Fisher, invece, è il duca di Richleau (Christopher Lee) che, da abile occultista fa uso esteso della “magia bianca” per sconfiggere un malefico stregone (Charles Gray) e liberare due giovani fanciulle cadute sotto la sua nefasta influenza. In entrambi i film, i culti pagani vengono affrontati sulla base di un “semplice” conflitto duale tra bene e male. Il film di Hardy e Shaffer, invece, utilizza un approccio innovativo che mostra una comunità nella quale il paganesimo è stato reintrodotto con lo scopo di riconvertire l’economia della comunità alla cura e allo sfruttamento della terra e dei suoi frutti, dandogli così una nuova linfa vitale. I riti degli isolani si basano sulla celebrazione della vita, la morte non esiste in quanto considerata parte del ciclo naturale dell’esistenza e la procreazione è riverita e adorata da tutta la comunità, in antitesi ad una religione in cui la natura dell’uomo è considerata depravazione e immoralità e l’educazione sessuale è equiparata alla più spregevole corruzione morale dei giovani. Ricordiamoci che si tratta di un film del 1972 anche se, per certi versi e in alcune realtà, la cosa non si discosta poi molto dalla realtà odierna.The Wicker Man non ci presenta il male come antagonista del bene, ma usa il paganesimo, oltre che per la forza che il suo simbolismo ha nell’immaginario comune e come spinta narrativa, per assillare il cristianesimo mostrandogli i molti punti in comune, che alla base sono alimentati dagli stessi temi, come fossero due facce della stessa medaglia. Una particolarità del film di Robin Hardy è che i congiurati risultano, almeno all’apparenza, più amabili e piacevoli del protagonista, il sergente Howie, che da buon conservatore moralista non approva nulla di quella comunità e non nasconde il suo disprezzo per essa. Mischiando i generi (all’horror si lega il giallo della ragazza scomparsa), il film è l’esempio di un nuovo punto di vista nel film di horror, che sostituisce con un orrore legato a situazioni molto umane gli esseri mostruosi e le creature demoniache, tipiche delle produzioni di genere del passato. Un nuovo approccio ai film horror iniziato negli anni sessanta, quando le cospirazioni e le sette andavano per la maggiore. Roman Polanski aveva iniziato questa trasformazione con la sua trilogia degli alloggi: Repulsione (Repulsion, 1965), Rosemary’s Baby — Nastro rosso a New York (Rosemary’s Baby, 1968) e L’inquilino del terzo piano (Le Locataire, 1976). Un personaggio arriva in un ambiente all’apparenza comune dove ogni parvenza di normalità viene meno gradualmente e, poco a poco, ci si rende conto che tutti sono parte di una tremenda macchinazione ai danni del protagonista. Ma The Wicker Man non è solo un nuovo tipo di horror, è anche un singolare musical, che scandisce il corso della trama con canzoni popolari arrangiate o composte per l’occasione dal musicista americano Paul Giovanni ed eseguite con il gruppo dei Magnet. Molti momenti importanti del film sono accompagnati da canti e, a volte, coreografie eseguite dai membri del cast, come la danza dove Britt Ekland nuda tenta il sergente di polizia Howie. Questa scelta intensifica il clima di illusoria innocenza che si respira durante il film e mette l’accento su un paganesimo gioviale e naturista. Numeri musicali che, va precisato, non sono mai gratuiti, ma perfettamente integrati con lo svolgimento della trama. Nella tradizione celtica, poi, dove la trasmissione delle tradizioni era orale e non scritta, i canti danno ancora più risalto all’aspetto tradizionale e pagano dell’isola. The Wicker Man è stato inserito al quarantacinquesimo posto dei film più spaventosi di sempre e al sesto nella classifica dei film più importanti del Regno Unito. Nel 2012 alcune scene del film furono inserite anche all’interno di un video promozionale per le Olimpiadi. Nel 2006, Neil LaBute ha diretto Il prescelto, remake del film di Hardy con Nicolas Cage, Ellen Burstyn e Leelee Sobiesky, che però soffre di una generale edulcorazione di tutto quanto potesse essere considerato politicamente scorretto e azzardato, riducendo il film ad una scatola vuota privata del suo significato più profondo e del suo essere. The Wicker Man si può considerare come un prototipo dell’horror più “elevato”, come viene definito oggi indicando film di registi come Jordan Peele (Scappa — Get Out, 2017 e Noi, 2019), Ari Aster (Hereditary — Le radici del male, 2018 e Midsommar — Il villaggio dei dannati, 2019), Robert Egger (The Witch, 2015 e The Lighthouse, 2019) e altri nuovi autori che cercano di andare oltre le barriere del film tradizionale. E se la psiche è il tema più ricorrente nelle produzioni horror di questi ultimi anni, le religioni e i culti nel cinema di genere sono praticamente sempre presenti, con particolare rilevanza in quello degli anni settanta. Se qualcuno riscontra delle analogie con Midsommar, del già citato Aster (ne parlo qui), non è lontano dalla realtà, in quanto il film del regista di New York è considerato una sorta di omaggio (quasi un remake, per il sottoscritto), ma con la fondamentale differenza che la visceralità del film di Hardy e il suo apparire confusionario, è in totale contrapposizione con la quasi asettica serietà e dalla maniacale rigorosità del film di Aster. È un vero peccato che il film non sia mai stato distribuito ufficialmente sul territorio italiano e sarebbe auspicabile che lo fosse o, per lo meno, che qualcuno portasse nel nostro paese l’edizione Final Cut in video, che su tre dischi porta tutte le versioni, da quella uscita nelle sale a quella comprensiva di tutti i tagli effettuata e montata secondo le intenzioni originali. Un cult che merita di essere riscoperto (o scoperto) da ogni appassionato. The Wicker ManregiaRobin HardysceneggiaturaAnthony Shaffertratto dal romanzo Ritual (1967)di David PinnerconChristopher LeeEdward WoodwardBritt EklandIngrid PittDiane CilentoBritish Lion FilmsRegno Unitofolk horror87 min (Theatrical)99 min (Director’s Cut)92 min (The Final Cut)1973 Navigazione articoli LO SCERIFFO SENZA SCAMPO DI FRANKENHEIMER GARGOYLES, ANCORA LI RIMPIANGIAMO
Della musica l’hai detto, dei remake l’hai detto… nonostante sia un super fan di questo film devo ammettere che hai detto proprio tutto. La mia scena preferita: Britt Ekland che balla nuda tentando il poliziotto da dietro la parete della sua stanza, mentre la camera riprende anche il lento accoppiarsi di due lumache mentre in sottofondo scorre lenta una musica bucolica. Il locandiere è il celebre mimo (maestro di Bowie e Gabriel) Lindsay Kemp. Molto belle anche le maschere da animali durante la festa. Rispondi