Facciamo così, provando a metterla nel modo più semplice possibile: Il Corvo (da qui in poi The Crow – Il Corvo per distinguerlo dal film con Brandon Lee) se la gioca a mani bassissime con Madame Web e Borderlands per il titolo di peggior film dell’anno. E, in tutta onestà, potrebbe anche vincere. Perché, sì, ovviamente c’è il beneficio del dubbio, anche in virtù del fatto che uno certo non è che abbia la palla di cristallo con cui vedere il futuro, va sempre concesso. Semmai, sta diventando molto difficile continuare ad accordare questa fiducia, diciamo. Soprattutto se cominci pure ad andare contro ogni limite imposto dal semplice buon senso. Di campanelli d’allarme ‘sto The Crow – Il Corvo ne aveva fatti scattare a palate fin dall’annuncio; e no, quel senso di repulsione generale provato un po’ da tutti non riguarda l’ardire, l’essersi proprio azzardati a proporre un nuovo film, un nuovo Eric Draven completamente diverso “dall’originale” nel tentativo di allinearsi ai tempi correnti e rivolgersi ai giovani d’oggi. No, ciò che The Crow – Il Corvo è stato in grado di dimostrare (e questa è la cosa buona, in realtà) è che il pubblico, per la maggior parte, non è una massa di poveri cerebrolesi con lo sguardo vitreo e la bava alla bocca, frutto di generazioni di accoppiamenti fra consanguinei. Anche volendo metterci tutta la buona volontà di questo mondo, già dal rilascio della prima teaser image di Bill Skarsgård con il trucco di scena era possibile capire quanto ci fosse di sbagliato in quella figura. Si capiva al volo quanto quell’aspetto da ragazzo di buona famiglia che si riempie di tatuaggi brutti per sembrare uno pericoloso, “uno di strada”, fosse una minchiata plateale e, giustamente, come tale percepita e rifiutata un po’ da chiunque. Certo, che si trattasse soltanto della proverbiale punta dell’iceberg è un altro discorso; ma intanto… Capiamoci meglio: Il Corvo (The Crow) è uno dei tanti fumetti apparsi sulla scena del mercato indipendente americano dell’epoca. Un ramo editoriale parallelo slegato dalle dinamiche che regolano le pubblicazioni della grande industria dei comics. Una scena che ha visto il suo periodo di massimo splendore verso la seconda metà degli anni ‘80 e i primissimi anni ‘90, traghettata dal successo di cose come le Tartarughe Ninja di Kevin Eastman e Peter Laird. Ora, il punto che fondamentalmente distingue Il Corvo da tutta una serie di pubblicazioni similari, come pure i gamberetti del West Bengala sapranno a ‘sto punto, sta nel fatto che Il Corvo è un’opera estremamente personale, imprescindibilmente legata al suo autore: James O’Barr. Una sorta di elaborazione del lutto, in pratica, con cui ha provato a esorcizzare la morte della sua fidanzata di allora, uccisa da un automobilista ubriaco. Inoltre, quando nel 1981 O’Barr iniziò a lavorare su Il Corvo, su questo mezzo per affrontare la sua tragedia personale, un’ulteriore fonte d’ispirazione per lui arrivò da un’orribile notizia di cronaca nera: una coppietta uccisa per un anellino di fidanzamento di soli venti, schifosissimi, pulciosi dollari. Da qui, la storia di Eric e la sua fidanzata Shelly, vittime della violenza insensata di una banda di criminali e di come, in seguito, guidato da un corvo soprannaturale, Eric torna dall’oltretomba per vendicarsi dei loro assassini. Ecco, strutturalmente parlando, Il Corvo è un’opera molto semplice e lineare: la vendetta è il tema che ne regola la trama, mentre la caducità della vita è il sottotesto che invece alimenta la storia. Belle o brutte che siano, le cose capitano. Chiamalo destino, caso o come vuoi, fatto sta che nessuno ha il potere di influenzare ciò che gli accade intorno; dopotutto… “vittime, non lo siamo tutti?”. Adesso, come detto più e più e più e più volte ormai oltre i limiti della nausea, molti film sono prodotti figli dei loro tempi, paradigmi esemplari per e della loro epoca che ne riflettono usi e costumi; tanto che col tempo ne diventano manifesto stesso. Psycho, Red Dawn, Jacob’s Ladder, Footloose, Matrix, ora Il Corvo: remake, reboot, prequel e sequel fuori tempo massimo, falliscono per un semplicissimo motivo. Mancano di un collegamento autentico con il contesto storico e culturale che ha reso significativi i film originali. La difficoltà sta nel replicare non solo la storia o lo stile, ma anche lo zeitgeist che ha permeato quei film e perciò, per estensione, li ha resi impossibili da replicare al di fuori del proprio contesto. Quante volte ancora toccherà dimostrarla ‘sta cosa. Il Corvo del 1994 di Alex Proyas con Brandon Lee, quello che su internet, certe persone, appena circolate le foto di Bill Skarsgård scartato ai provini di Amici subito si sono affrettate a sottolineare quanto non è che sia ‘sto grande capolavorò del cinematografò modernò, guarda caso è proprio uno di quei film legato imprescindibilmente al suo contesto, tanto quanto, quasi paradossalmente, il fumetto originale è imprescindibilmente legato al suo autore. Perché gli anni ’90 sono stati un decennio di cinismo e disillusione, in particolare per la Generazione X, cresciuta in un’epoca di incertezza sociale, economica e politica. Il mondo era appena entrato nel periodo post-Guerra fredda ed era venuta a crearsi questa fase caratterizzata da un disincanto verso le grandi narrazioni ideologiche e da una crescente attenzione verso le ingiustizie sociali e i conflitti urbani. Il Corvo di Proyas, appunto, nel bene o nel male è stato in grado di catturare questi sentimenti di alienazione e impotenza, amplificati da un’estetica che rispecchia pienamente la cultura grunge e gothic degli anni ’90: look oscuro, abiti neri in pelle, trucco pesante, ambientazioni urbane piovose. Attraverso questi richiami visivi all’arte e alla musica di quegli anni è stata dipinta una città decadente e corrotta, dove la giustizia è possibile solo attraverso atti di ribellione violenta da parte di individui isolati, anziché attraverso le istituzioni. Ora, trent’anni dopo, ragioniamo per ipotesi e facciamo finta che non sia mai esistito nessun fumetto chiamato Il Corvo e nessun film basato su questo fumetto. Facciamo finta che The Crow – Il Corvo di Rupert Sanders non sia un remake, ma un film completamente originale uscito oggi, nell’Anno Domini 2024. Funziona? Manco per sbaglio per un solo minuto. Perché? Perché manca clamorosamente il punto della storia che cerca di raccontare. Esattamente come non esiste una spiegazione semplice, netta e pulita in grado di motivare e mettere a posto ogni cosa, cioè la caducità della vita di cui si diceva sopra, The Crow – Il Corvo parte dall’orribile, esasperante presupposto (e quale sarebbe la novità a ‘sto punto?) che il pubblico sia completamente rinco*lionito e incapace di capire ciò che sta vedendo. Perciò, tutto, ogni singola cosa dev’essere spiegata. Ogni singola cosa. Il problema sta nel fatto che nel frattempo il film cerca disperatamente di trovare e dare una spiegazione a tutto, nessuna di queste spiegazioni ha senso. A causa di questo insopportabile continuo tentativo di ridefinire ogni elemento di una storia fatta e finita, presto cominciano ad accumularsi concetti e idee diverse, senza però che qualcuno si renda conto quanto, effettivamente, quelle idee si traducano male sullo schermo facendo a cazzotti fra loro. “Quando accade qualcosa di terribile, un corvo decide di riportare indietro un’anima dal mondo dei morti, affinché possa raddrizzare i torti e mettere a posto le cose”. Giustamente, questa è scienza missilistica, un concetto troppo difficile da afferrare. Dev’essere spiegato. Dev’essere allungato. Quindi, ecco che viene fuori il cattivo con i poteri del demonio, il limbo, come funzionano i poteri del corvo, come funziona quello e perché succede quell’altro. Il risultato finale è un film che non ha alcun senso della struttura, un esempio di pessima regia, pessima scrittura e addirittura pessimo montaggio. Assolutamente incapace di creare aspettative o intrighi su personaggi e storia, tutto si limita a mostrare una cosa, provare a spiegarla e poi, all’improvviso, fare una brusca inversione a “u” per passare a un’altra cosa ancora, provare a spiegarla e così via per 111 estenuanti, fastidiosissimi minuti. La cosa grave è che tutto ciò si riflette sulle performance degli attori e persino sulla colonna sonora. Poiché il film non riesce a creare personaggi o situazioni in grado di suscitare un minimo d’interesse, il vero limbo è quello in cui si ritrovano spaesati tutti gli attori. Tra l’altro, a parte il fatto che FKA Twigs, la tipa che interpreta Shelly (il grande amore di Eric conosciuta appena-appena due minuti prima) non è un’attrice e si vede palesemente, il problema è che fra lei e Skarsgård non c’è la benché minima chimica. Nonostante l’incredibile quantità di tempo spesa a ripetere (e spiegare) quanto si amino, cioè tipo metà film, c’era più sintonia fra Johnny Depp e Amber Heard al processo per diffamazione che fra ‘sti due. Come detto, pure la colonna sonora non si salva da ‘sto delirio, con Sanders che sceglie di inserire alcuni dei più strani e fuori posto needle drop che uno abbia mai sentito: un mischione pazzesco che va dai Joy Division a Enya passando per i pezzi trip hop della stessa FKA twigs, senza alcuna soluzione di continuità. In altre parole, The Crow – Il Corvo è mal scritto, mal diretto e pure mal recitato; ma quello che ammazza definitivamente ‘sto film è il montaggio: una struttura e un ritmo così strani e sballati che invece di quelle quasi due ore di running time, finisci per percepirne otto più due di straordinari. Se Borderlands si è rivelato un triste promemoria sul come non andrebbe fatto un adattamento, The Crow – Il Corvo è un promemoria, non di come non dovrebbe essere fatto un remake, ma proprio come non andrebbe fatto un film. Ebbene, detto questo anche per stavolta è tutto. Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro. (Da Il sotterraneo del Retronauta). Navigazione articoli DON CAMILLO E PEPPONE, DUE TIPICI ITALIANI RICORDANDO EVERETT DE ROCHE DI “PATRICK”