Ammettiamolo, alcuni oggetti ti “chiamano” appena li guardi. Non è detto che siano i più belli. Anzi, potrebbero anche essere francamente orrendi. Ad esempio una teiera in anticorodal o lo sgorbio di un pittore aderente all’Art Brut oppure un pupazzo made in China fatto con plastica radioattiva. Eppure… guardare un oggetto, specie se usato, antico, “vissuto”, tocca in ognuno di noi delle corde che nessun altro saprebbe toccare. Il giudizio estetico passa in secondo piano. Magari sappiamo anche che è una schifezza, ma questo passa in secondo piano. Questa è la premessa generale. Facciamo ora un esempio concreto. In un sabato di chissà quanti anni fa, in un negozietto di provincia, mi “chiamò” un quadretto con una cornice rovinata, che raffigurava un panorama per me abbastanza anonimo. Delle casette. Un albero. Un lago. Montagne sullo sfondo. Nemmeno il massimo, per uno che è nato sul mare. Però, sarà stato l’equilibrio cromatico, sarà stata la serenità dell’immagine, sarà quel che sarà, il quadretto mi piacque subito. Costava poco, lo presi. È una stampa acquarellata, almeno credo. Eccola: Naturalmente non mi illudevo di aver trovato un capolavoro misconosciuto. La firma dell’artista era illeggibile. Il soggetto, generico. Le parole, scritte a matita, incomprensibili. Per quanto mi riguardava, il lago poteva essere un qualsiasi parto della fantasia di un incisore di qualche decina di anni fa, se non addirittura di un secolo fa. Del resto di laghi non ho mai capito molto. Forse l’unico che mi aveva incuriosito era quello scozzese, il celebre Loch Ness, che in una vecchia storia di Jack Kirby letta da bambino era diventato Loch Trevor. Anni dopo mi capitò di trovare, su Internet, per caso, una immagine di una località tedesca. La cittadina si chiama Tegernsee, sorge su un lago che si chiama Tegernsee, e c’è un edificio che si chiama, incredibilmente, Abbazia di Tegernsee. Riproduco il particolare della foto tratta dalla pagina di Wikipedia. Mi sembra indiscutibile che si tratti dello stesso edificio che si intravede nella mia stampa. (Immagine di Rufus46 – “Kloster Tegernsee”, da Wikipedia. Licenza CC BY-SA 3.0). E del resto, provando a guardare con più attenzione le scritte a matita che appaiono sotto l’immagine, non può esserci dubbio. La località è proprio quella. Tegernsee, in Alta Baviera, 747 m sul livello del mare. 3.668 residenti e un numero imprecisato di turisti (cito ancora da Wikipedia). A questo punto mi sono sentito come Champollion davanti alla Stele di Rosetta. Quei segni confusi, che per anni, quando li contemplavo, mi erano sembrati una massa indistinta di lettere senza senso, diventavano ora con certezza una T, una E e via di seguito. Che illuminazione! Pensavo di poter disporre di una chiave che mi aiutasse a dare un nome all’ignoto autore dell’opera. Ecco, qui sotto, le altre scritte. Ammetto che come egittologo non valgo un fico secco, perché non sono riuscito a capire nemmeno una parola. La prima parola potrebbe essere un “by”, se l’autore fosse inglese? Ma allora, a seguire dovrebbe esserci il cognome dell’autore… ma come leggerlo? Redieruty? Reocieretty? Non sono riuscito a rintracciare nessuna parola/cognome sensato con i noti strumenti di ricerca informatica. E l’ultima parola cosa potrebbe essere? Il cognome? Il titolo? Uno scarabocchio messo lì a bella posta per far rincretinire chi avesse acquistato l’opera un secolo dopo? Non saprei proprio. La prima lettera potrebbe essere una S… ma anche una L… A un certo punto mi sembrava di poter leggere “Sunshining”, ma che senso avrebbe? Sentendomi questa volta Sherlock Holmes, ho pensato che avrei potuto trovare qualche elemento in più smontando la cornice originale, che del resto era brutta e malridotta. In presenza del corniciaio, ho assistito trepidamente allo smontaggio, sperando che, nella parte nascosta dell’opera, o sul retro, potesse esservi qualche indizio risolutivo. Ovviamente non c’era nulla, perché mai avrei dovuto aspettarmi qualcosa? Mi sembrava che il corniciaio mi guardasse con un sorrisetto di compatimento mentre mi mostrava i campioni per realizzare la nuova cornice. La storia è terminata, il quadretto è sempre appeso alla medesima parete di casa, a destra della porta di ingresso. Ho impiegato oltre dieci anni per capire che rappresentava il lago di Tegernsee, magari tra altri dieci scoprirò chi è l’autore. E forse dirò tra me e me: “Elementare, Watson!”. Navigazione articoli ALESSANDRO MANZONI SI NASCONDEVA BRUCOLACO, IL CAPOSTIPITE DEI VAMPIRI
L’ultima parola in realtà sono due: il nome e cognome dell’autore, Hans Frey. Nel web puoi trovare notizie sul quadro e sul pittore. La parola precedente invece non sono ancora riuscito ad inquadrarla. Rispondi
Grazie di cuore a tutti e due. Non conosco il tedesco e questo sicuramente ha reso più goffa la mia ricerca. Ho visto in rete altre opere attribuite a questo artista e devo dire che alcune hanno la firma molto simile alla mia, altre ne hanno una del tutto diversa, con il nome e il cognome ben separati e leggibili. Ci sarà stata una evoluzione evidentemente nello stile e nel modo di firmare. Ho anche cercato una monografia sull’artista ma non l’ho ancora trovata. Valuterà il Pennacchioli se, alla luce della soluzione dell’enigma, eliminare il pezzullo o tenerlo Rispondi
ho l’impressione che le scritte siano di mani ed epoche diverse; guarda la esse di Tegernsee e quella di Hans; probabilmente non sono autografe; ma no, perché cancellare il pezzo?! penso sia verissimo che gli oggetti ti cercano, e ti trovano; Rispondi