TABARCHINO: UN DIALETTO LIGURE IN AFRICA, SARDEGNA E IN SPAGNA

Il tabarchino è un dialetto ligure parlato attualmente in Sardegna nella città di Carloforte (U Pàize), nell’isola di San Pietro (San Pé), nell’isola di Sant’Antioco (Sant’Antióccu), nell’arcipelago del Sulcis e nella parte sud-occidentale dell’isola.

È parlato dall’87% degli abitanti di Carloforte, dal 68% degli abitanti di Calasetta, dal 72% dei bambini di Carloforte e dal 62% dei bambini di Calasetta in età scolare. Gruppi di emigrati che mantengono un uso familiare del tabarchino sono residenti a Carbonia, Iglesias, Cagliari (circa cinquemila persone) e a Genova.

Ma come è stato possibile che alcuni abitanti della Sardegna parlassero il ligure?

Si erano forse trasferiti dalla Liguria in Sardegna?

Il dialetto ligure da Pegli (Genova) alla Tunisia 

Nel 1540 alcuni pescatori di corallo liguri provenienti da Pegli, cittadina a ovest di Genova e ora quartiere di Genova, andarono a colonizzare Tabarca in Tunisia. L’isola tunisina di Tabarca era stata ceduta nel 1167 ai pisani dal bey di Tunisi (il bey era un governatore locale sottoposto alla Turchia ottomana).

Pisa, all’epoca potente repubblica marinara, aveva fondato sulle coste africane banche e traffici di ogni genere fin dal 1087 a seguito di una spedizione vittoriosa. A Tabarca i pisani godevano dell’esclusivo privilegio della pesca del corallo, che tennero fino a quasi il 1550.

Nel 1540 l’isola di Tabarca, prospiciente la città di Tunisi, venne data dal bey in concessione alla famiglia genovese dei Lomellini che ad essa erano interessati per la pesca del corallo. I Lomellini facevano parte della cerchia di Andrea Doria, ed erano legati per vincoli di parentela alla famiglia Grimaldi, che ancora oggi governa Monaco. La concessione era probabilmente il prezzo per la liberazione del corsaro turco Dragut, catturato nel 1540 da Giannettino Doria, luogotenente di Andrea Doria, nella battaglia di Girolata.

I Lomellini colonizzarono Tabarca con un gruppo di abitanti di Pegli, quartiere di Genova (altra potente e più longeva repubblica marinara), dove avevano varie proprietà e un grandioso palazzo di villeggiatura. La comunità di pegliesi visse a Tabarca per vari secoli. Il dialetto ligure che parlavano venne detto tabarchino dal nome dell’isola su cui si trovavano ed essi stessi vennero chiamati tabarchini.

Le enclavi linguistiche minoritarie in terra straniera

Credo che a molti emigrati capiti quello che successe ai pegliesi. Io stessa l’ho vissuto: i miei genitori venivano dalla provincia di Alessandria per trasferirsi a Torino nel 1937, prima della Seconda guerra mondiale.

A casa mia con i genitori e i nonni si parlava il dialetto alessandrino, che è una variante di dialetto piemontese con molte influenze lombarde ed emiliane. È un dialetto diverso dal dialetto torinese e da quello cuneese. È come una calda coperta che mi copre e mi rassicura. È un linguaggio intimo, nostro, che dice chi siamo. È anche un linguaggio segreto che non bisogna assolutamente usare con gli estranei perché si verrebbe esposti alle prese in giro. Ma non c’era pericolo che mi confondessi,  benché fossi una matota (bambina). 

Una mia amica, che proveniva dalla mia stessa zona linguistica, si divertiva a sentirmi parlare con mio fratello. Mi disse che il dialetto che parlavamo noi era antico, era il dialetto parlato da sua nonna. Secondo lei non si era evoluto, era rimasto quello di quando i miei genitori erano arrivati a Torino. A suo parere il dialetto del posto aveva cercato di modernizzarsi, includendo molte parole italiane, mentre il nostro era rimasto cristallizzato al 1937, quando mio padre era arrivato a Torino. Era ricco di termini che al paese di mio padre e di mia madre non si usavano più.

Credo che questo succeda a tutti i dialetti parlati dagli emigrati che si trovano in una zona linguistica diversa. Ho sentito parlare il mio dialetto in una grande cascina in Argentina durante una trasmissione di Patrizio Roversi e Syusy Blady: “Turisti per caso”.  I contadini argentini, i cui antenati provenivano dal Piemonte, pensavano che il loro dialetto fosse un linguaggio della loro famiglia. Io sapevo che il mio dialetto era parlato dalle persone che vivevano nel paese da cui provenivano i miei genitori, ma era una nozione lontana. Quando andavo al paese di mio padre mi veniva naturale parlare italiano e ogni volta che mi rispondevano nel mio dialetto era uno shock, come se invadessero la mia sfera personale.

Trasferimento dei pegliesi tabarchini in Sardegna

Mutate le condizioni politiche in seguito all’accresciuta ingerenza della Francia e all’esigenza della nuova dinastia tunisina degli Husainidi di rafforzare il proprio controllo sul territorio, nel 1738 una parte della popolazione tabarchina preferì trasferirsi in Sardegna, sull’isola di San Pietro.

Nel 1741 Tabarca fu occupata dal bey di Tunisi, e gli abitanti rimasti divennero schiavi, ma Carlo Emanuele III di Savoia, Re di Sardegna, riscattò una parte di questa popolazione, portandola ad accrescere nel 1745 la comunità di Carloforte, in Sardegna.

Nueva Tabarca in Spagna

Altri tabarchini rimasero schiavi e furono ceduti al bey di Algeri, che a sua volta nel 1769 li affidò dietro pagamento di un riscatto al re di Spagna Carlo III.

Erano 69 famiglie di origine genovese provenienti dalla piccola isola di Tabarca, sita a circa 300 metri dalle coste tunisine. Dipendenza della Repubblica di Genova, la Tabarca africana fu occupata nel 1741 dal bey di Tunisi, per diventare algerina nel 1756.

Il monarca spagnolo riscattò le famiglie genovesi nel 1768 e le trasferì ad Alicante, dove, provvisoriamente, si installarono nel Collegio della Compagnia di Gesù, libero perché ne erano stati espulsi i Gesuiti. In seguito si insediarono definitivamente nell’isola di Sant Pau, dove vennero costruite mura, batterie, bastioni, magazzini e case, che costituiscono un interessante e singolare esempio dell’attività ricolonizzatrice di Carlo III. A partire dal 1770 l’isola prese il nome di Nueva Tabarca. I cognomi più comuni dei suoi attuali abitanti ne tradiscono l’origine genovese: Chacopino (Giacoppino), Luchoro (Luxoro), Manzanaro (Mazzanaro), Salieto (Saglietto), Parodi, Pianello, Russo e molti altri.

Attualmente nessun tabarchino residente in Spagna ha conservato l’uso del dialetto tabarchino.

Vicende dei Tabarchini rimasti a Tunisi

Una parte dei Tabarchini rimasti a Tunisi in condizione di libertà si trasferirono nel 1770, su invito del maggiorente carlofortino Giovanni Porcile, sull’isola di Sant’Antioco, dove fondarono Calasetta.

Gli ultimi tabarchini rimasti in Tunisia, prevalentemente nei porti di Tunisi, Biserta e Sfax, costituirono un millet (nazione), minoranza etnico-linguistica e religiosa riconosciuta dal bey di Tunisi, e come tale godettero di una certa tutela.

Molti di loro fecero parte dell’amministrazione della Reggenza soprattutto sotto il regno di Ahmed I, figlio a sua volta di una schiava tabarchina, svolgendo un ruolo attivo nella politica e nell’economia del paese, spesso a diretto contatto con imprenditori liguri quali Giuseppe Raffo e Raffaele Rubattino.

L’uso del tabarchino in Tunisia è attestato fino ai primi del Novecento quando, con l’instaurazione del protettorato francese, la maggior parte dei Tabarchini optò per la naturalizzazione. I loro discendenti vivono oggi prevalentemente in Francia.

Caratteristiche del tabarchino

Il tabarchino è molto simile, ma non identico, al genovese moderno a causa dei continui rapporti economici e culturali intrattenuti dalla popolazione con l’antica madrepatria, sia al tempo del soggiorno tunisino sia dopo la fondazione delle comunità in Sardegna. A causa del relativo isolamento è invece più simile al ligure antico per diverse forme letterarie e grammaticali.

Curiosa è la ovvia perdita, in terra tunisina, di pochi vocaboli legati al clima di origine: per il ghiaccio, il gelo e la neve (riacquistati poi dall’italiano con la colonizzazione sarda), e la conservazione invece di diversi vocaboli desueti o modificati negli ultimi secoli a Genova.

Qui in particolare il tabarchino di Calasetta è rimasto meno esposto all’influsso del genovese standard, per una situazione culturale di maggiore conservazione, malgrado una più forte apertura lessicale verso il retroterra sardo. Entrambi i dialetti hanno un limitato numero di prestiti di derivazione araba e dei francesismi.

Oggi il tabarchino dispone di una grafia normalizzata che agevola il largo uso che se ne fa non solo nella pratica quotidiana, ma anche nell’insegnamento scolastico, per il quale sono stati redatti dal corpo insegnante adeguati testi e aiuti per apprenderlo. La vitalità dell’uso anche presso le giovani generazioni fa del tabarchino un caso unico nel contesto delle minoranze linguistiche presenti in Italia, e il tabarchino risulta la varietà tradizionale maggiormente diffusa in Sardegna.

Grammatica del tabarchino

Articolo

  • articoli determinativi maschile singolare: u / l’
  • articoli determinativi femminile singolare: a / l’
  • articoli determinativi maschile plurale: i
  • articoli determinativi femminile plurale: e (Carloforte) / i (Calasetta)
  • articoli indeterminativi maschile singolare: in (forma contratta ‘n)
  • articoli indeterminativi femminile singolare: ina (forma contratta in’ / ‘na)

Pronome

  • pronomi personali (forme toniche): mi, ti, lé, niotri/nuoitri, niotre/nuoitre, viotre/vuotri, viotre/vuiotre, lù, liotri/luiotri, liotre/luiotre
  • pronomi personali (forme riflessive): lé, lù/liotri/liotre/luiotri/luiotre
  • pronomi personali (forme atone soggettive): ti, u/u l’, a/a l’
  • pronomi personali (forme atone oblique): me, te, au (Carloforte)/ô (Calasetta)/û, â/l'(complemento oggetto)/ghe (complemento di termine), ve, ai (Carloforte)/ê (Calasetta)/î/l'(complemento oggetto)/ghe (complemento di termine)

Forme poco usate come pronomi personali di forma riflessiva sono nuì e vuì a Carloforte, i pronomi personali atoni soggettivi vanno messi sempre prima del verbo.

Aggettivi possessivi

  • mé, tó, só, nóstru/nóstri, nóstra/nóstre, vóstru/vóstri, vóstra/vóstre, só

Aggettivi e pronomi dimostrativi

  • maschile singolare: stu/quéstu/quéllu
  • femminile singolare: sta/quésta/quélla
  • maschile plurale: sti/quésti/quélli
  • femminile plurale: ste/quéste/quélle

Aggettivi e pronomi dimostrativi di identità

  • méximu/màiximu (frequenti a Carloforte), stéssu/istéssu (Calasetta)

Aggettivi e pronomi indefiniti singolativi

  • quorche, quarchedün, quarchedüña, quarcósa/quorche cósa, ün/ünna, dôtrài, dôtre, otru, otra, otri, otre

Inoltre di origine italiana sertu/certu davanti al nome o all’articolo indeterminativo, come pronome è usato poco, come pronome plurale sempre di origine italiana serti, più usato di de quélli.

Aggettivi e pronomi indefiniti collettivi

  • pronome singolare maschile: ün pe l’otru (chiunque)
  • pronome singolare femminile: ünna pe l’otra (chiunque)
  • pronome plurale maschile e femminile: chi sun sun (chiunque)
  • aggettivo singolare maschile e femminile: ógni (ogni)
  • pronome singolare maschile: ognidün (ognuno)
  • pronome singolare femminile: ognidünna (ognuna)
  • pronome e aggettivo singolare maschile: tüttu (tutto)
  • pronome e aggettivo singolare femminile: tütta (tutta)
  • pronome e aggettivo plurale maschile: tütti (tutti)
  • pronome e aggettivo plurale femminile: tütte (tutte)

Preposizioni

  • de, à, da, (in, inte), cun, in sce, pe, tra, fra

Verbi

Essere

Infinito

Ésse

Indicativo

Presente:

  • Mi sun
  • Ti t’é
  • Le u l’è
  • Niòtri sémmu
  • Viòtri sài
  • Liòtri sun/en

Imperfetto:

  • Mi éa
  • Ti t’éi
  • Lé u l’éa
  • Niòtri ému
  • Viòtri éi
  • Liòtri éan

Futuro semplice:

  • Mi saió
  • Ti ti saiè
  • Lé u saiò
  • Niòtri saiému
  • Viòtri saiài
  • Liòtri saiàn

Passato Prossimo:

  • Mi sun stètu
  • Ti t’é stètu
  • Lè u l’è stètu
  • Niòtri sémmu stèti
  • Viòtri sài stèti
  • Liòtri sun / En stèti

Trapassato prossimo:

  • Mi éa stètu
  • Ti t’éi stètu
  • Lé u l’éa stètu
  • Niòtri ému stèti
  • Viòtri éi stèti
  • Liòtri éan stèti

Genere

  • Sono maschili tutti i nomi terminanti in -u, come figgiu (figlio), erbu (albero), libbru (libro), cuogiu (coraggio);
  • sono maschili tutti i nomi terminanti in , come pastú (pastore), razù (rasoio),  (sole);
  • sono maschili tutti i nomi terminanti in -àu, come pescàu (pescatore), chignàu (cognato);
  • sono quasi tutti maschili tutti i nomi terminanti in -i, come bríndizi (brindisi), lápizi (matita);
  • sono quasi tutti maschili tutti i nomi terminanti in , come barì (barile),  (filo);
  • sono maschili i nomi terminanti in , come gatò (croccante), partò (soprabito)
  • sono femminili i nomi terminanti in -a, come figgia (figlia), ua (ora), röa (ruota), paggia (paglia), scöa (scuola), sa (sale);
  • sono femminili i nomi terminanti in , come cuizité (curiosità), libertè (libertà), mué (madre), sité (città);
  • sono femminili i nomi terminanti in , come sc-ciavitǖ (schiavitù), virtǖ (virtù), zuentǖ (gioventù);
  • sono però maschili e non femminili borba (zio), pappa (papà), bóia (boia), café (caffè), pué (padre);
  • possono essere sia maschile che femminile i nomi terminanti in -e, come u dente (dente), u lete (latte), u munte (monte), u punte (ponte), a gente (gente), a lǖxe (luce), a ture (torre);
  • possono essere sia maschile che femminile i nomi terminanti in , come u barbé (barbiere), u bulanxè (fornaio), a mugè (moglie);
  • possono essere sia maschile che femminile i pochi nomi terminanti in , come u cascá (cuscus), u bacá (stoccafisso), a  (casa);
  • possono essere sia maschile che femminile i nomi terminanti in -ài, come u piaxái (piacere), u despiaxái (dispiacere), a sái (sete).

La tutela legislativa della minoranza linguistica

Il tabarchino in quanto minoranza linguistica, così come le altre lingue minoritarie gallo-italiche della Sicilia e della Basilicata, non gode di tutela da parte dello Stato italiano. È stata presentata alla Camera dei deputati una proposta di legge che prevede una “modifica dell’articolo 2 della legge 15 dicembre 1999, n. 482” affinché vengano incluse anche queste minoranze linguistiche nella legge di tutela. Allo stato attuale, il tabarchino gode solamente di tutela a livello regionale.

Ringrazio Lorraine Lorena che mi ha segnalato il tabarchino.

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