Senza girarci troppo intorno: She-Hulk Attorney at Law è un prodotto semplicemente mediocre e, certo, uno non ha bisogno della scienza per arrivarci. I motivi sono abbastanza evidenti e non c’è tanto da chiedersi il come. Semmai, ci sarebbe da chiedersi il perché. Perché She-Hulk Attorney at Law è una roba, a livello sia strutturale sia concettuale, talmente sciatta, pigra, vecchia e fuori tempo massimo, in un mondo in cui supereroi a titolo generico ti escono fuori dalle pareti, da essere quasi imbarazzante. Forse una decina d’anni fa… Forse. Fra il tempo in cui l’oceano inghiottì l’Atlantide e il sorgere dei figli di Aryas, quando i cinecomics non erano ancora un genere a sé, sfruttato all’inverosimile e ben oltre i limiti imposti dal buon senso. L’era in cui un film con protagonista un qualche supertipo a caso era ancora, appunto, un film. Nel vasto e variegato mondo dell’intrattenimento i successi e i fallimenti, gli alti e bassi sono la norma. Non che ci sia o ci sia mai stato qualcosa di strano o addirittura di male in questo. Anzi. In un mondo perfetto, non staremmo manco qui a parlarne. Invece… She-Hulk Attorney at Law alla ricerca della formula magica Dopo l’ultimo episodio gli autori di questo “grande affresco del femminismo postmoderno” continuano a parlarne. A darsi grandi pacche sulle spalle congratulandosi l’un l’altro, estasiati della loro “vittoria” sull’establishment di una società maschio-sciovinistica e fallocentrica. Una spiegazione del perché She-Hulk Attorney at Law è praticamente uno degli spettacoli migliori e più eccitanti attualmente disponibili nel panorama dello streaming in generale, e il perché chiunque dica il contrario è malvagio almeno quanto Genghis Khan. I motivi per cui un prodotto non funziona possono essere tanti. Tanti, diversi e non sempre riconducibili a un’effettiva mancanza di qualità. Fondamentalmente, come autore, non è che uno alla fine abbia chissà quante opzioni. Il massimo che puoi fare è impegnarti a creare qualcosa al meglio delle tue capacità, delle tue possibilità e poi sperare che vada tutto per il verso giusto. Sperare, perché, ovviamente, non esiste “La Regola” da seguire in grado d’assicurarti fama imperitura. Non esiste l’incantesimo da lanciare, la “Formula Magica”, in grado di farti avere gloria e successo eterni. Puoi essere il nuovo Shakespeare e fallire miseramente, oppure fare i miliardi con una roba tipo Peppa Pig, per dire. Dipende da tante cose. Però vediamo di capirci bene, perché questa cosa è importante. Cos’è la critica? In sostanza non è altro che trovare, in modo equanime e quanto più oggettivo possibile, i pro e i contro di quel che sia. La critica è uno strumento che serve a far crescere, migliorare. Per quanto negativa possa essere, la critica è sempre giusta. Perché si impara dagli errori, non dai successi. In altre parole, se fai una cosa, la fai sbagliata e nessuno ti dice niente, nessuno “ti critica”, quella cosa continuerai a farla nel modo sbagliato. Si tratta di un concetto semplice, no? La critica rientra nello spettro delle capacità critico-analitiche di chiunque in possesso della capacità cranica in grado di fare due più due. Tuttavia… Neanche a tornare al pleistocene, eh, ma giusto a qualche anno fa, all’epoca delle Ghostbusters di Sony. Ghostbusters 2016, sostanzialmente, rappresenta il culmine di una abitudine in voga a Hollywood: riciclare e riconfezionare all’infinito idee e proprietà vecchie e stravecchie. Un grossolano tentativo di midstream retcon – cioè un lasciapassare che autorizza implicitamente a tenere solo quegli elementi che funzionano, scartando il resto come tanti cloni difettosi di Ripley – che nessuno voleva e nessuno aveva chiesto. Praticamente l’unica incontrovertibilmente geniale trovata a cui tutti, ovviamente, avremmo dovuto inchinarci e applaudire, stava nel fatto che adesso i Ghostbusters erano quattro donne. Se tanto mi dà tanto, sarebbero potute essere pure quattro scolopendre. Eppure, nonostante evidenti mancanze e più che palesi difetti, per Chris Hemsworth, caldeggiato dal resto del cast, le critiche non solo erano ingiuste, ma completamente sbagliate. A detta sua, “chi attacca le Ghostbusters è solo un misogino frustrato”. Giustamente. Un paio d’anni dopo, come tanti altri attori prima di lei, Elizabeth Banks arriva a formulare l’idea che sia cosa buona e giusta passare dietro la macchina da presa. Quindi, se ne esce con Charlie’s Angels: il remake di un reboot dei primi anni ‘00 di una serie tv degli anni settanta. Alé. Charlie’s Angels è andato (parecchio) male, d’accordo. Intanto, se uno considera che si tratta del primo tentativo di una che non ha la minima esperienza o competenza né come regista né come sceneggiatore – sì, perché la Banks si è pure scritta da sola la sceneggiatura – tutto sommato le critiche non erano poi manco tanto gravi. Perciò, onore al merito, no? No, perché secondo la Banks il suo film era assolutamente perfetto. Se non ha incassato i fantastiliardi che meritava, a detta sua, la colpa è solo ed esclusivamente degli uomini. Perché, si sa, “i maschi non vanno a vedere le donne che fanno i film d’azione”. Quando, poi, qualcuno le ha fatto notare che film come Atomica bionda, Red Sparrow e compagnia cantante erano andati bene, per non parlare degli stratosferici incassi di Wonder Woman e Captain Marvel, per la Banks non significava niente, perché “quelli sono film da e per maschi”. Capito adesso qual è il punto, il filo conduttore con She-Hulk Attorney at Law? Nella sua forma mentis, She-Hulk Attorney at Law è un prodotto il cui inequivocabile obiettivo è delegittimare tutto ciò che non sia il guadagno. Una logica fredda e insensibile agli antipodi di qualunque forma di creatività, che diventa assolutamente terrificante quando si considera un fatto. Ghostbusters, Charlie’s Angels, Aviron, The Goldfinch… She-Hulk è in ordine temporale l’ennesimo esempio di una ormai sempre più comune, quanto pericolosa, tendenza che nel giro di una manciata d’anni ha visto una crescita esponenziale: il tentativo, cioè, d’invalidare qualsivoglia tipo di critica. Come? Incolpando il pubblico, naturalmente. Perché? Perché un prodotto mediocre, per forza di cose, verrà criticato a causa dei suoi stessi difetti. Per estensione, questo significa niente dindini in cassa. Perché She-Hulk, una serie di nove episodi della durata di una mezz’oretta scarsa l’uno che si traduce in circa quattro ore e mezza d’esecuzione totali, fa poco. Fa poco e quel poco che fa, lo fa pure male. Risultato più che ovvio se: A) Ti impunti a voler seguire a tutti i costi un modello (Disney) che chiaramente non funziona più. B) Ti incarti mani e piedi sulla direzione da prendere, nel tentativo di aderire a quel modello. Su carta, Jennifer Walters, cioè She-Hulk, sarebbe pure un’avvocatessa oltre ad avere i superpoteri. Uno studio legale che si occupa di casi riguardanti supereroi potrebbe essere un espediente intrigante sia per la commedia, sia per far avanzare la storia. Invece finisce per essere solo un elemento messo lì, statico, a fare da sfondo. L’unica funzione pratica è quella di catalizzatore per una sfilza di cammei un tanto al kg di personaggi random. Personaggi, tra l’altro, di cui per lo più non frega niente a nessuno. In un’intervista per Variety pubblicata pochi giorni prima della première, Jessica Gao, la head writer della serie, se n’è uscita con ‘sta cosa: lo spettacolo – come previsto da piani iniziali – avrebbe dovuto mettere in risalto e concentrarsi maggiormente sugli aspetti legali. Al contrario, dice, alla fine sia lei sia il resto del team di scrittori, una volta entrati nella stanza degli sceneggiatori si sono accorti che, sfortunatamente, “nessuno di loro era poi così esperto nello scrivere drammi legali” e “nemmeno così abile nello scrivere avvincenti courtroom scenes”. Bene. Sempre in quell’intervista di Variety e sempre alla Gao, visto il dichiarato accostamento fra She-Hulk Attorney at Law e Ally McBeal, giustamente le è stato chiesto quanto fosse stata importante per lei quella serie e quanto, eventualmente, abbia contribuito in termini d’ispirazione. La Gao e il resto degli sceneggiatori sono tutti “un po’ troppo giovani per aver conosciuto davvero quello spettacolo durante il suo periodo di massimo splendore”, altro che Ally McBeal, è chiaro dov’è andata (o ha provato) a parare: Fleabag. Se hai intenzione di rompere la quarta parete in uno spettacolo, devi davvero impegnarti e davvero sapere cosa stai facendo. In questo senso c’è ben più di un motivo se Fleabag, ideata, scritta e interpretata da Phoebe Waller-Bridge, è stata un successo istantaneo. C’è ben più di un motivo se i premi glieli hanno tirati appresso con la fionda e l’hanno considerata un classico moderno. Schiaffata all’istante nella lista degli 80 migliori spettacoli della Bbc di tutti i tempi e con uno score di gradimento, sia di critica che di pubblico, del 100% su Rotten Tomatoes. Se proprio vuoi copiare lo stile, quella peculiare rottura della quarta parete usata in uno spettacolo di successo tanto recente, almeno assicurati di farlo come si deve. Ad avercele, manco tutt’e due, ma almeno mezza palla per fare di She-Hulk Attorney at Law un prodotto, anche solo vagamente simile, a Fleabag. Il problema, se non si fosse ancora capito, sta nel fatto che She-Hulk Attorney at Law è una pallida e brutta imitazione di una sitcom di fine anni novanta, il cui approccio è completamente sbagliato. Qui siamo alle prese con una serie confusionaria, dove brand identity, fanservice e capitalizzazione sono in costante lotta fra loro per il predominio, incapace di seguire una linea di condotta. In quei momenti in cui non prova disperatamente a essere divertente, quando smette di fingere di non prendersi sul serio con qualche gag tutta da ridere perché, sai, dal 2014 si porta così, finisce per essere addirittura ancora peggio di quanto già non sia. In effetti, She-Hulk: Attorney at Law è la prova inconfutabile del fatto che Disney/Marvel non ha un minimo di rispetto nei confronti dei suoi spettatori. A partire dai primissimi anni ottanta, dalla storica run di John Byrne, She-Hulk è uno dei personaggi Marvel fra i più conosciuti e apprezzati. Quindi, gli sceneggiatori, sulla base di quale presupposto hanno pensato che al pubblico non sarebbe piaciuta? Secondo Kat Coiro, regista della serie, Jessica Gao e il resto degli sceneggiatori, il motivo principale per cui, a priori, il pubblico avrebbe odiato She-Hulk sta nel fatto che in primo luogo si tratta di una donna. Poi, di una donna di successo e come se non bastasse, pure bella e con i superpoteri. Ah, ecco. Sì, perciò la serie è andata male. Strano… conflitto e dilemma sono cuore e anima del dramma. Gli elementi, cioè, con cui avviene lo sviluppo e la caratterizzazione di storie e personaggi. Quindi, il problema non è una storia la cui trama manca di qualsivoglia articolazione. Manco il fatto che la protagonista non affronta nessuna crescita, rimanendo piatta in un’esposizione che va a schiantarsi in continui nonsense. Ma non mi dire… Magari, non è che She-Hulk Attorney at Law è andata male per il semplice motivo che alla fine, anziché avere una storia appagante e un personaggio intrigante di cui appassionarsi alle vicende, questo non è stato altro che l’ennesimo esperimento nel tentativo di perfezionare finalmente la Formula Magica? Magari, non è che She-Hulk Attorney at Law è andata male perché tutto gira intorno alla proiezione di una serie di assurde fantasie degli autori? Forse perché preoccupati, unicamente, di martellare il pubblico con il tipico “femminismo aziendale” la cui massima ampiezza concepibile delle difficoltà di essere una donna si riduce a “Gli uomini sono brutti e cattivi”? Sempre per dire, eh. Pur dando per buona la spiegazione – millemillesima e a posteriori, naturalmente – di Kat Coiro, Jessica Gao, Tatiana Maslany (la protagonista della serie) e tutto il resto appresso, la cosa non è che migliori, eh. Anzi. Si fa solo più preoccupante, semmai. Cioè, spendi decine e decine di milioni per…? Fare tutto male apposta. In pratica, tutti i palesi difetti di She-Hulk Attorney at Law, a quanto pare, sarebbero voluti. Perché l’intenzione, lo scopo principale degli autori, a monte era quello di “trollare gli haters” di internet. Ammesso e non concesso sia veramente così, questa non è manco una cosa senza senso, ma pura follia. Perché ciò significherebbe che pur di capitalizzare, si è tranquillamente disposti a prendere una serie di tematiche delicate, tagliarle con l’accetta e buttarle in faccia al pubblico con l’eleganza e la finezza di una gara di rutti improvvisata. Così, giusto per farti da scudo. In altre parole, stai ammettendo che un piattume simile – perché She-Hulk Attorney at Law è veramente di un piattume e di una banalità sconcertanti – è stato scritto così male apposta, a priori, come un attacco preventivo contro la critica. Se non è la Formula Magica del successo questa… Ebbene, detto questo è tutto. Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro. (Da Il sotterraneo del Retronauta). Navigazione articoli DA AIRPORT ALL’AEREO PIÙ PAZZO DEL MONDO IL TRONO DI SPADE: DAI POEMI EPICI ALLA SERIE TELEVISIVA