C’era gente che non aveva mai conosciuto il fascino della primavera, non l’aveva mai incontrato faccia a faccia, fino a che non giunse a Parigi. Castagni in fiore, tavolini per turisti sotto gli alberi, Parigi era ben diversa dal Michigan, dall’Oklahoma e dal Nebraska.
Erano tutti quei posti da dove arrivavano gli espatriati statunitensi che
si ritrovavano nelle caffetterie parigine come il “Café de Flore” o il “Les Deux Magots”, durante i “ruggenti anni venti”.

Potevi sentire i canti osceni degli avvinazzati e gente per strada dallo sguardo vuoto raccontare le storie più incredibili. Come quella in cui un principe saudita raggiunge Josephine Baker alle Folies Bergère, le si inginocchia davanti, le chiede la mano, lei lo rifiuta e lui si spara.
O come quel medico che giurava di avere diagnosticato lui la schizofrenia a Nižinskij dopo che aveva lasciato il suo impresario e i Balletti russi. E tu credevi a tutti perché niente ti sembrava impossibile nella Parigi degli anni venti. C’erano tutti. Ma proprio tutti.

 

Isadora Duncan e Sergej Esenin 

Lui era un poeta russo con la testa piena di simboli. Lei una ballerina americana che danzava a piedi nudi e leggeva Schopenhauer davanti alla finestra. Lui beveva vodka e champagne, e parlava con la voce roca dell’alcolizzato. Guardando quelle gambe muoversi pensava “è una dea”. Pensava “lei mi darà la felicità”.

Lui  mezzo pastorello in camicia con brachesse e stivali, e mezzo damerino in abito da sera. Lei indossava tuniche semitrasparenti e lini leggeri. La loro fu una scommessa d’amore. Lui le ripeteva: “Visto che sono nato poeta, ti bacerò come un poeta”.
Finì come uno specchio in frantumi. Finì come uno stagno che le canne e il muschio hanno sommerso. Dove non riesce più a riflettersi la pallida falce della luna.

 

Ernest Hemingway 

L’uomo che combatteva contro i tori della letteratura dicono avesse due anime: una da pugile e una da torero, e una luna e dei fuochi alle spalle. A Parigi beveva  Pernod e ballava al Cafè des Amateurs, gremito e con le vetrine appannate dal caldo e dal fumo dell’interno.
Niente a che vedere con i mangiatori di ostriche francesi o russi, né con il classico né con lo sperimentale.

Era piuttosto una specie di acrobata, un prestigiatore. Quando lo vedevi indovinare le carte capivi che avresti potuto innamorarti di lui o forse lo eri già. Pensavi a quando aveva vent’anni e Gertrude Stein gli diceva che faceva parte di una generazione perduta.  Quando aveva vent’anni, Parigi gli sembrava una festa mobile.

 

Francis e Zelda Fitzgerald 

Zelda era una donna come sono poche, Zelda era scandalosa, Zelda era una testa calda, era una testa che ogni giorno perdeva qualche cosa. Zelda aveva occhi di falco e una bocca sottile. Un giorno si innamorò di un pilota di idrovolanti francese. Era una stella della riviera. Eccelleva nel nuoto. Ma più di tutto s’impegnò per rovinare il marito. Francis aveva la fronte alta e i capelli ondulati.

Francis aveva una bocca irlandese, delicata. Con una camicia bianca con le punte del colletto abbottonate. Negli anni di Parigi fu il miglior scrittore vivente. Poi Zelda, che lui amava disperatamente, lo condusse alla rovina. Alla fine se chiudeva gli occhi si rivedeva con le ali di farfalla. Quando scrivere gli veniva facile. Come agli uccelli cantare. E poteva chiaramente ricordare quando volare non gli era costato il minimo sforzo.

 

Henry Miller e Anaïs Nin 

A Parigi il ciliegio era fiorito e illuminato dai raggi ribelli del nuovo sole. Il quartiere si era ormai riempito dei piumini bianchi dei pioppi che galleggiavano a mezz’aria. Henry e Anaïs si incontrarono mentre le massaie lavavano i piatti e i gatti dormivano sulle poltrone davanti alle finestre. Era un giorno normale, ma presto divenne una sarabanda e l’intreccio di quelle due vite infuocate fece sorgere una domanda…

… Era giusto innamorarsi in primavera, quando l’inverno è ormai un ricordo e tutti aspettano l’estate? Ma d’estate l’amore brucia come un fuoco artificiale che dà spettacolo e sbalordisce, ma dura poco.
Tutto inizia a finire quando, nell’estate del 1933, Anaïs incontra quel padre che l’aveva abbandonata da bambina e precipita in un ingorgo di vita e morte.

 

Ezra Pound 

Nei primi anni venti, Ezra Pound viveva a Parigi con un cappello pieno di ricordi in rue Notre-Dame-des-Champs. Aveva la faccia di un angelo, come risulta anche dal ritratto che gli scattò Henri Cartier-Bresson, e un principio di tristezza in fondo al cuore.
Si incontrava spesso con Hemingway, che gli stava insegnando a boxare di sinistro, a mantenere sempre il piede corrispondente in avanti e a riportare il destro in posizione parallela.

Insieme cercavano di trovare un modo per sostenere economicamente Thomas Stearns Eliot, che era ancora costretto a lavorare in banca e non poteva dedicarsi completamente alla poesia.
Stravedeva per una donna di nome Dorothy, a cui ripeteva: “Tu sei quella con cui vivere”.

 

Dunja Barnes 

Dopo aver incontrato Joyce a Parigi nel 1921, Dunja Barnes non voleva più scrivere, non voleva più parlare, voleva soltanto dormire. Dunja non voleva capire, sbadigliava soltanto, non voleva più nemmeno mangiare.
Joyce pensava che gli scrittori dovessero concentrarsi su argomenti comuni e renderli straordinari, mentre la Barnes era dell’avviso opposto, tanto era attratta dall’insolito e dal grottesco.

Alla fine divenne famosa nel 1936 con la pubblicazione di Nightwood, un romanzo ambientato nella Parigi degli anni venti dove rievoca la sua drammatica relazione amorosa con Thelma Wood, artista americana approdata a Parigi per specializzarsi in scultura e arti figurative.
Una storia caratterizzata da
infedeltà e gelosia, che aveva segnato profondamente le due donne.

 

Ernest Walsh 

A primavera Parigi tornava giovane. Ernest Walsh, il grande poeta americano, aveva poco più di vent’anni. I poliziotti a cavallo sfilavano lenti. Il verde brillante degli Champs Elysée arrivava alla testa.

A quel tempo Walsh era un ragazzo che giocava a ramino e si accompagnava a ragazze in lunghe pellicce di visone. Credulone e romantico viaggiava in una macchina lunga e lucente con tanto di autista in uniforme. Pasteggiava con ostriche e tournedos annaffiandoli con Chateau-neuf-du-pape mentre sputava sangue e tossiva in continuazione.
Se avesse potuto scegliere tra la vita e la morte
avrebbe scelto l’America.

 

Man Ray e Kiki de Montparnasse

Man Ray aveva attraversato strade piene di scirocco che quell’alito caldo rendeva irreali. Quel giorno si era seduto dietro al vetro de “La Rotonde”, un locale di Parigi situato all’angolo tra Boulevard Montparnasse e Boulevard Raspail.
A un tavolo da poeta francese, con la faccia attraversata da un’espressione seria e pensierosa sì era versato due dita di Bordeaux dentro al bicchiere.

Kiki arrivò affrettata e danzante indossando un vestito aderente dai colori sgargianti. Portava un turbante, collane e gioielli, che aggiungevano un tocco gitano al suo stile. Sedeva in maniera scomposta e iniziò a inveire contro il cameriere che tardava a servirla. Man Ray se ne innamorò all’istante.

 

Gertrude Stein e Alice Toklas 

Picasso nel 1906 immortala l’”expat” americana Gertrude Stein in uno dei ritratti più importanti del XX secolo. L’anno dopo in Rue de Fleurs, a Parigi, inizia la storia d’amore tra Gertrude Stein e Alice B. Toklas, una relazione che durerà trentanove anni. Sono gli amori insensati a dare un senso alla vita.
Alice Toklas era piccola, bruna e coi capelli tagliati alla Giovanna d’Arco nelle illustrazioni di Boutet de Mounvel.

Sono gli amori diversi quelli che restano dentro. Negli anni venti la Stein diventò una specie di protettrice dei giovani artisti americani che dopo la Prima guerra mondiale avevano raggiunto in massa Parigi.
“Siete tutti una generation perdue”, aveva detto a Hemingway e Evan Shipman.

 

Evan Shipman 

Evan Shipman era un bravo poeta che conosceva e amava i cavalli. Era stato anche normale in una vita precedente. Beveva spesso whisky allungato con acqua assieme a Hemingway e ne diventò talmente amico da lasciarsi convincere ad andare a combattere in Spagna con i repubblicani nel 1937.
Non era uno che si nascondeva tra la gente, aveva un talento speciale per essere sempre dove regnava l’eccitazione.

Della Parigi tra le due guerre serbò un sacco di ricordi che una volta tornato negli States si rincorrevano nella sua mente come cani in un cortile. Ricordava spesso quando nel settembre del 1925, lui e Ernest Hemingway avevano acquistato il dipinto “La fattoria” di Joan Miró come regalo di compleanno per la moglie di Hemingway Hadley. Pagarono 5000 franchi (250 euro).

 

2 pensiero su “GLI SCRITTORI AMERICANI NELLA PARIGI DEGLI ANNI VENTI”
  1. Abbiamo perduto la sacralità della parola.
    Bei tempi quelli in cui in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
    Oggi verbi, avverbi, congiunzioni, pronomi, aggettivi, preposizioni, proposizioni, coordinate, subordinate e compagnia bella li spariamo direttamente sulla carta senza sottoporli al vaglio dei nostri neuroni. Il ché temo costituisca purtroppo la riprova che i neuroni – almeno quelli deputati alle funzioni letterarie – sono una specie in via di estinzione.
    Tanto premesso, un Giornale, seppure Popolare – anzi, forse proprio perché Popolare, e cioè rivolto ad un’ampia platea popolare – dovrebbe costituire un baluardo contro il dilagante, inflazionato e insipido pressapochismo di chi scrive. E non ridursi ad accettare di tutto e di più, tanto al lettore di bocca buona gli possiamo propinare patate bollite senza sale, imbellendole e insaporendole con una sfrenata bulimia di immagini scopiazzate a destra e a sinistra.
    Sempre patate bollite senza sale rimangono!
    Non udite anche voi la voce angosciata del Verbo che si leva nel deserto: Sauro, Sauro, perché mi perseguiti?

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