Il Molise non esiste. 

Questa è la battuta corrente e, magari, attraversando tutta la regione in un fiato solo, lanciati in autostrada, potrebbe sembrare quasi vero. Ma il Museo sannitico a Campobasso basta da solo a dimostrare che il Molise esiste ora, e di certo è esistito anche nel passato. Trovandomi in città sono tornato a visitarlo dopo una assenza di qualche anno, complice la pandemia, in una mattina autunnale dolce come una primavera.

Ho attraversato il corso assolato e mi sono soffermato per un caffè su piazza Pepe, trasformata in un salotto a cielo aperto. Sono passato di fronte a un piccolo negozio a via Cannavina, che ogni volta mi fa venire una voglia irrefrenabile di comprare qualcosa di superfluo e sfizioso, ho salutato la statua di Fred Buongusto e mi sono arrampicato lungo la scalinata fino a palazzo Lanzarotta, sede del museo.

 


Il Museo sannitico è stato ristrutturato abbastanza di recente e presenta una esposizione moderna e curata, con ampie spiegazioni sui singoli pezzi, sulla storia dei ritrovamenti e del quadro di insieme.

Non è enorme, ma questo è un punto di vista prettamente italiano… in molti Paesi hanno musei a livello nazionale più piccoli e con pezzi di minor qualità.

Bonus, la presenza di alcune esposizioni “tattili” ovvero ricostruzioni degli oggetti esposti che è possibile toccare e prendere in mano e una guida pdf scaricabile dal sito dei Beni culturali.

Malus, la app con la audioguida del museo, cosa che sarebbe buona in sé, ma che non è stata aggiornata alle ultime versioni di Android e che il mio Samsung non installava.

L’esposizione parte dalla epoca protostorica, per la preistoria è doveroso andare alla Pineta di Isernia, uno dei ritrovamenti di paleoantropologia più importanti a livello mondiale.

Tramite i ritrovamenti delle necropoli e dei villaggi viene illustrata la vita di quelle antiche popolazioni, forse primitive, ma che, come dimostra la presenza di monili di ambra del baltico, erano già collegate a reti commerciali a livello continentale.

La cosa non cambia con i loro discendenti sanniti, i grandi avversari di Roma, che svilupparono una ricca civiltà materiale in stretto contatto con le altre civiltà mediterranee.

I ritrovamenti di monete greche e cartaginesi, vasellame e anche sculture, dimostrano che l’aristocrazia locale era abbastanza agiata e acculturata da cercare e amare il bello e il raffinato.

 


Il Molise romano si apre con una splendida statuetta di Venere in marmo di Carrara, la tipica scultura votiva che si poteva trovare in una domus signorile della tarda Repubblica o primo Impero. 

La sua particolarità è data dalla sua provenienza: viene da un qualche scavo illegale ed è stata recuperata fortunosamente dalle forze dell’ordine dopo essere stata abbandonata. Un simbolo chiaro di quanto sia necessario e complicato proteggere il nostro immenso patrimonio artistico.

 


Le testimonianze archeologiche di epoca romana (non solo museali: basta visitare gli scavi di Sepino o Pietrabbondante) testimoniano un’area ricca e vivace.

Lo provano i ritrovamenti del santuario dedicato a Ercole Aiserniui, con le sue stratificazioni che vanno dalle prime epoche sannitiche fino alla diffusione del cristianesimo.

L’ultima parte del museo è dedicato all’alto medioevo, che a differenza di altre parti di Italia è altrettanto ricco di scoperte affascinanti.

Personalmente sono sempre stato particolarmente innamorato dell’esposizione dei ritrovamenti della necropoli di Campomarino. 

Paolo Diacono, nella sua storia dei Longobardi, raccontava di come un “conte” bulgaro di nome Alzecone avesse condotto le sue genti in Molise facendo atto di sottomissione al Duca di Benevento.

I bulgari di quell’epoca erano molto diversi da quelli odierni: erano un insieme di tribù non cristiane di lingua turca, cavalieri nomadi originari delle steppe, arrivati nei Balcani al seguito di unni e avari.

L’archeologia ha recentemente dimostrato la veridicità di questa storia, ritrovando a Campomarino questa straordinaria necropoli.

Tombe di guerrieri, sepolti con le loro armature, spade, archi e soprattutto con i loro cavalli favoriti, e di nobili dame con preziosi gioielli di fattura centroasiatica o bizantina.

Un pezzo delle steppe dell’Asia Centrale tra i monti del Molise.

Altro particolare di massimo interesse è che nelle finiture dei cavalli sepolti troviamo i primi esempi di staffa di cui si abbia traccia in Italia.

 


La più bella, a testimonianza degli incredibili e molteplici influssi culturali, è la tomba di un guerriero di circa vent’anni, morto presumibilmente a causa di ferite da arma taglio, che oltre al consueto corredo di spade, archi e cavallo portava al dito un prezioso anello d’oro decorato da una corniola. La corniola è finemente decorata su entrambi i lati: il primo lavorato in epoca romana mostra i simboli dell’annona, cioè il fisco imperiale, mentre sull’altro una incisione raffigura una moneta di conio longobardo. 

Questo affascinante mix di epoche e civiltà potrebbe testimoniare, proprio come racconta Paolo Diacono, che il giovane fosse un nobile bulgaro, a cui i duchi longobardi avessero concesso una autorità feudale su quelle terre di confine.

La visita del museo dura circa un paio di ore e viene completata da un piccolo giardino terrazzato con lapidi e iscrizioni romane che mi ha accolto con i suono dei canti della messa di mezzogiorno della vicina chiesa.

Una visita piacevole, che dimostra come Campobasso nasconda, a beneficio dei pochi che la visitano, dei tesori preziosi.

Ma non è forse vero che i posti che pensiamo non esistano siano in verità meravigliosi?

 

Sito ufficiale del Museo.

 

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