Intorno al 1939-40 mio padre acquistò una Rolleicord, macchina fotografica tedesca a doppio obiettivo. Con questa realizzò diverse riprese durante il periodo della Seconda guerra mondiale. Anni dopo iniziò a fotografare suo figlio, cioè proprio me, appena nato e nei primi anni della crescita. La Rolleicord contribuì non poco al mio svezzamento. Raccontava mia mamma che metteva davanti a me l’apparecchio, caricava la molla e faceva scattare l’otturatore, io spalancavo gli occhi ed aprivo la boccuccia per la meraviglia. Mamma me approfittava e mi infilava in bocca un cucchiaio di pappa. Altro scatto, altro cucchiaio. Non c’è da stupirsi che da ragazzo io sia diventato un appassionato fotografo. La Rolleicord era la versione semplificata ed economica delle fotocamere prodotte dalla Francke & Heidecke, ma produceva comunque ottime immagini in bianco e nero, nitide e ben equilibrate come contrasto. Tuttavia l’obiettivo non era trattato per le pellicole a colori che alla fine degli anni Cinquanta cominciavano a essere diffusamente usate. Fotocamera Rolleicord (da Wikipedia, autore “Sven Storbeck”, con licenza CC BY-SA 3.0) In quel periodo la nostra Rolleicord fu rubata e per sostituirla mio padre acquistò la Exakta con pellicola di 35 millimetri. Ma quella fotocamera prodotta a Dresda era un apparecchio pesante e scomodo da maneggiare, così cercando una nuova fotocamera, in accordo con papà ci decidemmo per la Rolleiflex modello F con obiettivo focale 2,8. Fotocamera Exakta del secondo dopoguerra (da Wikipedia, autore “Rama”, con licenza CC BY-SA 2.0) Era la sorella maggiore ammodernata della Rolleicord, e non fu difficile impratichirmi del suo uso. Era facile da caricare, con una manovella a leva bastava un mezzo giro e il fotogramma era in posizione mentre con la Rolleicord bisognava faticosamente girare una rotella. La pellicola formato 120 era avviluppata in una striscia di carta che portava stampati segni e cifre. Questi erano visibili attraverso una finestrella sul fondo della macchina fotografica: all’inizio si scorgevano frecce che invitavano a continuare ad avvolgere finché spuntava il numero 1 del primo fotogramma disponibile. Solo allora si impostava un contapose sul lato sinistro, dal numero 1 al 12. Arrivati al 12, riprendevano le freccette che indicavano di terminare l’avvolgimento di tutta la carta, dopo di che si poteva aprire la macchina ed estrarre il rollino in tutta sicurezza. La Rolleiflex dagli anni Cinquanta era il ferro del mestiere dei paparazzi cioè i fotografi che inseguivano cantanti e politici nella speranza di sorprenderli in situazioni imbarazzanti, realizzando così immagini scoop da vendere alle riviste settimanali. Il prototipo era il personaggio del film La dolce vita. Il regista Federico Fellini aveva usato per il fotografo il soprannome di un suo conoscente di Rimini, chiamato Paparazzo, cioè papero, per il fatto di avere i piedi piatti e camminare come un’anatra. Ennio Flaiano, collaboratore alla sceneggiatura, sostiene invece che abbia trovato lui questo nome in una novella dello scrittore inglese George Gissing, un attento osservatore dei bassi strati sociali del suo tempo. Un paparazzo nel film “La dolce vita” (da Wikipedia, pubblico dominio) La rapidità di carica e la leggerezza erano i fattori vincenti della Rolleiflex sulla Graflex usata dai reporter americani (un chilogrammo in meno di peso). I comandi del diaframma e dei tempi di posa erano azionati dai pollici del fotografo su due rotelle sulla parte anteriore. Ma tornando all’uso che ne feci io, apprezzavo soprattutto l’esposimetro incorporato e l’indicatore di profondità di campo, tanto semplice quanto pratico: una striscia che si allargava. Il difetto più significativo era la presenza di due obiettivi. Quello superiore proiettava l’immagine su un vetro smerigliato visibile da un pozzetto, ma con le riprese ravvicinate subentrava una differenza tra la visione del fotografo e quella reale registrata dalla pellicola. Bisognava tenerne conto nei ritratti, per non tagliare un pezzo di testa. I paparazzi invece non usavano neanche il pozzetto, puntando velocemente la fotocamera e creando l’inquadratura in camera oscura. L’obiettivo, un ottimo Zeiss, era un Planar, e come già detto a proposito della Linhof, era inadatto alla riproduzione di documenti scritti o stampati. Inoltre non era intercambiabile e quindi la focale era fissa; niente grandangolari né teleobiettivi. Fotocamera Rolleiflex (da Wikipedia, autore “Cquoi”, con licenza CC BY-SA 4.0) Feci comunque belle fotografie di soggetti in movimento, specie alle partite di calcio dei miei compagni di liceo, e in università fotografai le architetture in maniera molto soddisfacente, anche grazie alla possibilità offerta dal formato 6×6 di ottenere forti ingrandimenti in stampa con minima perdita di qualità. Quando poi tentai l’uso di diapositive per illustrare le mie conferenze ed esami, dotandomi di un apposito proiettore, lasciavo stupefatti gli spettatori con la grandezza dell’immagine sullo schermo e i colori brillanti resi dal buon obiettivo. La Rolleiflex ebbe una buona diffusione in Italia e non patì la concorrenza delle macchine reflex 6×6 a un solo obiettivo, come la Hasselblad, la Zenza Bronica o un modello similare prodotto dalla Rollei, la SL 66, in quanto assai più costose delle biottiche, specie per i paparazzi. Persino i giapponesi, che dagli anni Sessanta avevano lanciato sul mercato la quasi totalità delle 35 millimetri, produssero alcune biottiche come la Yashica Mat 124, onesta imitazione delle Rolleiflex. Le Mamiya C220 e C330, avevano la possibilità di intercambiare le ottiche, ma ebbero poca diffusione a causa soprattutto della necessità di sostituire due obiettivi invece che uno. Ancora a due obiettivi sovrapposti dalla Russia arrivava la Lubitel con obiettivo grandangolare ma con difetti di vignettatura, e in Cina regnava la Seagull, entrambi apparecchi molto economici. Dopo più di quarant’anni di onorato servizio, surclassata alla fine da altre macchine fotografiche delle quali fui il possessore, vendetti la Rolleiflex e non fui scontento della valutazione di acquisto che ottenni. Esaminando al giorno d’oggi le valutazioni dell’usato, la Rolleiflex F non ha perso il suo valore, un’eccezione nel mercato delle fotocamere analogiche, segno dell’ottima qualità tuttora riconosciuta. 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