La strage del 7 gennaio 2015 a Parigi nella redazione di Charlie Hebdo ha inevitabilmente sconvolto l’ambiente fumettistico. Alcune delle persone uccise in modo così assurdo erano nostri colleghi, persone che “conosciamo” anche se non le abbiamo mai incontrate. All’inizio fu Hara-Kiri, una rivista fondata nel 1960 da Georges Bernier, alias Professeur Choron. Sul primo numero è riportata la scritta Honni soit qui mal y panse, che richiama il motto del britannico Ordine della Giarrettiera (Honi soit qui mal y pense, sia vituperato chi ne pensa male), conosciuto in Italia dai lettori di fumetti neri che lo trovarono per un certo periodo sulle copertine di Kriminal. Nei numeri d’inizio 1961 Hara-Kiri ha come sottotitolo “mensuel satirique”, solo dal n. 7 dell’aprile dello stesso anno assume la dicitura journal bête et méchant (giornale stupido e cattivo), che lo accompagnerà per il resto della sua lunga vita editoriale. Dal n. 32 i disegni in copertina lasciano il posto alla fotografia. La “cifra” del giornale era sostanzialmente quella di un umorismo demenziale e irriverente, una bomba gettata nelle acque stagnanti di un periodo di perbenismo e repressione sessuale (il ’68 era ancora lungi da venire). Insieme a Choron, che ne sarà la folle anima editoriale, lavorano a Hara-Kiri François Cavanna (autore della battuta: “Beethoven era così sordo che credette per tutta la vita di essere un grande pittore”), Fred, Reiser, Cabu, Gébé, Wolinsky, Topor, Willem e molti altri. Nel 1965 la rivista arriverà a vendere 250mila copie, che non evitano un sacco di problemi economici alla casa editrice, visto che Choron paga generosamente i collaboratori, spende tutto quello che gli avanza per migliorare il giornale (carta, colore…) e organizza costosi festini alcolici a ogni occasione. I problemi cominciano ad arrivare quando il presidente Charles de Gaulle in persona ne fa vietare l’esposizione nelle edicole e la vendita ai minori. La polizia infastidisce continuamente gli edicolanti (anche quando l’interdizione viene tolta: nessuno si è preoccupato di informare gli agenti) che finiscono spesso per nascondere Hara-Kiri. Le vendite crollano e, nel tentativo di ridare fiato economico alla casa editrice (les Editions du Square), Delfeil De Ton propone di creare un mensile di fumetti a imitazione del Linus italiano. Attingendo sempre ai nomi dei protagonisti dei Peanuts di Charles Schulz, viene così varato il mensile Charlie (Brown). Intanto è arrivato il Sessantotto. Il successo del giornale “barricadero” L’Enragé, legato all’attualità politica e alle proteste studentesche, spinge la redazione a varare Hara-Kiri Hebdo (in francese “hebdomadaire” significa settimanale). Il problema economico continua a pesare: la rivista madre si è stabilizzata sulle 100mila copie, il mensile Charlie ne vende appena 15mila e Hara-Kiri Hebdo viaggia sulle 30mila. Si va avanti così finché, il 9 novembre del 1970, muore il presidente Charles de Gaulle. Parodiando i titoli dei giornali che pochi giorni prima avevano commentato un tragico incendio in un locale da ballo a St Laurent De Pont che aveva fatto molte vittime, l’Hebdo titola sarcasticamente: “Ballo tragico a Colombey (residenza di De Gaulle): 1 morto!”. Marcellin, ministro dell’Interno, vieta la vendita del settimanale satirico accusandolo di pornografia. La stampa “seria” si accorge così dell’esistenza di Hara Kiri Hebdo: quotidiani, radio e televisione insorgono contro la censura. Se nessun giornalista avrebbe speso una parola per difendere Hara-Kiri mensile, giornalaccio “pornografico” e scatologico, il settimanale era invece considerato un giornale d’opinione, e dunque la levata di scudi in difesa della libertà di stampa è generale. Pubblicitariamente è un colpo fenomenale per i ragazzacci delle Editions du Square: le vendite di Hara-Kiri Hebdo (trasformato istantaneamente in Charlie Hebdo per aggirare il divieto) raggiungono di colpo le 100mila copie e salgono rapidamente fino a 180.000 trascinando le riviste “sorelle”: Charlie mensile si posiziona sulle 100mila copie e Hara-Kiri a 120mila. Choron può finalmente pagare tutti i creditori, triplicare i compensi ai collaboratori, reinvestire sui giornali… e continuare le sue famose feste. Nel corso delle quali verrà assegnato anche il “Prix Bête et Méchant”. Nel 1974 diventa presidente Giscard d’Estaing. Le sue politiche riformatrici ed ecologiste cominciano a erodere la base “protestataria” dei lettori di Charlie Hebdo, e se la rivista “stupida e cattiva” conserva il suo motivo di esistere insieme ai lettori, Charlie mensile inizia ad avere problemi con l’arrivo della “concorrenza” di nuove riviste a fumetti come L’Echo des Savanes, Métal Hurlant e Circus. Calo delle vendite e un continuo fioccare di processi (non solo da parte delle istituzioni, ma anche da personaggi dello spettacolo come il mimo Marcel Marceau e Brigitte Bardot) mettono a dura prova le finanze della casa editrice e spingono Choron, nel 1981, a mettere fine alla vita di Charlie Hebdo; a vendere Charlie mensile alla Dargaud e ad affidare la raccolta in volume dei suoi materiali ad Albin Michel. Nel 1982 sarà costretto a licenziare 23 persone e infine, nel 1989, a chiudere anche Hara-Kiri. Per inciso, passato a Dargaud, Charlie mensuel si fonderà con l’altra rivista dell’editore, la storica Pilote, dando vita dal primo marzo del 1986 a Pilote et Charlie che ricomincia la numerazione da 1. La “strana coppia” durerà solo 27 numeri. Dal n. 28 “Charlie” scompare dalla testata, che torna a essere semplicemente Pilote fino al n. 41, quando cessa le pubblicazioni. E il Charlie Hebdo salito tragicamente agli onori della cronaca? Come il settimanale satirico italiano il Male, uscito dal 1977 al 1982 e in anni abbastanza recenti “resuscitato” in ben due edizioni concorrenti andate entrambe avanti stentatamente per qualche tempo, anche per Charlie Hebdo ci sono stati alcuni autori decisi a riportarlo in vita dopo qualche anno di silenzio. Su Wikipedia si legge: La vicinanza tra il Charlie Hebdo pubblicato nel 1992 e quello degli anni passati era più intellettuale che effettiva. Anche se due disegnatori, Gébé et Cabu, reduci da Hara-Kiri collaborarono a La Grosse Bertha (editore: Jean-Cyrille Godefroy), questo settimanale non aveva un vero legame diretto con Hara-Kiri o Charlie Hedbo. È con la scissione da La Grosse Bertha che Philippe Val, Gébé, Cabu e alcuni giovani disegnatori talentuosi iniziarono a perseguire un solo progetto, quello di creare il loro proprio settimanale. È allora che, davanti alle difficoltà di una tale impresa, faranno appello agli anziani Cavanna, Delfeil de Ton e Wolinski, sollecitando la loro collaborazione. Questi accetteranno senza esitare. Nel corso di una riunione-banchetto, alla ricerca di un titolo, Wolinski propose “Et pourquoi pas Charlie Hebdo?” (“E perché non Charlie Hebdo?”): la proposta fu immediatamente accettata. Philippe Val, Gébé e Cabu procurarono il capitale per finanziare il primo numero. Fu creata una società per azioni. Detenendone l’80%, i tre si resero praticamente i proprietari del giornale e ne assicurarono l’indipendenza politica. È così che Charlie Hebdo nacque nella sua nuova versione nel luglio 1992. Per il suo lancio beneficiò della prestigiosa notorietà del Charlie Hebdo storico, tanto più che vi si ritrovarono le firme d’avanguardia degli anni settanta: Cavanna, Delfeil de Ton, Gébé, Wolinski, Cabu e un formato identico. Fu presentato e accolto non come un nuovo settimanale, ma come il seguito, la ricomparsa del predecessore. Del primo numero sarebbero state vendute 100.000 copie: un grande successo. Il Professor Choron, al quale non era stato proposto un posto che ritenesse accettabile, tentò da parte sua il rilancio simultaneo di un Hara-Kiri settimanale, ma la sua avventura fu breve. Nonostante una fiammata di vendite al momento della pubblicazione nel 2006 delle famose “vignette di Maometto” che fecero salire la tiratura a 400mila copie, negli ultimi tempi il giornale non doveva cavarsela benissimo, se sul proprio sito invita tuttora a “sostenerlo, abbonandosi o facendo un dono (con assegno o carta di credito)”. Poi la strage degli autori e dei redattori, e la decisione dei sopravvissuti di andare avanti lo stesso. E altre polemiche non sono mancate, anche con gli italiani nel caso delle vignette sul terremoto. Per maggiori informazioni su Hara-Kiri e altre pubblicazioni delle Editions du Square, visitate il sito che ne ospita tutte le copertine. Qui sotto, la copertina di un numero dell’effimera edizione italiana, ribattezzata Kara Kiri, come veniva erroneamente chiamato allora nel nostro paese il suicidio rituale giapponese. Navigazione articoli DALLA TORRE DI BABELE A BABIL JUNIOR IN ATTESA DEL BUS PER IL SURREALE