Sarà perché gli anni Sessanta sono stati caratterizzati da eventi che hanno messo a dura prova l’essere umano e, nel bene e nel male, ne hanno minato le certezze, sta di fatto che tra i film realizzati nel 1968 sono vari quelli in cui i protagonisti in un modo o nell’altro hanno difficoltà a relazionarsi con l’esterno. Lo si nota in particolare nelle produzioni statunitensi dei generi più disparati. La migliore commedia americana dell’anno, Hollywood Party (regia di Blake Edwards) ha un tipo di comicità dopotutto malinconica, poiché il protagonista fatica a entrare in sintonia con il mondo. Hrundi Bakshi (Peter Sellers) è un attore indiano che mette a soqquadro il set di un film d’avventura, intitolato Il figlio di Gunga Din, e viene cacciato dal regista. Per un disguido viene poi inserito nella lista degli invitati a una festa organizzata dal generale Clutterback, che finanzia il film. Anche qui ne combina di tutti i colori. Bakshi è “mosso da una ferita di profonda solitudine e di diffusa insoddisfazione” (Roberto Vaccino, Blake Edwards, Il Castoro Cinema 71, novembre 1979). Le situazioni nelle quali Bakshi si trova coinvolto sono sempre conflittuali e vari sono quindi i momenti nei quali il protagonista ha un rapporto problematico con le persone e persino con gli oggetti. Bakshi arriva alla festa e scopre che la sua scarpa destra, di color bianco, è sporca di fango. Cerca di pulirla nell’acqua della fontana che si trova all’ingesso ma la scarpa scivola e viene portata via dalla corrente. Bakshi poco dopo la vede ferma nell’acqua e cerca di recuperarla piegando una pianta dal fusto lungo e sottile. Ci è quasi riuscito ma, spaventato dall’arrivo di un cameriere, lascia andare la pianta, che lancia la scarpa. Dopo essere rimbalzata, la scarpa finisce sul vassoio portato da un altro cameriere. Poiché l’uomo non si è accorto di nulla, Bakshi finge di prendere una tartina e invece con un gesto rapido afferra la scarpa. Bakshi ha il bisogno impellente di fare pipì. Dopo esserci finalmente riuscito, tira lo sciacquone del water, però lo scarico dell’acqua non smette. Bakshi allora solleva il coperchio cercando di intervenire sul meccanismo ma un quadro appeso alla parete cade proprio nello sciacquone. Bakshi cerca di asciugarlo con la carta igienica, il rotolo comincia a scorrere e si ferma solo quando è completamente srotolato, mentre Bakshi resta a guardarlo. Per nascondere la carta igienica la mette nel water, finendo per intasarlo. Intanto il cagnolino dei proprietari abbaia fuori dalla porta, attirando l’attenzione dell’istitutrice tedesca. Quando la donna vede l’acqua uscire da sotto la porta, comincia a bussare energicamente. Bakshi allora scappa dalla finestra, rifugiandosi sul tetto. Qua però scivola finendo nella piscina. Nel prosieguo della festa Bakshi conosce la cantante e aspirante attrice, Michèle Monet, che ha accompagnato il produttore Divot (lo stesso del film iniziale), e la salva dalle grinfie dell’uomo. I due restano al party, divertendosi, ma Bakshi ne combina un’altra delle sue. Chiedendo alla figlia di Clutterback e ai suoi amici di lavare un elefante con cui si sono presentati alla festa, invade la villa con la schiuma. Poiché Hollywood Party è una commedia, non manca il finale più o meno lieto. Dopo averla accompagnata a casa, Bakshi ottiene da Michèle il permesso di andare a trovarla, ma è pur vero che la relazione tra i due non appare molto probabile. L’ultima immagine di Hollywood Party, con Bakshi che si allontana guidando la sua piccola automobile dal motore scoppiettante, accompagnata dalla musica di Henry Mancini, non abbandona il sottotono di caustico pessimismo del film. Il senso di solitudine che caratterizza Hollywood Party deriva dal rapporto problematico del protagonista e di altri personaggi con il mondo circostante. Ciò che nel film di Blake Edwards viene espresso in chiave comica, in altre pellicole del 1968 assume una valenza più tormentata. È il caso di Un uomo a nudo (The Swimmer), diretto da Frank Perry e tratto da un breve racconto di John Cheever. Nel film vengono aggiunti episodi che non sono presenti nel racconto: per esempio l’incontro con una ragazza che confessa a Ned di essere stata innamorata di lui e quello con un bambino lasciato a casa da solo. Le parti originali del film ne conservano il senso, accentuando persino l’enigma narrativo e il corredo simbolico. Il percorso di Ned lo conduce alla solitudine, all’abbandono e infine, probabilmente, alla morte. Nella sequenza finale, Ned stanco e infreddolito giunge alla propria abitazione e trova il cancello chiuso e sporco. Cerca di aprirlo, lo scuote, alla fine riesce a entrare. Scoppia un temporale e Ned sotto la pioggia attraversa il parco. Tutto è in evidente stato di abbandona, anche il campo da tennis. Ned si ferma, sente il rumore delle racchette e le grida gioiose delle figlie: la macchina da presa si muove da una parte all’altra del campo, come se seguisse la pallina. Ned zoppicando arriva alla villa, anche qui cerca di aprire la porta, mentre vento e pioggia sempre più forti lo sferzano. Picchia e fa forza sulla maniglia. La macchina da presa. con una carrellata lungo il muro arriva a inquadrare una finestra con il vetro rotto, zooma, si muove tra le stanze disadorne. Ned non riesce a entrare, continua a picchiare sulla porta, infine si accascia assumendo una posizione fetale. I protagonisti Ned e Bakshi condividono il senso di solitudine e il distacco dalle persone con cui si relazionano. Ecco ciò che ha scritto Roberto Vaccino a proposito di Hollywood Party (R. Vaccino, Blake Edwards, Il Castoro Cinema) “I comportamenti comici di Bakshi nascono infatti, senza sosta, dalla ricerca di una comunicazione maggiore e sacra (…) mosso da una ferita, di profonda solitudine e di diffusa insoddisfazione”, tolto il riferimento al comico si potrebbe tranquillamente applicare a Ned. In Hollywood Party al minuto 00:00:20 una giovane donna bionda vede nel proprio bicchiere qualcosa che Bakshi invece non vede (“Non c’è niente nel bicchiere”), il che non esclude che anche in questo caso vi sia un tentativo – fallito – di relazionarsi, e poco dopo Bakshi viene invitato da un’altra ragazza a ballare ma confonde un genere moderno con un antiquato ballo di coppia, in Un uomo a nudo basterebbero i vari discorsi sulle piscine o sulla motofalciatrice, per non parlare della scena ambientata nella piscina pubblica, per scavare un solco d’incomunicabilità tra Ned e gli altri personaggi. Un percorso dopotutto simile a quello di Ned, solitario e “terminale” attraverso lo spazio infinito, lo affronta l’astronauta Dave nelle ultime sequenze di 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey), di Stanley Kubrick. Dopo la scoperta sulla Luna di un misterioso monolito nero, già comparso sulla Terra agli albori dell’umanità, l’astronave Discovery con a bordo cinque uomini (di cui tre ibernati) e un computer, parte in missione allo scopo di capire il senso di un segnale emesso dal monolito e diretto verso Giove. La difficoltà a relazionarsi con l’esterno è sintetizzata dal rapporto dell’astronauta Dave con il computer della Discovery Hal 9000. A dire il vero, in 2001: Odissea nello spazio e in Hollywood Party si può notare che la problematica relazione dei protagonisti con il mondo esterno è in effetti anche l’opposto. Il computer Hal che cerca inutilmente di spiegare le sue ragioni a Dave e la ragazza che chiede a Bakshi se vede qualcosa nel bicchiere sono simili, come sono più simili di quanto possa sembrare le pellicole di Kubrick e Blake Edwards. Erano uscite negli Stati Uniti nel giro di pochi giorni una dall’altra: il 2 aprile del 1968 la prima, il 4 aprile la seconda. Il rapporto difficoltoso con l’esterno è del tutto evidente nei due film dell’orrore usciti nel 1968. Il primo ad arrivare nelle sale degli Stati Uniti (il 12 giugno) è Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York (Rosemary’s Baby), scritto e diretto da Roman Polanski e tratto dal romanzo omonimo di Ira Levin. Una giovane coppia di sposi, Rosemary e Guy, affitta un appartamento in una vecchia palazzina newyorchese, circondata da una fama sinistra, e diventano amici di due anziani coniugi che abitano nella stessa casa, i Castevet. Quando Rosemary resta incinta, le viene fatto credere che il nascituro è morto durante il parto. Il piccolo invece è stato sottratto dai Castevet e dalla loro setta di adoratori di Satana, in quanto figlio del demonio. La vicenda è orrifica solo a un primo livello. In realtà esprime soprattutto il progressivo deterioramento del rapporto di Rosemary con coloro che la circondano. Del resto Polanski accentra la narrazione sulla protagonista, come in vari altri suoi film (precedenti: Repulsion, e successivi: Che?, Chinatown, L’inquilino del 3° piano, Frantic). Eliminando via via in un modo o nell’altro i personaggi con cui si rapporta la donna (il marito diviene complice dei Castevet, l’amico Hutch viene fatto morire). Diverso ma non troppo il discorso relativo al film di George Romero La notte dei morti viventi (The Night of the Living Dead), uscito negli Stati Uniti il primo giorno del mese di dicembre. Una ragazza, Barbara, va insieme al fratello in visita alla tomba del padre. Il fratello viene aggredito e ucciso da un morto. Barbara riesce a fuggire e si rifugia in una casa abbandonata, dove viene soccorsa da un uomo di colore, Ben. I due scoprono poi che altre persone si sono nascoste in cantina. Ben e gli altri vengono assediati dai morti viventi, e sterminati uno a uno. Resta in vita solo Ben. Il quale vede arrivare una squadra di soccorso. Esce dalla casa sperando in un aiuto ma viene scambiato per un morto e ucciso con un colpo di fucile. Qui i morti che tornano in vita rappresentano la chiara allegoria di un’intera umanità nella quale le difficoltà relazionali riguardano ogni singolo individuo. Altri film statunitensi usciti nel 1968 affrontano la difficoltà a relazionarsi con l’esterno in maniera più esistenziale, se vogliamo più legata al sociale e al quotidiano. È connessa anche al tema della solitudine. In La prima volta di Jennifer (Rachel, Rachel), esordio registico di Paul Newman, la protagonista è un’insegnante la cui vita scorre in maniera non proprio felice in una cittadina americana di provincia. Alla fine la donna decide di trasferirsi a Chicago. Mentre sta viaggiando sull’autobus, pensa al futuro che l’aspetta, e al fatto che potrebbe rimanere sempre sola, sola con se stessa. L’uomo venuto dal Kremlino (The Shoes of the Fisherman), diretto dal regista inglese Michael Anderson, mette in luce addirittura la difficoltà di essere Papa. Tanto è vero che una battuta del dialogo suona all’incirca così: “Che le piaccia o no, lei è condannato a un pellegrinaggio solitario dal giorno della sua elezione fino al giorno della sua morte”. Infine, il fantascientifico I due mondi di Charly (Charly), per la regia di Ralph Nelson, racconta del quarantenne Charly, affetto da un ritardo mentale e che si comporta di conseguenza come un bambino. Sottoposto a un esperimento scientifico, riacquista la personalità di un uomo della sua età, dimostrando anzi un’intelligenza superiore alla media. Ma l’esperimento ha breve durata. Charly torna quello di prima, un adulto che gioca con i bambini e che ha difficoltà a entrare in sintonia con i suoi coetanei. Charly, in fine dei conti, è un personaggio non molto diverso da Hrundi Bakshi di Hollywood Party. Navigazione articoli IN JOKER: FOLIE À DEUX SONO FINITE LE IDEE DI SCORSESE PERCHÉ SEIYA È ANTIPATICO?