Poesia e ribellione furono le due anime complementari e inseparabili dell’Impresa di Fiume (1919–1920): una rivoluzione in forma di spettacolo, un atto sovversivo travestito da poema epico, un’insurrezione che parlava il linguaggio della bellezza, dell’eroismo e della provocazione. Per un breve periodo la città di Fiume fu il solo e unico luogo al mondo governato da un poeta. Per Gabriele D’Annunzio, Fiume non fu una mera occupazione militare, ma una creazione artistica totale: la città fu trasformata in un palcoscenico, i legionari in personaggi mitologici, le azioni in riti simbolici. Fiume divenne un luogo di sperimentazione di forme alternative di vita: nudismo, naturismo, omosessualità, bisessualità, libero amore, uso di droghe. I legionari erano contro tutto. Contro il parlamentarismo borghese, visto come debole, corrotto e sterile. Contro il capitalismo e contro il socialismo ufficiale, incapace di rispondere al bisogno di spiritualità e bellezza. I legionari erano volontari, anarchici, futuristi, arditi, poeti, ex soldati, che rifiutavano ogni appartenenza rigida. La città occupata era al tempo stesso un’opera d’arte vivente, un poema epico in movimento, una Comune libertaria, una repubblica dei sogni, un atto di insubordinazione totale, che anticipava tanto il fascismo quanto il controculturalismo del Novecento. Ricordiamo alcuni dei principali protagonisti. Gabriele D’Annunzio Per D’Annunzio Fiume fu un innamoramento. Lo stato nascente di un movimento collettivo. Un’esperienza di solidarietà, gioia di vivere e rinnovamento. Un’esperienza dove “L’uomo ha l’impressione di essere dominato da forze che non riconosce come sue”. Il Vate, a 56 anni, si getta anima e corpo in un’impresa che è atto poetico, rivoluzionario, e simbolico, in cui si mescolano politica, arte, mito, nazionalismo e sovversione. L’innamoramento di Gabriele D’Annunzio per Fiume fu un’esplosione di passione politica, estetica e personale. Per il poeta, Fiume non era solo una città da liberare, ma un simbolo erotico, mistico e rivoluzionario. Più che una missione militare, fu una relazione d’amore totalizzante, con la città, con i suoi legionari, con l’idea stessa di una patria nuova. Già nel 1919, prima ancora della marcia su Ronchi, D’Annunzio scrive a un amico: “Fiume è bella, ardente, latina e nostra. Me ne sono innamorato come d’una donna libera e indomita”. Il suo linguaggio è sempre fisico, corporeo: Fiume è una donna ribelle, da conquistare. In una lettera del 1920, scrive: “Fiume è l’unico amore che non tradisce: è fatta di sogno, sangue e bandiera”. Quando dovette abbandonarla su pressione dell’esercito italiano, il 18 gennaio 1921, scrive: “Ho amato Fiume come si ama ciò che non si può mai avere davvero: con tutto me stesso, fino alla distruzione”. Giovanni Comisso Il trevigiano Giovanni Comisso combattè a Caporetto a 22 anni, quando già aveva pubblicato un libretto di poesie definito dallo scultore Arturo Martini di “spasimante sensibilità”. Si unì all’Impresa di Fiume attratto più dal suo spirito avventuroso e libertario che da motivazioni strettamente politiche. Durante la permanenza a Fiume, si racconta che rifiutasse di indossare la divisa militare, preferendo abiti civili eccentrici e abbigliamento da artista. Era solito camminare scalzo o con scarpe spaiate per le strade della città occupata, suscitando la curiosità e l’irritazione degli ufficiali più rigidi. Comisso non fece mai dichiarazioni pubbliche sul suo orientamento sessuale durante l’epoca fiumana, ma nei suoi scritti autobiografici e nei racconti successivi emerge un mondo maschile intenso, estetizzato, carico di desiderio e ambiguità erotica. Nel libro Il porto dell’amore (1924), ispirato proprio all’esperienza di Fiume, Comisso scrive di corpi, libertà, convivenze tra giovani uomini in uniforme, e di un amore libero e senza confini morali, che rispecchia l’atmosfera non convenzionale della Reggenza. L’Impresa di Fiume fu, per molti giovani artisti, irregolari, rivoluzionari e ribelli, uno spazio in cui i codici morali borghesi venivano sospesi. D’Annunzio aveva battezzato i suoi uomini “legionari” facendo riferimento alla legione Tebana che Plutarco sostiene fosse formata da “150 coppie di amanti maschi che combattevano fianco a fianco”. Nino Host Venturi Di origini dalmate e fervente nazionalista, fu tra i primissimi a unirsi all’impresa. Aveva un carisma ruvido e diretto, e D’Annunzio lo nominò Comandante della Milizia Fiumana, dandogli ampi poteri militari. Host‑Venturi proponeva di espandere l’esperienza fiumana e farla diventare una vera e propria operazione insurrezionale finalizzata a mettere in crisi l’intera Italia. Attorno a questa idea cercò di coagulare ufficiali, politici e persino il Re Vittorio Emanuele III in persona. Si recò a Milano per incontrare Benito Mussolini, ottenendo il sostegno dei suoi appena fondati Fasci italiani e la promessa che sarebbero intervenuti in un eventuale progetto poltico contro di loro. Non si trattava solo di liberare Fiume, ma di scatenare una vera e propria rivoluzione italiana, contenente l’ipotesi, estrema ma realistica, di avere il Re a capo dell’operazione e legittimarla così come un atto patriottico. Léon Kochnitzky Leon Kochnitzky era un giovane letterato, colto, poliglotta e idealista, che si unì a D’Annunzio non come combattente ma come “commissario per la cultura”. Il suo compito era quello di dare all’impresa una dimensione intellettuale e internazionale, in linea con l’idea di Fiume non solo come gesto politico, ma come esperimento estetico e rivoluzionario. Divenne presto capo dell’Ufficio delle Relazioni Esteri e fece della città il cuore di un progetto ambizioso: la Lega dei Popoli Oppressi, che nasceva con l’obiettivo di fondare una nuova organizzazione internazionale alternativa alla Società delle Nazioni (l’Onu dell’epoca). Il suo scopo era trasformare Fiume nella “Patria delle Patrie”, un centro di solidarietà e lotta per tutti i popoli oppressi, dall’Irlanda all’Algeria, dalla Cina all’Egitto. In un celebre documento (il cosiddetto “libro violetto”), Kochnitzky scrisse: “Noi italiani fummo per qualche momento la sentinella più avanzata, la voce più ferma in difesa dei popoli oppressi”. Kochnitzky vedeva Fiume come una repubblica dei poeti e dei ribelli, un luogo dove arte e politica potevano fondersi in una nuova forma di civiltà. Dopo la fine dell’impresa, cercò invano di difenderne l’eredità in Europa, e scrisse “Fiume ou l’Europe en miniature” (1920), uno dei testi più affascinanti e visionari sull’utopia fiumana. Guido Keller Guido Keller, spirito libero, nudista, vegetariano, mistico, ma anche ardito e pilota abilissimo, era diventato “segretario per l’aria” di D’Annunzio a Fiume. Era incaricato di missioni volanti, spesso rischiose o simboliche. Nel 1920, durante la fase più tesa del conflitto diplomatico tra D’Annunzio e il governo italiano, Keller decollò da Fiume con un aereo carico di volantini propagandistici diretto verso Roma. Dapprima lanciò delle rose sul Vaticano, quindi sul Quirinale con tanto di dedica alla Regina e successivamente sorvolò il palazzo del Parlamento. Sopra di esso scaricò un pitale in ferro smaltato al cui manico erano legate un mazzo di carote ed un mazzo di rape. Era un insulto diretto al governo, accusato di tradimento verso Fiume e l’ideale nazionale. Uno sberleffo poetico e scandaloso che ebbe un’eco immediata nei giornali dell’epoca. Il contrasto tra la delicatezza delle rose e la brutalità simbolica del pitale divenne un’immagine potente della mentalità di Keller e, più in generale, dello spirito anarchico e teatrale dell’impresa. D’Annunzio stesso, pur abituato a gesti clamorosi, pare ne sia stato inizialmente contrariato, ma poi commentò: “Keller è l’angelo pazzo della nostra rivoluzione”. Questo episodio è spesso citato come uno dei momenti più surreali ma profondamente simbolici dell’intera impresa fiumana. Giuseppe Giulietti Giuseppe Giulietti rappresentò il cuore rosso e sindacalista dell’Impresa di Fiume. Il suo contributo mostra come l’Impresa di Fiume fosse anche un laboratorio di socialismo libertario e rivoluzionario, non solo un fenomeno estetico o proto-fascista. Giulietti a Fiume fu la voce del popolo, dei portuali, dei marinai, degli irregolari rivoluzionari. A Fiume arrivò con una flottiglia di marinai ribelli, sostenitori della causa dannunziana ma con una visione internazionalista e sociale della rivoluzione. Durante i comizi improvvisati nella Fiume occupata, Giulietti, si presentava in uniforme da legionario sul palco, ma con una fascia rossa al braccio, simbolo della lotta operaia. Giulietti fu il protagonista dell’ultimo atto di pirateria del Mediterraneo: il sequestro e il dirottamento su Fiume, in soccorso di Gabriele D’Annunzio, del piroscafo Persia carico di armi dirette ai controrivoluzionari russi. Giulietti, lo fece dirottare da tre suoi uomini tutti membri del Sindacato dei Lavoratori del Mare, che si imbarcarono clandestinamente a Messina e quando la nave si trovava presso Santa Maria di Leuca e stava per virare verso il canale di Suez, aiutati dall’equipaggio, in gran parte solidale, fecero rotta verso Zara. Mario Carli Mario Carli rappresentava la componente più “futurista” e incendiaria dell’impresa fiumana. Anticonformista, visionario e spesso sopra le righe dopo l’occupazione di Fiume fu incaricato di portare a Milano la redazione del giornale “del fiumanesimo”. Il veicolo per esportare in tutta Italia le idee nazional-rivoluzionarie-futuristiche che si stavano elaborando nella città occupata. Ma Carli non si limitò a quello, una volta a Milano cercò di organizzare, insieme all’anarchico Cesare Cerati e altre figure radicali, un attentato contro le centrali elettriche di Via Gadio e Viale Elvezia. Quando la polizia venne a sapere di quei piani, considerati “terroristici” , fermarono Carli e gli altri coinvolti: Carli fu tratto in arresto giusto mentre le cannoniere italiane bombardavano Fiume (Natale di Sangue). Nel suo libro “Con D’Annunzio a Fiume”, un resoconto intenso e lirico dell’impresa, descrive Fiume come una “città delirante e meravigliosa”, dove si viveva “al limite tra il sogno e l’incendio”. Ettore Muti Ettore Muti, nato nel 1902, aveva solo 17 anni quando, affascinato dal mito di D’Annunzio e dallo spirito avventuroso dell’impresa, decise di unirsi ai legionari senza alcun permesso né arruolamento ufficiale. Si racconta che, pur di partire, rubò un fucile da un magazzino militare a Ravenna, sua città natale, e si arrampicò su un treno diretto verso il confine orientale. Arrivato a Fiume, stanco del viaggio e con l’uniforme tutta stropicciata, fu fermato da una sentinella. Quando gli fu chiesto cosa cercasse lì, Muti rispose: “Voglio combattere. Dite a D’Annunzio che c’è un ragazzo con la guerra negli occhi”. Portato davanti a uno degli ufficiali del comando, fu inizialmente ritenuto troppo giovane. Ma quando D’Annunzio seppe dell’accaduto, volle vederlo. Lo incontrò e, impressionato dalla sua determinazione, disse: “Hai mentito ai tuoi genitori, hai rubato un’arma, hai disertato la scuola. Benvenuto tra i miei legionari”. Muti fu così accettato tra le truppe fiumane e assegnato a compiti secondari, ma partecipò anche a missioni pericolose. Divenne in seguito un famoso aviatore durante la guerra d’Etiopia e fu nominato Segretario del Partito Fascista nel 1939, ma il mito romantico e ribelle della sua giovinezza fiumana rimase centrale nella sua leggenda personale. Alceste De Ambris De Ambris era un sindacalista rivoluzionario, un ex deputato socialista e un teorico del corporativismo libertario. A Fiume vedeva un’occasione per creare una società nuova, giusta, orizzontale, non un semplice atto poetico o patriottico. De Ambris fu il principale autore materiale della Carta del Carnaro, la costituzione della Reggenza Italiana del Carnaro proclamata a Fiume da Gabriele D’Annunzio nel 1920. Mentre D’Annunzio ne rivestì la forma simbolica e poetica, fu De Ambris a redigerne il contenuto politico e giuridico con uno spirito profondamente rivoluzionario e sindacalista. La Carta del Carnaro, Era una costituzione utopica e visionaria, che regolava lo Stato libero e rivoluzionario fondato da D’Annunzio e i suoi legionari a Fiume. Promulgata il 30 agosto 1920, fu uno dei documenti più audaci e anticonvenzionali del primo Novecento europeo. considerata una sintesi straordinaria di socialismo libertario, sindacalismo rivoluzionario e estetismo dannunziano. Esaltava la libertà individuale, religiosa e sessuale. Uguaglianza tra i sessi. Arte e bellezza come fondamenti della vita civile. Raffaele Carrieri Nel 1920, Raffaele Carrieri aveva solo 15 anni quando scelse di unirsi alla “Santa Entrata” di Fiume, spinto da quel forte desiderio di avventura e poesia che lo avrebbe segnato per tutta la vita. Durante il “Natale di sangue”, l’ultimo e cruento assalto del governo italiano per prendere il controllo della città, Carrieri rimase gravemente ferito alla mano sinistra da una fucilata. In un verso autobiografico, egli stesso descrive l’episodio con crudezza poetica: “La sera era celeste e nera / e la mia mano rossa / si levava lentamente / all’orizzonte… simile a una grottesca luna ferita”. La ferita gli provocò danni permanenti alla mano, che lo segnarono sia fisicamente sia emotivamente. Carrieri avrebbe portato sempre con sé il ricordo di quell’esperienza come un’impronta, trasformandola in parole e immagini nelle sue opere successive, come Il lamento del gabelliere e le sue poesie, e nelle riflessioni sulla sofferenza e la resistenza dell’uomo. Navigazione articoli MASSONERIA E FASCISMO LE FALANGI DELL’ORDINE NERO
Chi volesse farsi un’idea più articolata e approfondita dell’impresa fiumana, può leggere: IL PORTO DELL’AMORE Rivolta e poesia di Fiume dannunziana – Mostra documentaria a cura di Paolo Tonini in occasione del IV Salone della Cultura Milano – Superstudio Più – Via Tortona 27 sabato 18 e domenica 19 gennaio 2020, testo scaricabile all’indirizzo: https://www.arengario.it/wp-content/uploads/2020/01/arengario-2020-il-porto-dell-amore-web.pdf Rispondi