Nel 1950 Walt Disney produce il primo film con attori, L’isola del tesoro, diretto da Byron Haskin. Da allora ne sono stati realizzati più di duecento, passando dalle pellicole avventurose con protagonisti adolescenti degli anni Sessanta ai recenti rifacimenti dei più celebri cartoni animati. Nel Castoro Cinema, edito nel 1978 da La Nuova Italia, su Walr Disney il critico Oreste De Fornari ha scritto che “la collana dei lungometraggi di finzione con attori in carne e ossa è un capitolo un po’ minore nella storia delle produzioni Walt Disney (…) Improntato a criteri di economia, a regie sommarie e a cast dimessi”. Il giudizio non opera dei distinguo e mette tutte le regie sullo stesso piano. Ad esempio pare riduttivo considerare in tal modo alcuni titoli dell’inglese Robert Stevenson, il regista che ha diretto il maggior numero di film Disney con attori (ben 17, tra cui Mary Poppins e Un Maggiolino tutto matto). Ed è probabilmente in ugual misura ingiusto accantonare senza un minimo di analisi le pellicole di un regista altrettanto prolifico come Norman Tokar, la cui intera carriera cinematografica si è in sostanza svolta sotto l’egida della Disney. Con altre produzioni, infatti, il regista ha diretto soltanto un film (Dove cresce la felce rossa, del 1974, comunque molto disneyano). Nato a Newark (New Jersey) nel 1919 e morto a soli 59 anni, Tokar ha iniziato lavorando per la televisione, ed è proprio vedendo alcuni suoi telefilm (in particolare quelli girati negli anni Cinquanta per la serie Il carissimo Billy) che Walt Disney lo giudica adatto a dirigere i film cosiddetti per famiglie. Il debutto di Tokar avviene nel 1962 con Compagni d’avventura. Tratto dal romanzo di Jim Kjelkgaard del 1945, è costruito su una situazione narrativa molto utilizzata nelle produzioni Disney: il rapporto tra un ragazzo e un animale. In questo caso l’animale è un setter irlandese, Red. Acquistato dal proprietario terriero Haggin perché vinca un’esposizione canina, si affeziona a Rene, un ragazzo rimasto orfano e assunto da Haggin per badare a Red. Quando il cane rimane ferito e sta per morire, Haggin vorrebbe abbatterlo, ma Rene lo rapisce e riesce a guarirlo. Il film è quindi incentrato sul diverso rapporto che il ragazzo e l’adulto hanno con Red. Il primo prova per il cane un affetto disinteressato, ricambiato dall’animale, mentre Haggin si interessa a Red perché può fargli vincere il concorso. Salvo cambiare atteggiamento nel finale. Nel 1963 Tokar gira Sam il selvaggio, seguito di Zanna gialla (diretto nel 1957 da Robert Stevenson). Tornano infatti i due protagonisti del film precedente, il giovane Travis Coates e il fratellino Arliss. I due sono rimasti a badare alla fattoria nel Texas durante l’assenza dei genitori. Arliss è un ragazzino irrequieto e indomabile, proprio come Sam, il cane selvaggio con cui Arliss ha stretto amicizia. Un giorno i due inseguono una lince e Travis, preoccupato, li segue insieme a Lisbeth, la figlia di un amico di famiglia. Mentre Travis cerca di far desistere il fratellino dal cacciare la lince, i tre ragazzi vengono catturati dagli indiani. Beck Coates, lo zio dei due fratelli, insieme al padre di Lisbeth e ad altri volontari, si mette alla loro ricerca e anche grazie all’intervento di Sam, riesce a salvarli. Dal minuto 00:29:00 Sam il selvaggio diventa un vero e proprio western, e di ottima fattura, come dimostra la lunga sequenza (dal minuto 01:28:20 al minuto 01:32:50) della sparatoria con gli indiani. L’attore Brian Keith, che interpreta lo zio Beck, è anche il protagonista dei successivi due film di Tokar. Il primo è Tigre in agguato (del 1964), nel quale per una volta è un animale selvatico (linci e puma, tanto per dire, nelle pellicole precedenti finiscono male) al centro della vicenda. Keith è lo sceriffo Pete che, insieme alla figlia Julie, riesce a impedire l’uccisione della tigre, fuggita dal circo. Nel 1965 Tokar gira I cacciatori del lago d’argento. Ambientato in una cittadina del Vermont, racconta di come il cacciatore Cam (Keith, appunto) riesca ad acquistare un lago e il terreno circostante, creando un’oasi per le anatre che ogni anno sorvolano la zona. Il film, insieme a Tigre in agguato, conclude il periodo definiamolo serio del regista, che qui risulta evidente da alcune sequenze (l’uccisione iniziale dell’anitra e la rissa conseguente, la caduta di Cam che si frattura una gamba, la bellissima scena della caccia al ghiottone). Evidente è anche l’attenzione di Tokar per l’ambiente, la valorizzazione, quasi fordiana, degli spazi sconfinati. Il tono fondamentalmente favolistico delle produzioni Disney in questo film oltretutto è quasi vanificato dal fatto che Cam si procuri di che mantenere la famiglia uccidendo gli animali da pelliccia. A tal proposito, sarebbe certo una forzatura voler scovare a tutti i costi un autore in Norman Tokar. Si sa che con la personalità produttiva di Walt Disney alle spalle il regista doveva limitarsi a esercitare il proprio mestiere nel migliore dei modi. Tuttavia, confrontando ad esempio i film di Tokar con quelli di Stevenson si può notare che, al contrario del collega, Tokar prediligeva il racconto avventuroso familiare, realistico se vogliamo, spesso incentrato sul rapporto padri-figli e con uno scarso interesse per le vicende fantasy, che affronta soltanto nell’ultimo film. Dal 1966 Tokar comincia a realizzare pellicole più spensierate, con un accentuato tono umoristico e per la prima volta ambientate in epoca moderna. 4 bassotti per un danese, come risulta chiaro dal titolo italiano, ha per protagonisti ben cinque cani ma rispetto ai film precedenti nessun ragazzino o adolescente. Personaggi principali sono infatti due sposi, Mark e Fran. Lei vuole vincere una mostra con il suo bassotto femmina, che ha appena partorito tre piccoli bassotti, il marito porta a casa un cucciolo di danese, Brutus. I cani insieme combinano un sacco di guai e il ménage coniugale ne risente, soprattutto perché Fran ritiene Brutus responsabile. Alla fine però è proprio il danese a vincere il concorso. Nella seconda parte 4 bassotti per un danese diventa una sorta di film di “formazione” canina. Mark e Fran si accorgono che Brutus, essendo stato svezzato da una bassotta ed essendo cresciuto con dei bassotti, crede d’essere un bassotto. Inutilmente Mark cerca di insegnargli il carattere e l’atteggiamento tipici di un alano, avendo anch’egli pensato di partecipare all’esibizione. È solo durante la mostra che in Brutus, nel vedere una femmina della sua razza, si risveglia finalmente l’istinto del danese. Con, ovviamente, sottinteso velato annesso. Tanto è vero che, contemporaneamente, si riaccende la passione tra Mark e Fran. I film, d’animazione e non, con gli animali protagonisti rappresentano da sempre una parte importante delle produzioni Disney. Tokar li ha diretti quasi tutti nella prima parte di carriera, cimentandosi al contempo con altri generi. Nel 1967 per la Disney dirige infatti con grande perizia la commedia musicale Il più felice dei miliardari e subito dopo Il cavallo in doppiopetto. Il pubblicitario Frank Bolton ha due problemi: ideare la nuova campagna pubblicitaria per un digestivo e acquistare un cavallo per la figlia, Helen, promettente cavallerizza. Poi ha un’idea risolutiva. Acquistare il cavallo tramite l’agenzia per cui lavora e usarlo per la pubblicità, dandogli il nome del prodotto (Aspercel) e facendolo partecipare ai concorsi ippici. Inizialmente è la figlia a cavalcarlo ma a un certo punto Fred scopre che lo fa solo per aiutarlo. Sarebbe propenso a rinunciare, senonché Suzie, l’insegnante di equitazione di Helen, di cui Fred è innamorato, decide di partecipare al concorso più importante. Se i film di Tokar hanno una qualità è quella di essere sempre precisi nelle situazioni che raccontano. Anche in questo caso le esibizioni dei cavalli, che occupano buona parte della narrazione, sono realizzate con cura e attenzione ai dettagli. Da notare inoltre la lunga sequenza (dal minuto 01:00:00 al minuto 01:05:49) nella quale il cavallo scappa, Fred riesce a riprenderlo e viene poi arrestato perché accusato di averlo rubato. Tokar gira sempre una sequenza, piuttosto elaborata e dinamica, che può essere considerata il fulcro del film. Nel precedente Quattro bassotti per un danese la sequenza clou, la festa in giardino rovinata dal danese e dai bassotti, è oltretutto collocata più o meno nello stesso momento (dal minuto 01:02:00 al minuto 01:07:48) e ha la stessa durata. La vicenda del successivo Rascal, l’orsetto lavatore (del 1969) è narrata in prima persona dal protagonista, Sterling North, autore del romanzo per ragazzi da cui è tratto il film. Sterling, ormai anziano, rievoca con affetto e nostalgia un’estate di cinquant’anni prima, “la più bella della mia vita”. Sterling vive con il padre Willard e la sorella più grande Theo in una cittadina del Wisconsin. L’ultimo giorno di scuola il padre lo porta nei boschi a vedere una lince. Il loro cane Wowser aggredisce un procione femmina con i suoi piccoli, che scappano. Uno però resta solo, e padre e figlio lo adottano, dandogli il nome Rascal. Sterling trascorre gran parte delle vacanze da solo, poiché Theo vive a Chicago e sta per sposarsi e il padre è sempre in giro per lavoro. Ciononostante in compagnia di Rascal e Wowser, le giornate del ragazzo scorrono spensierate. Con il passare del tempo tuttavia il procione comincia a scatenare le rimostranze degli abitanti della cittadina, perché mangia il granturco e le uova e di notte va in giro a rubare nelle case e nei negozi. Lo sceriffo impone a Sterling di chiuderlo in gabbia. Solo quando in una gara tra un cavallo e un’automobile aiuta il primo a vincere, Rascal riscuote il plauso della cittadinanza. Alla fine dell’estate, Sterling lascia libero il piccolo amico nei boschi, e il procione dimostra subito di sapersela cavare egregiamente, difendendo se stesso e la propria compagna dall’attacco della lince. Lo schema di Rascal è abbastanza simile a quella del film precedente. Un animale entra nella vita di un essere umano, combina dei guai che lo portano a non essere apprezzato da qualcuno, ma si riscatta nel finale. A differenza di 4 bassotti per un danese ha un sottofondo malinconico, connesso al ricordo di un tempo felice ormai lontano, e e si sfiora persino il tema della solitudine. Nonostante i film di Tokar siano produzioni destinati a un pubblico familiare, l’unico che vede protagonista una famiglia-tipo, composta da padre, madre e due figli (in quasi tutti gli altri mancano o sono assenti il padre, la madre o entrambi) è Pistaaa … arriva il gatto delle nevi!, del 1972. Tratto dal romanzo Chateau Bon Vivant (di Frankie e John O’Rear, pubblicato nel 1967) ha per protagonista Johnny Baxter, un impiegato insoddisfatto del proprio lavoro. Johnny si licenzia quando gli viene comunicato che dal defunto prozio da parte materna ha ereditato un albergo in alta montagna. Convinto che possa rivelarsi una miniera d’oro, vi si trasferisce con la famiglia. Scopre però che è abbandonato da anni. Nonostante ciò, Johnny si mette in testa di trasformare l’hotel in una stazione sciistica. Diversa dal solito è quindi anche l’ambientazione. Il film infatti è quasi interamente girato a Crested Butte, una cittadina del Colorado, situata a più di duemila metri d’altezza e che nel 1972 contava all’incirca 600 abitanti. I giornali dell’epoca riportavano di un set allestito in difficili condizioni climatiche. Se lo sfondo è inusuale (ma già I cacciatori del lago d’argento conteneva una sequenza innevata di ben dodici minuti), restano la consueta piccola comunità come contesto e l’utilizzo dello spazio. Sia interno (memorabile la scenografia dell’albergo in disuso) che esterno. In una sequenza, tra le migliori mai girate da Tokar, lo spazio diventa davvero protagonista, quando Johnny viene a sapere che insieme all’albergo ha ereditato tutto il terreno intorno, neve compresa (per scoprire infine di essere addirittura il proprietario dell’intera cittadina). Nei tre film successivi tornano protagonisti i bambini e i ragazzini, a scapito degli animali (che quando ci sono hanno un ruolo più defilato). Va sottolineato che Tokar, dirigendo nei primi anni di carriera il telefilm Il carissimo Billy, fu considerato uno specialista nel dirigere i bambini. In un’intervista spiegò il suo metodo. “Occorre stimolare la loro attenzione, specie quando il lavoro sul set comincia a diventare noioso. Devi divertirli, interessarli e renderli felici. Nello stesso tempo, evitare che prendano il sopravvento”. Del 1975 è La banda delle frittelle di mele (tratto dal romanzo The Apple Dumpling Gang, di Jack M. Bickham), con cui Tokar torna al western. Un western ovviamente molto diverso dai migliori usciti nella prima metà degli anni Settanta: I compari di Altman piuttosto che Pat Garrett e Billy the Kid di Peckinpah. “Puro Walt Disney!”, come proprio Peckinpah nel 1972 aveva riportato in un’intervista a Playboy un lapidario e per certi versi comprensibile giudizio riguardante un altro western (il comunque bellissimo I professionisti, diretto nel 1966 da Richard Brooks). Insomma, rispetto alle tendenze del nuovo cinema americano che rivisitavano il genere, Tokar, appunto in perfetto stile Disney, va in direzione opposta. Il giocatore d’azzardo Donovan arriva a Quake City, una cittadina della California un tempo famosa per le miniere d’oro, ormai infruttuose per i frequenti terremoti verificatisi nella zona. Donovan vorrebbe fare i soldi con il poker per aprire un locale a New Orleans. Invece finisce per doversi occupare di tre bambini rimasti orfani, che in un primo momento cerca di affidare a qualcun altro, ma a cui poi si affeziona. I bambini hanno ereditato dal padre una miniera ritenuta ormai esaurita. Un giorno vi si recano e complice una scossa tellurica trovano una grossa pepita. Adesso tutti li vorrebbero adottare e una banda di rapinatori li rapisce per impossessarsi dell’oro. Donovan, con l’aiuto di Magnolia, una ragazza del luogo, e di due ladri maldestri (“Non riuscireste a togliere una caramella a un bambino”), riesce però a risolvere la situazione. Il punto di forza del film è rappresentato dalle situazioni comiche, affidate ai ladri Theodore e Amos, interpretati da Don Knotts e Tim Conway. In particolare, la lunga sequenza che li vede rubare la scala di un’autopompa è un vero e proprio capolavoro, degno di Stan Laurel e Oliver Hardy. Don Knotts torna nel film successivo, La gang della spider rossa. Ancora nel ruolo di un ladro, Bert, con il complice Duke, cerca invano di scassinare la cassaforte di un aeroporto. Fuggendo, prendono lo stesso taxi di due fratellini, Tracy e Jay. I bambini dovrebbero recarsi a trascorrere le vacanze pasquali a casa del ricchissimo nonno. Loro però preferiscono cercare di raggiungere la mamma, in viaggio di lavoro. Poiché sia loro che i ladri hanno bisogno di soldi, la bambina ha l’idea di inscenare un rapimento. Il problema è che il nonno di quei nipoti che combinano un sacco di guai ne fa volentieri a meno, e non intende pagare il riscatto fino al termine delle vacanze. L’intervento della madre, accorsa dopo aver saputo del rapimento, sistema le cose. La gang della spider rossa è un film di coppie. Una coppia di bambini, una di ladri, una coppia di gangster a cui Duke e Bert devono una grossa somma di denaro, una coppia di poliziotti. Nonché la coppia formata dal nonno e dal suo maggiordomo, scenicamente perfetta. E anche se qui un animale torna ad avere un ruolo piuttosto importante (la puzzola di Jay), si tratta sostanzialmente di un film gemello del precedente. Per la presenza dei ladri e dei bambini, per il meccanismo narrativo iniziale (gli adulti che senza volerlo devono dividere la propria esistenza con dei bambini), per i bambini che rappresentano il vero motore dell’azione e, soprattutto, per una coppia (ancora) di scene simili. All’incirca verso la metà del film (dal minuto 00:35:00 al minuto 00:44:00) se ne trova una, realizzata in maniera straordinaria, nella quale Bert deve seguire e cercare di recuperare la puzzola prima sul tetto poi su un grattacielo in costruzione (scena tra l’altro ripresa in un altro sottovalutato film per famiglie, il più recente Baby Birba – Un giorno in libertà), che fa il paio con la scena della scala in La banda delle frittelle di mele. In entrambi i film inoltre assistiamo, nel prefinale, a un inseguimento. A cavallo nel western, dal minuto 01:29:00 al minuto 01:34:00. Decisamente più lunga, strutturata in maniera più complessa, è la sequenza dell’insegnamento in auto in La gang della spider rossa (dal minuto 01:14:00 al minuto 01:26:00). Alla complessità strutturale si aggiunge la variante che in questo caso la funzione comica è assolta dalla coppia di poliziotti. Gli ultimi due film di Tokar, pur non essendo tra i più riusciti, presentano alcuni aspetti inediti e interessanti. Del 1977 è Una ragazza, un maggiordomo e una lady, che ha per protagonista un’adolescente, Casey, rimasta orfana in tenera età. Adottata da una coppia solo per intascare gli assegni familiari, Cassie passa le giornate bighellonando per Los Angeles insieme a una banda di ladruncoli. Finché viene notata da un truffatore, Harry, che riesce a farla passare per la nipote scomparsa di un’anziana nobildonna, Lady St. Edmund. Secondo Harry, nella magione dove la nobildonna vive con il fedele maggiordomo, Priory, e un gruppo di orfanelli di cui la nobildonna si prende cura, vi è nascosto l’immenso tesoro di un pirata. Casey deve scoprire dove, ma la ragazza finisce per schierarsi dalla parte della Lady e dei suoi amici. Dopo una serie di film dai contrasti tenui, Tokar ne gira uno più ruvido del solito. Situazioni e soprattutto personaggi però non riescono a rendere la vicenda particolarmente appassionante, nonostante la consueta bravura del regista e degli interpreti. A tal proposito, va detto che la protagonista Jodie Foster, all’epoca sedicenne, aveva iniziato la carriera con Disney (il primo lungometraggio è Due ragazzi e un leone, del 1972). Ma, reduce dal successo di film di tutt’altro genere, come Taxi Driver e Quella strana ragazza che abita in fondo al viale, era ormai inadatta alle produzioni per famiglie. L’idea iniziale probabilmente era proprio quella di modernizzare la tipica commedia avventurosa disneyana attraverso la presenza di Jodie Foster. Tuttavia Una ragazza, un maggiordomo e una lady finisce per risentire della sua scarsa empatia. L’ultima regia di Tokar è anche il suo primo fantasy, genere molto praticato dalle produzioni Disney. Ne Il gatto venuto dallo spazio, del 1978, il regista torna inoltre alla commedia scanzonata con protagonisti un animale e dei personaggi adulti. Un gatto extraterrestre che si fa chiamare Jack atterra sul nostro pianeta a causa di un guasto della navicella su cui sta viaggiando. Poiché la base gli comunica che non possono venirgli in soccorso, il gatto chiede aiuto a un geniale scienziato, Frank Wilson, con cui comunica mentalmente indossando un collarino luminoso che conferisce poteri telecinetici. Nel 1978, in un periodo nel quale ormai la fantascienza cinematografica affrontava temi sempre più complessi, una vicenda di questo tipo probabilmente appariva piuttosto puerile. Eppure il risultato ha una sua dignità (basta vedere la sequenza dell’inseguimento aereo, per rendersene conto). Qualche anno prima Francois Truffaut, nel suo capolavoro Effetto notte, faceva dire al protagonista, il regista Ferrand (interpretato dallo stesso Truffaut): “Si può fare un film con qualsiasi cosa”. Nell’ultima scena di Il gatto venuto dallo spazio vediamo Jack sollevare con la mente il giudice che gli sta conferendo la cittadinanza americana. Testamento di un regista che realmente poteva fare un film con qualsiasi cosa. Filmografia di Norman Tokar 1962 Compagni d’avventura (Big Red) 1963 Sam il selvaggio (Savage Sam) 1964 Tigre in agguato (A Tiger Walks) 1965 I cacciatori del lago d’argento (Those Calloways) 1966 I ragazzi di Camp Siddons (Follow Me, Boys!)/4 bassotti per 1 danese (The Ugly Dachshund) 1967 Il più felice dei miliardari (The Happiest Millionaire)/Il cavallo in doppiopetto (The Horse in the Gray Flannel Suit) 1969 Rascal, l’orsetto lavatore (Rascal) 1970 Boatniks – I marinai della domenica (The Boatniks) 1972 Pistaaa… arriva il gatto delle nevi (Snowball Express) 1975 La banda delle frittelle di mele (The Apple Dumpling Gang) 1976 La gang della spider rossa (No Deposit, No Return) 1977 Una ragazza, un maggiordomo e una lady (Candleshoe) 1978 Il gatto venuto dallo spazio (The Cat from Outer Space) Navigazione articoli FASE IV: DISTRUZIONE TERRA KARIN SCHUBERT, L’EROTISMO E OLTRE