Mighty Max è una delle migliori, e più clamorosamente sottovalutata, serie animate mai realizzate e apparse sul piccolo schermo, nata all’unico scopo di vendere giocattoli. Giusto per capirci, Mighty Max non è altro che la versione maschile di Polly Pocket. Nel 1989 la Bluebird Toys, una piccola azienda di giocattoli inglese, raggiunse un inusuale quanto inaspettato successo globale grazie a una linea di micro toys. Cosicché, qualche anno dopo, a quelli della Bluebird venne in mente di fare una variante di Polly Pocket indirizzata a un pubblico maschile. Nel 1992 ecco che nasce Mighty Max. La prima ondata di giocattoli dedicata a Max era divisa in due segmenti: uno, quello principale, chiamato Doom Zones, da noi conosciuto come Gusci Orribilosi. L’altro segmento era composto dalla sottolinea Horror Heads (sempre qui, Mini Gusci Orribilosi). Essenzialmente, il grosso successo di Polly Pocket/Mighty Max è riconducibile a tre fattori che le distinguevano dal 99% delle altre linee di giocattoli presenti sul mercato. In primis la quantità e la qualità notevole di dettagli. In secondo luogo la portabilità. Terzo, e non meno importante, il fatto che i Gusci Orribilosi di Mighty Max erano, de facto, dei veri e propri playset a sé. Cosa, in effetti, piuttosto originale. Visto il successo, dal 1992 fino al 1994 fecero in tempo a uscire tre serie di Gusci Orribilosi e pure altre quattro linee: Monster Heads, Hairy Heads, Shrunken Heads e Mega Heads. Fondamentalmente, le Monster Heads erano scenari molto simili alle Horror Heads, solo leggermente più piccoli. Le Hairy Heads, invece, cioè Teste Orribilose da noi, erano delle capuzelle minuscole con un orribile ciuffetto di capelli tipo troll. Infine, le Shrunken Heads, da noi arrivati come Micro Gusci Orribilosi, erano talmente piccole da essere praticamente dei portachiavi. Tuttavia, la cosa molto-più-meglio-assai bella di tutto ‘sto meraviglioso ciarpame erano le Mega Heads. Erano belle, grandi e pure cattivissime. La Montagna del Teschio Maledetto, Dragon Island e Talons erano cose che ti urlavano fortissimo “comprami adesso, muoviti!” nelle orecchie. Forse la più bella in assoluto fra le Mega Heads era Blast Magus. Una specie di gargoyle meccanico che si apriva, lanciava missiletti e faceva tutta un’altra serie di cazzatelle di questo genere. In una parola: magnifico. Anche se alla fine non è che ci fosse proprio tutto questo gran bisogno, visto e considerato come stavano andando le cose, nel 1993, all’apice del successo della linea di giocattoli, venne prodotta una serie animata di Mighty Max. Nulla di strano, siccome la maggior parte dei cartoni animati erano prodotti per sostenere le vendite di linee di giocattoli. Se non fosse per alcuni distinguo che allontanavano di non poco Mighty Max dal resto dei cartoni animati del suo tempo. Fino al 1993 l’intera storia di Mighty Max si riduceva a un debolissimo background riassunto in una piccola sinossi a fumettini stampata sul retro dei blister della linea di giocattoli. “Suo padre diede a Max il suo vecchio berretto da baseball. Fu un guaio: non era un normale berretto da baseball. ‘Guarda che affare‘, pensò Max, mentre girava la tonda visiera sul lato. ‘AAAARGH!’. Improvvisamente, il mondo era diventato misterioso e molto ostile! Il berretto aveva cambiato colore! Qualcosa di molto strano stava accadendo! Era capitato in una “Zona Paurosa”. Inciampando da un’avventura terrificante ad un’altra, con soli enigmatici indizi per aiutarlo a sfuggire… Era del tutto solo… Era spaventato… Ma era il Possente Max e sarebbe tornato indietro, in qualche modo!”. Non è che ci volesse chissà quale grandissimo sforzo per migliorare questa roba, eh. La Film Roman, la casa di produzione che sviluppò la serie animata di Mighty Max, si impegnò comunque non poco: nel cast c’era gente come Tony Jay, Frank Welker e addirittura Tim Curry, la voce del Cavaliere del Teschio Maledetto nel doppiaggio originale. Poi Mark Zaslove, l’autore di TaleSpin della Disney e Gordon Bressack, che avrebbe vinto un paio di Emmy per Mignolo col Prof e Animaniacs. Il primo episodio si apre con una bella panoramica della Montagna del Teschio Maledetto: paesaggi spettrali, fiumi di lava, sgherri e scagnozzi a titolo generico che pascolano in giro. Il pacchetto completo per ogni malvagio che si rispetti, insomma. Nel frattempo, il Cavaliere del Teschio Maledetto, proprietario del posto, dopo tipo cinquemila anni ha giusto voglia di cambiare casa, ma c’è un problema: Il Prescelto. Ovvero colui che (stando alle leggende) è destinato a ucciderlo. Ci spostiamo in superficie. In una classica, deliziosa, stereotipata cittadina americana. Qui vive il classico, delizioso, stereotipato ragazzino americano degli anni novanta: Max. Un tipo discreto, Max. Uno a cui piace passare inosservato, tanto che va in giro con una t-shirt su cui c’è solo la sua iniziale color rosso a caratteri cubitali. Suona il campanello, un fattorino lascia un pacco che Max inizialmente crede per sua madre. In realtà scopre che il pacco è indirizzato proprio a lui. Ancor più strano il fatto che una volta aperto si ritrova con la statua di una gallina antropomorfa seduta su un trono, che nella posa ricorda stranamente la statuetta di Cthulhu, con iscrizioni geroglifiche sulla base. Preso il dizionario dei geroglifici (la madre è un’importante archeologa) Max traduce al volo l’iscrizione. Il messaggio, perché alla fine di questo si trattava, più o meno diceva che lui era Il Prescelto, il Possente Max. Colui destinato a indossare il Berretto Cosmico. Dopodiché, con l’abilità di chi ha solo due mani sinistre, Max fa cadere la statua che va in frantumi e dove all’interno, si scopre così, era nascosto un berretto. Appena messo il berretto, manco il tempo di guardarsi allo specchio, partono tuoni e fulmini magici tipo botti e fischioni. Bello, se non fosse che l’aver indossato il cappello è stato un po’ come accendere un’insegna al neon con su scritto “sono qui”. Appunto, il Cavaliere del Teschio sa che il prescelto è arrivato e perciò, per non dargli il tempo di conoscere i propri poteri, manda uno sgherro per eliminarlo. Lo scagnozzo è un essere antropomorfo fatto di magma che può sciogliere qualunque cosa con cui entri in contatto. Bene. Ecco, adesso metti che Mighty Max è un cartone animato, cioè uno spettacolo indirizzato prevalentemente a un pubblico preadolescenziale. Per quanto non apertamente esplicita, viene mostrata una scena in cui il proprietario del minimarket dov’è diretto Max viene aggredito dal coso fatto di lava. Bambino o no, uno capisce perfettamente che il tizio ha fatto una fine atroce. Mighty Max faceva nel 1993 una cosa che trent’anni dopo molti film e programmi moderni non vogliono o non riescono a fare: essere coerente. Il succo non riguarda la violenza in sé o di vedere gente che muore malissimo, ma del fatto che un essere fatto di lava che incenerisce/brucia/scioglie qualunque cosa tocchi, produca gli effetti di un essere fatto di lava che incenerisce/brucia/scioglie qualunque cosa tocchi. Persone comprese. Un fatto che si traduce con una maggiore plausibilità e perciò maggiore immedesimazione. A ogni modo, fuggi fuggi con il mostro dietro verso un vicolo cieco ma, attenzione: su calcio d’angolo si attiva il berretto, così, di botto, aprendo un portale in cui Max cade atterrando di faccia e facendo pure le capriole. Riaggiustatosi i connotati, fa la conoscenza di Virgil (cioè il pollo antropomorfo raffigurato sulla statua con dentro il berretto) e Norman. Si tratta di un gigantesco guerriero con il compito di fare da guardia del corpo a Max e proteggerlo da ogni pericolo. Aspe’, ché qua si apre un’altra interessantissima parentesi. Virgil, un lemuriano quasi onnisciente, diventa una sorta di precettore per Max. Aveva già ricoperto questo ruolo cinquemila anni prima per il Cavaliere del Teschio Maledetto, responsabile della distruzione di Lemuria e Atlantide. Mentre Norman, pure lui pressoché immortale, nel corso degli ultimi cinquemila anni in cui ha accompagnato Virgil, ha dato vita a numerose storie e leggende. La cosa interessante è appunto il fatto che Max, Virgil e Norman hanno il potere di viaggiare nel tempo e nello spazio, esplorando l’intera storia umana. Il dettaglio che non viene buttato lì alla cazzomannaggia tanto per mandare avanti il cartone animato. Al contrario, viene sfruttato attivamente e integrato con il classico, quanto per l’epoca immancabile, “epilogo educativo” sugli eventi dell’episodio. Ma al contrario di serie come Masters of the Universe e G.I. Joe, per dire, gli epiloghi di Mighty Max stava nel fatto che Max non si limitava ad ammazzarti l’anima con il pippone morale su quanto sia giusto o sbagliato fare questo e quello; bensì discuteva e approfondiva fatti e curiosità veramente interessanti inerenti a quanto visto nell’episodio. Per esempio, Norman è l’origine dei miti di Thor, Ercole, Sansone et similia. Comunque sia, fatto un po’ di rodaggio random al cappello magico, alla fine il terzetto ritorna a casa di Max perché, a quanto pare, la pergamena con cui Virgil va sempre in giro dice che lì c’è uno scantinato segreto con un portale. Vengono attaccati di nuovo dal mostro di lava e nel tentativo di salvare Max, Virgil viene catapultato nel portale apertosi per sbaglio e… niente, finisce direttamente in braccio al Cavaliere del Teschio. Max e Norman si lanciano al salvataggio dell’amico pollo, ma vengono separati. Mentre Norman si azzuffa un po’ qua e un po’ là con tutto quello che incontra, Max trova Virgil appeso per l’ala a un burrone. Il tempo di aspettare Norman che finiva di regalare schiaffi e i tre, di nuovo insieme, riescono a scappare dalla Montagna del Teschio Maledetto. Ora, in Mighty Max veniva fatto largo uso di molti tropi di genere, questo è certo. Tuttavia, la narrazione non appariva mai stanca o banale. Anzi. Attingendo a mitologia e fatti storici per mettere in piedi le trame verticali dei singoli episodi, si nota chiaramente che gli autori devono essersi divertiti molto. Soprattutto, non avevano certo paura di testare i limiti del pubblico. In generale, Mighty Max era una serie che spesso e volentieri sfidava le aspettative e in gran parte, oggi come oggi, sarebbe considerata una serie per adulti. Approccio, stile, tono, ritmo, con i cattivi percepiti veramente come cattivi. La storia aveva pathos e i personaggi, molto umanizzati, ethos. Pure l’animazione era al di sopra della media del periodo. In altre parole, la serie di Mighty Max aveva tutto o quasi e… alla fine venne cancellata. Senza un apparente motivo dopo quaranta episodi. In realtà, Mighty Max in toto, l’intero franchise venne cancellato così, di botto, e il perché ancora oggi non è del tutto chiaro. Molti riconducono la cancellazione di Mighty Max a una serie di controversie legali da parte di genitori incarogniti. La motivazione che alcuni bambini si siano trovati a rischio di soffocamento a causa della piccolezza delle parti non mi pare molto forte. Nel senso che Mighty Max era una proprietà intellettuale estremamente remunerativa da cui, Bluebird prima e Mattel (che si comprò baracca e burattini) poi, tirarono fuori un grosso franchise multimediale. I giocattoli andavano a bomba, la serie animata pure di più. Inoltre c’erano fumetti, videogame tie-in, quaderni, zaini e qualunque altra cosa immaginabile su cui si potesse schiaffare un logo. C’era addirittura una partnership con McDonald per una linea di Happy Meal dedicata a Mighty Max, santo cielo! Di solito franchise tanto redditizi non scompaiono di botto, ma in un modo o nell’altro, continuano a essere spremuti. G.I. Joe, MOTU, Tartarughe Ninja, la stessa Polly Pocket, per dire: quante serie sono tornate sul mercato? Eppure, passi la linea di giocattoli, ma la cancellazione della serie animata (mai resa disponibile in Vhs, Dvd o tramite streaming) e di tutto ciò che gli gravitasse intorno, rimane alquanto difficile da spiegare. Ebbene, detto questo anche per stavolta è tutto.Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.(Da Il sotterraneo del Retronauta). Navigazione articoli BARBIE E GLI ALTRI FILM CON MARGOT ROBBIE SONO (QUASI TUTTI) BRUTTI ROBOCOP, UNA STORIA AMERICANA
Interessante ricordo vagamente la serie. L’espediente del cappello “girato” per entrare in un’altra dimensione mi ricorda il romanzo breve di Lucius Shepard “Skull City” (1990) dove al protagonista, un tossico disadattato, bastava indossare un paio di cuffiette di un walkmen con una particolare cassetta di musica metal per accedere ad una realtà gotica-dark cotangente alla nostra… Rispondi