“Meglio un morto in casa che un marchigiano fuori dalla porta”. Questo detto ha radici antiche, risalenti alla fine del XVI secolo. Papa Sisto V, marchigiano di Grottammare dove nacque il 13 dicembre del 1521, come esattori delle tasse aveva scelto i suoi fidati conterranei, con il compito di bussare a ogni uscio di casa degli Stati Pontifici per riscuotere le gabelle che servivano per la trasformazione in chiave moderna dell’assetto urbanistico di Roma, ancora in gran parte medievale. Sorprende ancora come, a dispetto della brevità di un pontificato durato soltanto 5 anni dal 1585 al 1590, abbia centrato l’obiettivo, meritandosi l’appellativo di “Urbanista di Dio”. Figlio di contadini, dotato d’intelligenza vivacissima, Felice Peretti a 12 anni fu introdotto allo studio della teologia dallo zio, frate francescano, iniziando il noviziato nell’Ordine, sino a essere ordinato presbitero nel 1547. Costruitosi la fama di predicatore, fu nominato Inquisitore di Venezia e poi consacrato Vescovo di Sant’Agata dei Goti, meritandosi la berretta cardinalizia. Dal conclave seguito alla morte di Gregorio XIII, nel 1585, uscì a sorpresa con la tiara sul capo e il nome di Sisto V. Il suo pontificato fece della Caput Mundi il cantiere a cielo aperto che l’avrebbe proiettata verso i fasti barocchi. Oltre a una nuova lastricatura della città, diede disposizioni per riordinare il sistema delle acque reflue e potabili, costruendo il nuovo “Acquedotto Felice”; iniziò i lavori della nuova Biblioteca Vaticana e fece erigere ai quattro angoli della città altrettanti obelischi egizi, ancora visibili nelle piazze dell’Esquilino, San Giovanni in Laterano, Popolo e San Pietro. Tanto fu lo sforzo per la “trasportatione” di quest’ultimo, che nel momento culminante il Pontefice, per non distrarre i lavoranti, ordinò che tutto fosse eseguito nel massimo silenzio, pena la morte. Quando però le funi surriscaldate furono lì lì per cedere, si udì il grido di un genovese che urlò: “Acqua alle corde!”, evitando una tragedia e meritandosi così il perdono papale per aver disubbidito. Non era raro che si aggirasse in incognito per le viuzze del centro di Roma, per assicurarsi di persona di come stesse il popolo e pizzicare sul fatto i furfanti. Quando introdusse un nuovo sistema di misurazione del vino basato sulla “foglietta” (o “quartino”), vestito da popolano si soffermò presso un’osteria chiedendo per l’appunto una “foglietta” di vino che poi, senza farsi vedere dall’oste, versò in una fiaschetta quel contenuto. Dopo aver ripetuto l’operazione un paio di volte e constatato che l’oste “fregava”, se ne andò senza proferire parola. Il mattino seguente, aprendo bottega quest’ultimo notò con piacere che sulla piazza antistante stavano erigendo un patibolo, fregandosi le mani perché quello spettacolo attirava sempre tantissimi curiosi e possibili clienti. Ma pochi minuti dopo il boia sulla forca issò proprio lui, come monito per i disonesti. La splendida “Villa Montalto Peretti”, con il suo parco ornato da oltre trenta fontane, gioiello tardo rinascimentale dell’architetto Domenico Fontana, fu invece sacrificata in nome della sciagurata speculazione edilizia postunitaria che, al suo posto, fece erigere l’attuale quartiere di Castro Pretorio e ampliare la Stazione Termini. Nell’immagine di apertura una incisione con la Villa Montalto Peretti e il suo giardino. (Testo di Anselmo Pagani. Riproduzione consentita se indicante il nome dell’autore). Navigazione articoli BALDASSARRE CASTIGLIONE, IL PERFETTO GENTILUOMO ORFANI DELLA MESSA IN LATINO