I “gesuiti euclidei vestiti come bonzi” cantati da Franco Battiato sono esistiti per davvero. All’inizio del Seicento, il loro “centro di gravità permanente” lo trovarono nella Cina dei Ming, a una distanza siderale dalla nostra Penisola. Il leader di quello sparuto manipolo di coraggiosi si chiamava “Li Madou”, vestiva un caffettano di seta nera e portava sul capo il cilindro tipico dei mandarini, nero anch’esso. Si esprimeva in un cinese impeccabile e intratteneva dotti scambi epistolari con i maestri confuciani. Per primo aveva tradotto in cinese gli “Elementi” di Euclide, fino ad allora sconosciuti nell’Impero Celeste. Grazie alle nozioni di gioventù, aveva illustrato le basi del neonato calendario gregoriano che correggeva le sfasature di quello cinese, evidenti anche ai meno ferrati in materia. Aveva meravigliato tutti con la sua abilità nel disegnare mappamondi murali, molto apprezzati in quell’immenso Paese chiuso a tutto ciò che venisse da fuori. Solo l’accento, la statura fuori dal comune, la barba fluente e il taglio degli occhi lasciavano intuire che non era un mandarino come tutti gli altri. Nel suo nome “Li” stava per “Ri”, sillaba di pronunzia impossibile per i Cinesi che infatti la trasformano in una “L”, e “Madou” per “Matteo”. Si trattava della traslitterazione delle iniziali di Matteo Ricci, il primo europeo a risiedere stabilmente per circa trent’anni nell’Impero Celeste, all’epoca della dinastia Ming. Nato il 6 ottobre del 1552 a Macerata, dopo aver studiato presso il Collegio Romano ed essere entrato nella Compagnia di Gesù, nel 1578 partì, su ordine di Papa Gregorio XIII, per l’Estremo Oriente con alcuni confratelli, facendo vela verso la Cina dove sarebbe arrivato nel 1582. Con il capo completamente rasato e indosso una tunica grigia da bonzo buddista, il 15 settembre del 1583 insieme al confratello Michele Ruggieri, Padre Matteo si prostrò di fronte al prefetto Wang Pan. Nel suo cinese ancora imperfetto l’implorò di concedergli il permesso di risiedere nel Paese per costruirvi una casa dove onorare, nel rispetto delle leggi locali, “il Signore del Cielo e della Terra”. La prima missione cattolica nella Cina dei Ming divenne in tal modo realtà. Grazie a essa sarebbe iniziato uno dei periodi più lunghi e fruttuosi nella storia degli scambi culturali fra l’Occidente cristiano e l’Estremo Oriente prevalentemente confuciano. Padre Matteo intraprese un’infaticabile attività di divulgazione scientifica, che lo fece assurgere al rango di dotto consentendone la metamorfosi da monaco a mandarino, carica inferiore solo a quella dell’Imperatore. Quando spirò l’11 maggio del 1610, a Padre Ricci fu tributato l’onore più grande per uno straniero in Cina: la concessione di un terreno per la sepoltura in una tomba recante l’iscrizione: “A colui che è venuto attratto dalla giustizia ed all’autore di tanti libri. A Li Madou, fratello del Grande Occidente”. Scampata alle devastazioni della “rivoluzione“ maoista, si trova ancora al centro del parco del Collegio Amministrativo di Pechino, una delle poche oasi di pace e verde pubblico nel centro della capitale cinese. Immagine di apertura: carta geografica del mondo in caratteri cinesi di Matteo Ricci, 1602. (Testo di Anselmo Pagani. Riproduzione consentita se indicante il nome dell’autore) Navigazione articoli ANDREA GRAZIANI, IL FUCILATORE PAZZO DONNA OLIMPIA, LA PAPESSA