Machiavelli


“Sono tanto semplici li uomini e tanto obbediscono alle necessità presenti, che colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare”.

Questa amara considerazione conserva intatta tutta la sua attualità.
A scriverla fu Niccolò Machiavelli, nato a Firenze il 3 maggio del 1469 e considerato il “pater” della scienza politica moderna.

In un periodo di cambiamenti epocali che vedevano il passaggio dal Medioevo al Rinascimento, Machiavelli osservò le innovazioni in campo politico, diplomatico e militare del suo tempo, analizzandole alla luce del passato e traendone insegnamenti politici universalmente validi, ripresi con grande successo nei secoli successivi.

A lui che aveva svogliatamente seguito i corsi di giurisprudenza, gli affari dello Stato fiorentino interessavano molto più di codici e massime, e così, quando gli si presentò l’occasione nel 1498, accettò con entusiasmo la carica di segretario della neonata Repubblica.

Quel lavoro gli era congeniale perché lo metteva a stretto contatto con i più alti magistrati statali e i diplomatici stranieri, permettendogli di studiare con il suo occhio smaliziato tutti i documenti riservati che quotidianamente finivano sul suo tavolo.
Con il passare del tempo, i maggiorenti repubblicani iniziarono a consultarsi con lui prima di prendere uma decisione importante, il che ne fece uno degli uomini più influenti della Firenze d’inizio Cinquecento.

Con il rientro in città dei Medici, nel 1512, la dura legge della spartizione della cariche impose non solo la sua rimozione dall’incarico, ma anche l’arresto perché sospettato di far parte di una congiura anti-medicea.
In galera, seppur sottoposto a tortura, non mancò di dar prova della sua proverbiale ironia scrivendo che nella sua cella: “Menon pidocchi queste pareti / bolsi spaccati che paion farfalle / né fu una tanto puzza in Roncisvalle / quanto nel mio sì delicato ostello”.

Nei 14 anni trascorsi al servizio della Repubblica, chi lo impressionò maggiormente fu Cesare Borgia, figlio di Papa Alessandro VI. Machiavelli lo conobbe personalmente e lo seguì nella campagna militare che sul finire del 1502 gli avrebbe consentito di sbarazzarsi, facendoli strangolare a tradimento, alcuni degli ideatori di una congiura ordita ai suoi danni.

Il ricordo del Borgia lo ispirò anche nella seconda parte della sua vita, quando nella tranquillità dell’esilio di San Casciano lo prese a modello del “despota perfetto” che deve farsi temere dai sudditi, negando loro la libertà, ma concedendone le apparenze.
Solo in questo modo, infatti, può conquistare e conservare uno Stato personale, anche a costo di macchiarsi di nefandezze, da Machiavelli considerate legittime se compiute per rafforzare e estendere i propri domini.

Di fronte alla Penisola frantumata in un pulviscolo di mini-Stati sempre in lotta fra loro, molti secoli prima del Risorgimento, individuò i due i motivi per i quali l’Italia “non sia in quei medesimi termini” di forti Stati nazionali quali Francia, Spagna e Inghilterra.
In primis, la presenza sul nostro territorio della Chiesa con il suo imperio temporale, che ha sempre fatto di tutto per mettere gli uni contro gli altri, in modo che nessuno fosse abbastanza forte per fagocitarla.
Poi, la mancanza di un Principe “virtuoso”, aggettivo qui da intendersi come astuto ed ambizioso, perché per tenere a bada il popolo avrebbe dovuto “parere pietoso, fedele, integro, religioso, ed essere; ma stare edificato con l’animo in modo che, bisognando non essere, possa e sappia mutare al contrario”.
Il perfetto Principe infatti deve essere anche un gran “simulatore e dissimulatore”, capace di mascherare la sua vera natura proprio perché “colui che inganna, troverà sempre chi si lascerà ingannare”.

Questo fu il filo conduttore del “Principe”, il più famoso degli scritti machiavelliani e uno dei primi “best-sellers” della storia, tradotto in moltissime lingue, letto e citato da generazioni di politici, tanto che personaggi come Carlo V d’Asburgo, il Cardinale de Richelieu, Luigi XIV di Francia e Napoleone Bonaparte lo tenevano sul loro comodino.

Con cinismo Machiavelli teorizzò per primo che gli uomini, più che a essere governati, sono propensi a obbedire a chi, gabbandoli, propone rimedi spiccioli alle necessità del momento, piuttosto che progetti a più ampio respiro.

 

Accompagna questo scritto il “Ritratto postumo di Niccolò Machiavelli” di Santi di Tito, 1550 circa, Museo Civico di Palazzo Vecchio, Firenze

Un pensiero su “MACHIAVELLI E IL CINISMO DELLA POLITICA”
  1. REPUTO ESTREMAMENTE SCORRETTO ESPUNGERE IL MIO COMENTO AL TRAFILETTO DI PAGANI, UNA VOLTA CHE LO STESSO E’ STATO PUBBLICATO , COL COMMENTO DI ANTONINI.
    CHIEDO, PERTANTO, CHE IL MIO COMMENTO SIA RIPRISTINATO.
    QUESTO, IN OSSEQUIO ALLE PIU’ ELEMENTARI REGOLE CHE DEVONO PRESIEDERE ALLA CORRETTEZZA DELLA STAMPA PERIODICA, CUI GIORNALE POP NON PUO’ EVIDENTEMENTE SOTTRARSI.
    CON CIRDIALITA’
    CLAUDIO GARD
    Suggerirei all’ottimo Pagani di essere più cauto nell’uso delle virgolette per circoscrivere le citazioni.
    Tramite le virgolette, infatti, chi scrive attesta di aver riportato la citazione nel suo testo originario, vale a
    dire di averla riprodotta tel quel risalendo direttamente alle fonti originarie.
    Nel nostro caso al Principe e alle Rime varie.
    Tanto premesso, mi permetto di evidenziare le seguenti difformità:
    Machiavelli non scrive
    parere pietoso, fedele, integro, religioso, ed essere; ma stare edificato con l’animo in modo che,
    bisognando non essere, possa e sappia mutare al contrario
    bensì
    parere pietoso, fedele, umano, intero, relligioso, et essere; ma stare in modo edificato con l’animo, che,
    bisognando non essere, tu possa e sappi mutare el contrario
    Edizione di riferimento:
    a cura di Luigi Firpo, Einaudi, Torino 1961
    Machiavelli non scrive:
    Menon pidocchi queste pareti / bolsi spaccati che paion farfalle / né fu una tanto puzza in Roncisvalle /
    quanto nel mio sì delicato ostello
    bensì
    Menon pidocchi queste parieti
    bolsi spaccati, che paion farfalle;
    né fu mai tanto puzzo in Roncisvalle
    o in Sardigna tra quegli alboreti
    quanto nel mio sì delicato ostello;
    Edizione di riferimento
    a cura di Mario Martelli, Sansoni Editore, Firenze 1971
    Peraltro, le citate precisazioni non valgono minimamente a scalfire il carattere pregevole del trafiletto,
    quanto a sottolineare la necessità, per chiunque scriva, di rispettare il minimo sindacale richiesto dalla
    filologia.

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