Finora gli autori hanno dovuto sempre adattarsi allo “stile Disney”, potrà mai capitare il contrario?
In Francia è l’editore Glénat ad avere la licenza Disney per i libri a fumetti (chiamati Bandes Dessinées, “strisce disegnate”). Ed è stato lui ad avere l’idea di varare la collana “Mickey vu par…” (“Topolino visto da…”), che, per la prima volta, abbina il personaggio creato quasi 90 anni fa da Ub Iwerks e Walt Disney al concept del cartonato francese “d’autore”. Ma come è stata possibile un’operazione del genere (affidare un character codificato in modo più che puntiglioso e gelosamente protetto dalla major statunitense) all’estro di artisti del racconto disegnato abituati ad agire in assoluta libertà? “Eravamo avvantaggiati dal fatto di essere già un valido interlocutore dato che da anni rieditiamo i grandi classici della Disney”, spiega Jacques Glénat in un’intervista al quotidiano 20 minutes. “Quando ho proposto che alcuni grandi autori della BéDé franco-belga riprendessero, a modo loro, quell’eroe universale che è Mickey Mouse, i miei interlocutori americani mi hanno immediatamente dato il loro consenso di massima”. Anche se subito dopo confessa che le complicazioni non sono mancate, non essendoci l’abitudine a lavorare con una multinazionale come la Disney.

Sono comunque nati rapidamente “Une mystérieuse melodie” scritto e disegnato dallo svizzero Cosey, che racconta come si sono conosciuti Topolino e Minni, e “Mickey’s Craziest Adventures” che, con i testi di Lewis Trondheim e le immagini di Keramidas, colleziona una serie di “pagine ritrovate” di immaginari vecchi albi di Topolino. E i responsabili della Disney sembrano aver gradito. “Sono stati sedotti dall’audacia della proposta”, dice ancora Glénat. “Si sono dimostrati sinceramente incuriositi da questo approccio inedito e ci hanno dato una fiducia quasi cieca”. Anche se gli autori hanno accettato di adeguarsi ai precetti della “bibbia” Disney (niente armi, niente violenza né sesso), qualcuno degli abituali divieti in realtà è stato violato, come vedremo più avanti.

Il successo dei primi due volumi ha spinto l’editore a raddoppiare, e nell’autunno del 2016 anche Tébo, creatore di Captain Biceps, e Régis Loisel (“La quête de l’Oiseau du temps” e “Peter Pan”) hanno partorito altri due volumi del Topolino d’autore: “La jeunesse de Mickey” e “Café Zombo”. Davanti alla porta dell’ufficio di Jacques Glénat c’è già la fila degli autori ansiosi di dare la propria versione dell’immortale personaggio. Il ponte che l’editore francofono sta cercando di mettere tra il mondo “artistico” della BéDé europea e quello dell’industria globale della Disney non è facilissimo da costruire, ma le prime pietre posate dalla Glénat sembrano solide.

Tébo, col suo disegno minimalista e rotondo, si è divertito a mostrare un Topolino “vecchio”, un nonno che racconta al nipotino (figlio di nipoti: nel mondo asessuato dei personaggi Disney non si procrea né ci sono discendenti diretti) le sue avventure infantili in cinque episodi che hanno permesso all’autore di sbizzarrirsi quanto a situazioni e ambienti: “La corsa all’oro” (Topolino e Pippo si contendono una mappa del tesoro ostacolati da Pietro Gambadilegno), “Prigionieri nella palude” (storia di sommergibili con il primo incontro tra Topolino e Minni… diverso da quello raccontato da Cosey), “Messaggero di pace” (Topolino porta la notizia che la guerra è finita, col solito Gambadilegno che cerca di impedirglielo), “Fuorilegge del cioccolato” (Topolino al tempo del Proibizionismo… del cioccolato, col quale una volta si era scottato il Presidente degli Stati Uniti bevendolo) e “La corsa alle stelle” (Topolino e Paperino coinvolti nella gara tra russi e americani per la conquista dello spazio). Questo saltare da un evento storico all’altro ricorda la serie “Mickey à travers les siècles” disegnata da  Ténas e Pierre Nicolas e apparsa a puntate dal 1952 al 1978 su Le Journal de Mickey, edizione francese di Topolino in formato giornale, ma che Tébo afferma di non aver mai letto.

Loisel, per parte sua, realizza un’avventura gottfredsoniana già nel formato, quello classico a striscia degli anni Trenta, e ambienta la sua storia al tempo della Grande Crisi, con Topolino e Orazio alla disperata ricerca di un lavoro qualsiasi, costretti a districarsi tra i disoccupati “zombizzati” da un caffè drogato e un avido costruttore che vuole realizzare un campo da golf dove sorgono le case dei Nostri. A tutti gli autori era stata garantita “carta bianca”, ma a storie completate l’azienda di Burbank (California) le ha passate al microscopio. “Solo a quel punto ci hanno mandato l’elenco delle cose da correggere”, si lamenta Keramidas. “Per noi si è trattato principalmente di modificare qualche dialogo. Per esempio non si doveva parlare di obesità. Paperino non poteva mangiare polli arrosto o altre cose che facessero riferimento a un animale morto. So che Cosey ha dovuto cancellare un sigaro che il produttore teneva in mano”. La stessa pignoleria sembra non essere stata applicata al lavoro di Loisel. Nessuna pretesa di politically correct, nel suo caso, sembra essere stata avanzata: come nelle strip di Floyd Gottfredson: il suo Topolino si azzuffa con Gambadilegno con incontrollata violenza; il perfido Rock Füller mastica un sigaro (o è una salsiccia?) per l’intera vicenda; i chimici Max e Ronald rincoglioniscono ulteriormente i lavoratori con hamburger (carne più che morta!) che danno dipendenza… per non parlare delle tematiche “sociali”. L’autore francese denuncia i metodi schiavistici del capitalismo che trasforma i lavoratori in zombi con lo sfrenato consumismo (il caffè Zombo), li priva dei propri diritti (le case espropriate per costruire il campo da golf) a vantaggio della grande finanza (il nome del costruttore Rock Füller ricorda esplicitamente quello di un finanziere simbolo dell’avidità capitalista), li avvelena e rende dipendenti con cibi innaturali (gli hamburger “preparati” da Mac e Donald… pardon, Max e Roland).

Questo per stare alla cronaca e all’analisi degli elementi tecnico-letterari della collana. Vale però la pena spendere qualche parola sul significato e gli esiti editoriali, culturali e commerciali dell’operazione. Intanto il disegno. I quattro autori hanno, come loro richiesto, dato una lettura grafica personale del character. Con esiti inevitabilmente diversi. Un po’ surreale-underground l’interpretazione di Trondheim/Keramidas; incerta e “povera” quella di Cosey, autore non umoristico e decisamente poco a suo agio in questa operazione; gradevolissima e adatta a ogni età quella di Tébo; spettacolare per ricchezza e recitazione (anche cartoonistica) quella di Loisel.

D’altronde non è una novità. Mickey Mouse e il resto dei personaggi Disney, in quasi un secolo di vita, sono passati per le mani di migliaia di fumettisti, illustratori e animatori che, anche se costretti nella rigida gabbia imposta dalla proprietà, si sono spesso presi delle libertà e hanno avuto esiti qualitativi assai differenti. Alcuni autori (non uso il termine a caso) sono riusciti a emergere prepotentemente dalla sterminata produzione che, da più nazioni e “scuole”, ha riempito le pagine delle pubblicazioni a fumetti in tutto il mondo. Mi limiterò a quelli che Loisel elenca nella dedica all’inizio del suo libro: oltre ai due creatori, Gottfredson, Taliaferro, Gonzales, Barks, Murry, Scarpa e Cavazzano. Ma, in qualche modo, tutti questi si sono comunque messi al servizio dei personaggi. Il progetto di Glénat sembra invece voler contravvenire a questa regola, e mettere i personaggi al servizio dell’autore. Abbiamo visto come la puntigliosa supervisione finale non abbia frenato la libertà, quantomeno di Loisel che non solo ci ha restituito la fisicità degli scontri tra Topolino e Gambadilegno, un tempo abituale nelle strisce pubblicate dai quotidiani statunitensi, ma ha caricato il suo fumetto di problematiche sociali decisamente aliene all’edulcorata way of life disneyana. Sul sito web La tana del sollazzo, Simone D’Anastasio auspica che il progetto di Glénat “esca dalla sua natura di evento eccezionale (tanto in Italia quanto altrove) per diventare il paradigma, il prototipo del fumetto Disney. Ciò a cui l’autore che lavora su Topolino deve tendere. E il coraggio dell’operazione deve portarci a riflettere su cosa potrà e dovrà essere il fumetto Disney nei prossimi anni”.

C’è davvero da augurarsi che il fumetto “seriale” disneyano segua l’esempio di questo esperimento editoriale, trovando in esso nuova linfa per andare avanti e ritrovare una giovinezza, se non perduta, incrinata? O questi quattro volumi rappresentano piuttosto l’esito finale di una perniciosa tendenza in atto da anni nella produzione fumettistica Disney (soprattutto in Italia)? Da più parti sale da tempo il lamento sulla “leggerezza” perduta del fumetto (non solo disneyano), causa di tanta disaffezione che avrebbe allontanato innumerevoli lettori dal medium. Al netto delle altre cause di crisi dell’editoria, concorrenza delle nuove tecnologie in primis, occorre riconoscere che da più di un trentennio il fumetto pare aver dimenticato i ragazzi (anche quelli di una certa età) per inseguire l’invecchiamento dei lettori. Si è così fatto sempre più “adulto”, serioso, documentato, impegnato, “artistico”, iperrealista e, peggio di tutto, autoreferenziale. Anche i volumi di Glénat, compreso il più “infantile” e giocoso di tutti, quello di Tébo (l’unico che anche con il suo buffo personaggio supereroico è abituato a parlare ai ragazzini), sconta il peccato di essere un’operazione fatta da adulti inseguendo nostalgie “da grandi”: non a caso tutti e quattro gli autori hanno scelto di rappresentare il Topolino degli inizi, quello con i calzoncini corti, rossi e i bottoni gialli. Quello dell’infanzia, loro o ideale. Ma nel momento in cui collocano anche storicamente le vicende negli anni Trenta, negano l’universalità e atemporalità del personaggio, e anziché liberarlo lo ingabbiano definitivamente.

A chi (e cosa) serve dunque questa operazione? All’editore, sicuramente, che ha trovato un’altra nicchia editoriale da sfruttare. Ma, e anche questo è segno dei tempi come abbiamo già segnalato sulle colonne di questo giornale, una volta di più rinunciando a inventare per il futuro e preferendo rifugiarsi nei brand di successo del passato. Quelli che d’altronde continuano a tenere in piedi le case editrici degli Asterix, dei Blake e Mortimer, dei Thorgal, dei Puffi, dei Lucky Luke o, per tornare a casa nostra, dei Tex e dei Diabolik.

 

4 pensiero su “LOISEL O TÉBO? I GRANDI AUTORI DISEGNANO TOPOLINO!”
  1. Scandaloso il Topolino di Tebo: praticamente l’ incipt è spudoratamente copiato dalla recente serie animata francese “Dofus – I tesori di Kerubim (Dofus aux trésors de Kérubim) ” dove il protagonista , un vecchio gatto avventuriero , racconta le sue imprese giovanili al nipotino Jojo.
    Vi ricorda niente ?
    Ovviamente nessuno della critica italiana ha mai notato la cosa , ci pensa Sam a dare la notizia in anteprima mondiale ( e sputtanare Tebo ) qui , su Giornale Pop.

      1. Forse è così ( m fammi almeno un paio di titoli , che a me la memoria in questo momento è out ), ma il fatto che mi vada a tirare fuori questo schema narrativo a episodi , così breve distanza dell’ uscita della serie (guarda caso francese) , mi fa pensare male ( più che altro è imbarazzante da un semplice lato professionale, perché qualunque ragazzino che sfoglierà l’albo dirà “ahh ma ha copiato Kerumbim ” ).

  2. Scusate non volevo dire ” breve distanza”.
    Cmq sono sicurissimo che Tebo ha copiato da lì, ed è incredibile che nessuno in redazione se ne sia accorto.
    Certo che se mi vuoli lanciare una collana dove l’autore conta come il personaggio , e poi il primo si pmette a copiare idee da cartoni popolari( ispirati a videogiochi, non ci fai una gran figura). Almno copia qualcosa che nessuno conosce , non una cosa famosissima ( in Francia, dove è uscito anche un film al cinema . in Italia se lo filano in pochi)

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