Negli anni settanta nel campo dei fumetti c’erano diverse case editrici milanesi di “grandezza media” come Dardo, Bianconi, Cenisio, Corno, Edifumetto ed Ediperiodici. Editori medi che probabilmente avevano un giro d’affari superiore a quello dei grandi editori di fumetti di oggi.

Io ho avuto modo di conoscere di persona tutti questi editori tra la seconda metà degli anni ottanta e la prima dei novanta, quando, uno a uno, si sono spenti per sempre.

 

EDITORIALE DARDO

Fondata alla fine degli anni quaranta da Gino Casarotti, la Dardo è arrivata al successo con Gim Toro, il capolavoro dello sceneggiatore Andrea Lavezzolo.
Negli anni cinquanta arrivarono i personaggi realizzati dal trio EsseGesse, come Capitan Miki e il Grande Blek. Un ranger e un trapper che hanno fortemente influenzato con il loro stile brillante la creazione di Zagor: se Miki e Blek avessero adottato in tempo il formato vincente della Bonelli, sarebbero ancora in edicola.
Il nuovo successo della Dardo degli anni sessanta è Supereroica, testata di fumetti bellici di origine inglese (per i quali lavoravano disegnatori italiani e soprattutto spagnoli).
Dal 1972, la casa editrice venne guidata dal figlio Giuseppe.

Io incontrai Giuseppe Casarotti alla fine degli anni ottanta, dopo l’esperimento del bonellide Gordon Link creato dall’ex cantautore Gianfranco Manfredi (poi sceneggiatore di diversi personaggi della Bonelli, ultimo dei quali Adam Wild).
L’editore contava di rilanciare la Dardo con la versione a fumetti de “La Piovra”, una serie televisiva di grande successo sulla lotta alla Mafia trasmessa all’epoca dalla Rai. Qualcosa però gli impediva di portare a termine questo piano. Il motivo non volle dirmelo (ma, come vedremo, è facilmente immaginabile). Ricordo che nel suo ufficio campeggiava la monumentale enciclopedia Treccani.
Nei primi anni novanta, Casarotti Junior gettò la spugna.

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EDITRICE CENISIO

Questa è la casa editrice con la quale ho avuto meno contatti; bisognerebbe sentire Gianni Bono, attivo ancora oggi, che per un certo periodo ha diretto le sue pubblicazioni.
Nata negli anni sessanta, la Cenisio fondò le sue fortune sui personaggi della Warner Bros, da Gatto Silvestro a Bugs Bunny. Alla fine del decennio ha iniziato a presentare Tarzan della Gold Key, partendo dagli episodi del grande Russ Manning.
Nei settanta aggiunse Superman e Batman, personaggi abbandonati dalla Mondadori e poi dalla Williams, purtroppo mescolandoli sempre di più a rubrichette per bimbi estranee ai supereroi.
La Cenisio morì lentamente alla fine degli anni ottanta.

Nell’unica volta che ho avuto un contatto con questa casa editrice ho incontrato il suo nuovo editore, forse figlio del precedente, del quale non ricordo il nome: voleva chiudere la baracca al più presto.
Mi fece vedere una “graphic novel” della Dc Comics tratta da un romanzo di fantascienza, chiedendomi se valeva la pena puntare su quel prodotto, gli risposi che avrebbe avuto un mercato ristretto.

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EDITORIALE CORNO

Sicuramente la mia preferita, essendo stato un lettore accanito dei tascabili di Kriminal e Satanik realizzati dal 1964 dalla coppia Max Bunker (Luciano Secchi) e Magnus (Roberto Raviola). Poi divenni grande fan dei supereroi Marvel, lanciati e pubblicati a partire dal 1970 dalla Corno.
Entrai negli uffici della Corno nel 1983, quando Alfredo Castelli, subentrato a Secchi, mi stupì chiedendomi di collaborare con Eureka.
Alla fine degli anni ottanta ho curato Cucador per Andrea Corno, attraverso l’Epierre, ma in quella occasione non incontrai l’editore. Lo conobbi solo nella metà degli anni novanta, quando era messo piuttosto male.
La sua nuova sigla editoriale, Garden, pubblicava solo romanzi gialli degli anni venti dai diritti scaduti… che rivendeva anche ai croati per poche lire. Sua sorella era stata la moglie di Secchi: quando i due ruppero la loro relazione in malo modo, all’inizio degli anni ottanta, saltò anche l’Editoriale Corno.
Secchi continuò a pubblicare Alan Ford con la sua nuova etichetta editoriale. Delle proprie riviste, Corno conservava soltanto Pogo, un ibrido tra Eureka e Linus della fine degli anni sessanta pubblicato per il mercato francese. Era durato poco, ma era l’unica testata nella quale Secchi non c’entrava niente.
Nello studio, Corno conservava la Treccani che era stata di Casarotti, il quale lo veniva a trovare spesso da quando aveva chiuso la propria casa editrice.

Corno voleva tornare ai fumetti pubblicando i manga: era stato il primo ad averli fatti conoscere dalle pagine di Eureka negli anni settanta, e io gli fornii alcuni contatti con il Giappone.
Bisogna sapere che un editore di fumetti, prima di fare uscire una serie, presentava il progetto a stampatore e distributore: i genere sarebbe partito solo se avessero aspettato alcuni mesi per essere pagati con i ricavi delle vendite. Ma ormai distributori e stampatori non credevano nel fumetto in generale e a Corno in particolare, così gli negarono questo favore.
Quindi niente manga, e ormai anche i gialli non vendevano più.

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EDIZIONI BIANCONI

Erano una sorta di anti-Disney. Pubblicavano l’americano Braccio di Ferro e personaggi italiani come Soldino, Nonna Abelarda e Geppo. Entrarono in crisi negli anni ottanta.
Un tempo, solo Braccio di Ferro vendeva più di 100 mila copie. Quando iniziò la caduta, i grandi uffici della Bianconi vennero venduti a Rete Quattro, che vi portò la propria sede.
La casa editrice aveva cambiato nome in Editoriale Metro e Renato Bianconi, ormai ammalato, lasciava fare tutto alla moglie, Rosalia Guccione (lontana parente del Guccione di Penthouse). Per un anno ho scritto le avventure di Braccio di Ferro.

Dato che i vecchi personaggi non vendevano più, a metà anni novanta mi chiamò la Guccione (il marito ormai era morto e il figlio preferiva fare il dirigente dell’Ibm) per dirmi che stava puntando tutto sul progetto dell’edizione a fumetti del Gabibbo, il personaggio di “Striscia la Notizia”.
Ma l’inverno del fumetto milanese gelò anche lei: stampatore e distributore le impedirono di mandare in porto il progetto malgrado gli accordi presi con Publitalia, l’agenzia pubblicitaria che gestiva il personaggio.

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EDIFUMETTO

L’editore Renzo Barbieri pubblicava una ventina di tascabili erotici al mese, tra i quali Biancaneve di Rubino Ventura e Leone Frollo, Necron di Ilaria Volpe e Magnus, Zora la Vampira di Giuseppe Pederiali e Birago Balzano eccetera. Alla fine degli anni ottanta le videocassette porno li uccisero tutti.
Ci fu il grande successo dell’albo non erotico Paninaro, con vendite sopra le 100 mila copie, ma finì anche quello. All’inizio degli anni novanta Barbieri provò a proporre dei tascabili più soft nello stile di Diabolik, che non vendettero niente.

Lui mi diceva che, purtroppo, non aveva mai avuto un Decio Canzio a gestirgli la redazione (cioè un braccio destro come quello di Bonelli).

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EDIPERIODICI

L’altra grande casa editrice di tascabili erotici era l’Ediperiodici. Se Barbieri era un milanese estroverso, Giorgio Cavedon, proprietario della Ediperiodici, era un bergamasco introverso. I due avevano iniziato insieme con una casa editrice in comproprietà, la Erregi, presentando sexy eroine come Isabella e Jacula. Poi Cavedon, per una questione di soldi, decise di dividere le loro strade.
Se Barbieri con la Edifumetto puntava su bravi disegnatori e testi brillanti un po’ tirati via, Giorgio Cavedon esigeva testi curati (a volte fin troppo verbosi), mentre i suoi disegnatori a volte lasciavano a desiderare.
Grazie a lui, comunque, gli erotici ebbero un grande sceneggiatore: Carmelo Gozzo, l’ideatore del fanta-horror Storie Blu e del divertentissimo Pig, il porco mannaro. Gozzo è stato uno dei maggiori autori di fumetti italiani, ma pochi lo conoscono. Di sicuro è più noto in Francia che da noi.

Timoroso della sinistra italiana, una volta Cavedon mi disse che i comunisti stavano per salire al potere e che lui era pronto a espatriare…
Praticamente chiusa la Ediperiodici, il figlio Giacomo lanciò la casa editrice Jade puntando sui fumetti di Hong Kong, che pubblicò abbastanza a lungo pur senza molto successo. Io curai un poco i rari fumetti giapponesi che presentava, come X delle Clamp.
Nei primi anni duemila lasciò perdere.

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Adieu…

Morivano così, dopo essersi trascinati in maniera stentata a partire dall’apocalisse dei primi anni ottanta, gli editori milanesi di fumetti. Sopravvissero solo i due più grandi: Bonelli e Disney.
Mentre la Universo dell’Intrepido e Il Monello, un tempo la casa più importante in assoluto, era perita (come editrice di fumetti) insieme ai medi.
Oggi a Milano rimane solo la Bonelli, mentre i fumetti Disney vengono pubblicati dalla modenese Panini.

 

 

Di Sauro Pennacchioli

Contatto E-mail: info@giornale.pop

7 pensiero su “L’INVERNO DEI FUMETTI MILANESI”
  1. Vogliamo dire come stavano realmente le cose all’epoca? Eravamo molto meno scafati di oggi e abboccavamo ad ogni amo….Di professionalità manageriale ce n’era pochissima e per gli editori era solo un buon viatico per la grana…..Con tutti i limiti, preferisco la situazione attuale

  2. Un piacevole ripasso sulle testate di quegli anni, quando non ero più uno studente e mi affacciavo alla professione.Grazie.

  3. Un altro editore milanese che c’era già negli anni ’80 e che esiste ancora oggi è Astorina, ma è un editore piccolo, in pratica pubblica solo Diabolik. Per quanto riguarda gli editori non milanesi di fumetti italiani inediti, quelli esistenti negli anni ’80 e che esistono ancora oggi sono Star Comics (nata nel 1987) e le Edizioni San Paolo con il Giornalino. Non ne ricordo altri, al massimo ci sono stati casi di testate ancora esistenti pubblicate all’inizio da certi editori e poi da altri (ad esempio Lanciostory e Skorpio, pubblicate prima da Eura e poi dal 2010 da Aurea…

    Ciao.

  4. Erano tempi felici e spenzierati e i fumetti meravigliosi,
    noi ragazzi di allora avevamo un futuro, mentre i giovani di oggi non hanno neppure il presente 😥😥💔

  5. A proposito della divisione Jade della Ediperiodici… Mi sono recentemente capitati per le mani alcuni albi di X/1999 e ho notato che in terza di copertina sono riportati i nomi delle autrici del gruppo Clamp, con accanto anche le relative date di nascita. In alcuni albi, però, queste ultime erano state coperte da “pecette” stampate in inchiostro dorato. Qual è la storia dietro a questo strano dettaglio?

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