Oggi un tizio che conosco mi ha segnalato un articolo sul Corriere della Sera, una intervista a Fabio Franceschi, fondatore e proprietario di Grafica Veneta, la più grande tipografia europea con clienti e sedi in tutto il mondo. 45.000 titoli e centinaia di milioni di copie all’anno.

È una bella intervista, soprattutto perché rivela una volta di più come le migliori attività di natura culturale nascano in ambienti che con la melassa mentale degli intellettualini di sinistra e destra non ha proprio niente a che fare. Cosa che con la storia di Mondadori nel dopoguerra con le sue collane economiche e la sua gigantesca tipografia dovrebbe essere ormai acquisita, ma non lo è.

Grafica Veneta è stata anche la mia tipografia.

Quando diciassette anni fa fui incaricato di mettere in piedi dal nulla una casa editrice, una delle centinaia di piccole case editrici che ancora nascevano e perlopiù morivano in quel periodo, vidi che per farcela con i pochi soldi avrei dovuto fare tutto io, come ho già raccontato in un mio vecchio articolo per Giornale POP, nessun collaboratore. Però non avrei certo potuto mettermi anche a stamparli, i libri.

Contattai le tipografie lombarde che conoscevo indirettamente perché stampavano i libri degli editori fighetta per cui avevo lavorato. Non mi trattarono bene. Alcune non mi mandarono neanche i preventivi che avevo chiesto, una mise subito in chiaro che non aveva tempo per me, altre dietro una gentilezza di facciata ostentarono il fatto che non importava loro niente di avermi come cliente. Un paio spararono preventivi assurdi pensando di fregare il gonzo di turno.

Mi fu suggerito allora un piccolo e bravo stampatore di Crema, un vecchio professionista che arrancava stancamente senza neppure più lavoranti. Fu contento di avere un nuovo cliente. Ci incontrammo due o tre volte, mi invitò a cena. Mi fece dei preventivi accettabili, l’unico problema era che voleva usare carta che costava uno sproposito mentre il mio modello erano i tascabili americani stampati su carta igienica. Alla fine sulla carta trovammo un compromesso, che però andò a farsi benedire quando un giorno mi chiamò per dirmi che no, i miei libri non li avrebbe stampati, o che li avrebbe stampati ma avrei dovuto trovare una tipografia prestanome perché nel primo volume della serie aveva notato una parolaccia e lui con quelle parole lì non voleva metterci il nome.

Lavorava anche per un qualche arcivescovado e si era forse spaventato che il cardinale si sarebbe scandalizzato e gli avrebbe tolto gli incarichi, sta di fatto che mi sentii improvvisamente oppresso da quel mondo nel complesso così provinciale e bigotto, non mi misi neanche a discutere e pensai che era tempo di cambiare impostazione, basta con i piccoli artigiani.

Avevo in quel periodo letto Falce e carrello, il bel libro di Caprotti, il padrone di Esselunga, pubblicato da Marsilio. Mi era piaciuto anche il modo palesemente economico eppure molto dignitoso e preciso con cui era stato stampato: da Grafica Veneta. Sapevo che quella tipografia era già importante, stampavano i best seller di Faletti, botte da 300.000 copie a tiratura, i libri di Harry Potter, cose così. Io ero un microbo a confronto, ma provai lo stesso a interpellarla.

Ed ebbi ragione di farlo. il giorno dopo ero a Trebaseleghe a visitare la tipografia, invitato e accompagnato dal direttore commerciale. Mi sentivo un po’ in imbarazzo, io avrei fatto mille, millecinquecento copie a titolo, glielo dissi e lui rispose sorridendo: “Molto bene, le servono mille copie?, le faremo mille copie”.

Aprirono un account a mio nome per la gestione remota dei file di stampa, correzioni dell’ultimo minuto comprese, e affidai a loro tutti i volumi.

La stampa costava meno della metà di quanto chiedevano le stamperie storiche del lombardo-veneto, per la carta decisi di usare la loro standard che corrispondeva esattamente al mio ideale di libro popolare. La lavorazione fu impeccabile, i costi di spedizione dei bancali irrisori. Nel parcheggio aziendale una sola automobile, la Ferrari del padrone.

Non ricordo di aver mai lavorato con nessuna azienda così rispettosa e disponibile per principio. Sono sempre stato trattato con lo stesso riguardo destinato a un gigante dell’editoria. Mi accorsi un giorno che il colore del titolo di una copertina non era quello che avevo stabilito, non capivo dove avessi sbagliato ma ormai il libro doveva andare in stampa e non avevo più tempo di indagare, e telefonai in tardo pomeriggio alla tipografia chiedendo se con un sovrapprezzo qualcuno avrebbe potuto fare le correzioni sulle mie specifiche. Che furono fatte dopo mezz’ora, gratuitamente, e il libro uscì con i colori giusti. È così che si costruisce una azienda di successo, non con la puzza sotto il naso.

Il rosso del titolo doveva essere uguale al rosso dell’opera di Ugo Locatelli, ma nella conversione da XPress a pdf di stampa il rosso cambiava. Grafica Veneta sistemò la faccenda in pochi minuti


Quando incontro qualcuno che vuole, ma soprattutto voleva aprire una casa editrice, le frasi sono (erano) sempre le stesse: voglio fare libri di qualità… desidero fare libri particolarmente curati... libri di nicchia… cura tipografica… eccellenza… titoli scelti accuratamente… Tutta una serie di affermazioni legate a una idea straprovinciale dell’editoria e tutto sommato anche a una supponenza ignorante, come se nei secoli passati gli editori avessero sfornato solo porcherie malfatte e prive di interesse. Sono affermazioni che danno a intendere che esistano libri di serie A e di serie B, dove la classifica è decisa dagli editori stessi. No: esistono opere meravigliose che non vendono una copia e porcherie che diventano best seller, ma dal punto di vista editoriale, il libro è un prodotto e se un libro non vende è un prodotto sbagliato o male promosso, un fallimento. Si possono pubblicare lo stesso libri invendibili o in perdita a priori, come sfizio, per dignità, per quello che si vuole, ma dal punto di vista editoriale restano un fallimento.

L’editoria, come la produzione musicale o il fumetto o qualsiasi altra produzione culturale intellettuale non sono – se mai lo sono state – cucce calde nelle quali rifugiarsi dai mali dell’esistenza. Piccoli mondi compiaciuti della loro piccolezza. Al contrario, per vivere e espandersi devono avere una impostazione economica fortemente agganciata alla struttura capitalista della società, devono appoggiarsi con quasi assoluta fiducia a chi sa maneggiare e soprattutto fare soldi, meglio se non sa niente di libri o di musica o di fumetti. Il denaro che gira, che girava in una casa editrice di medie o grandi dimensioni arriva da quelle pubblicazioni che l’intellettuale disprezza, ma che serve, serviva a pubblicare i libri e le riviste che l’intellettuale apprezza.

Se la casa editrice funziona, i libri che nessuno vuole si possono e forse devono pubblicare lo stesso: da Garzanti, le Garzantine hanno finanziato la narrativa minore e la traduzione delle opere di George Steiner. Da Mondadori la bella saggistica storica non sarebbe esistita senza i periodici femminili e i gialli da treno. Vedo ancora gente che vuole stampare su carta pregiata e magari in Linotype a piombo: ma quei libri non li comprerà mai nessuno perché troppo cari ed esteticamente inadatti al mondo attuale. I libri non sono una affermazione di principio.

Grazie ai volumi di fatturato derivanti dallo stampare gli elenchi telefonici della Nigeria, Grafica Veneta permette all’editore specializzato in rane saltanti di stampare a buon prezzo il numero monografico sui rospi da compagnia. I libri sono merce come qualsiasi altra, non c’è differenza ontologica tra un paio di jeans e un libro: se OVS facesse produrre i jeans da eserciti di sartine costerebbero quaranta volte tanto e sarebbero fatti peggio.

Non poche di quelle tipografie della nobiltà che si consideravano troppo nobili per l’Antonini sono meritatamente fallite.

 

(Copyright © 2024 Andrea Antonini Berlino).

 

3 pensiero su “I LIBRI SONO UNA MERCE QUALSIASI”
  1. Eccellente articolo scritto in modo anche divertente. Per la mia personalissima e microscopica esperienza (La Tribuna editrice) le cose sono ESATTAMENTE come le ha scritte il sig. Antonini. Aggiungerei una piccola chiosa: ci sono libri (che dovrebbero essere) destinati a “durare” quindi ben impaginati, stampati su carta “resistente”, ecc. e libri “usa e getta”. Ovviamente la maggior parte dei piccoli editori è convinta di proporre SOLO libri del primo tipo, inevitabilmente quasi sempre vendono pochissime copie e praticamente spariscono dopo un tempo generalmente breve…

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