Questa volta compio un’operazione di archeologia su Emilio Salgari: eseguo il recupero di un articolo scritto nel 1967 da Elisa Muller, pubblicato sul numero 6 della leggendaria rivista Sgt. Kirk dell’editore Ivaldi. Il contenuto di questa trattazione sulle donne nei romanzi di Emilio Salgari non è invecchiato di un giorno, e viene degnamente corredato dalle illustrazioni di copertina che il grande fumettaro Rino Albertarelli fece tra il 1947 e il 1948 sulle opere salgariane. Le fanciulle senza paura Non si è mai parlato a fondo della funzione che Emilio Salgari ha attribuito ai suoi personaggi femminili. È un discorso che non si poteva affrontare quando Salgari era l’autore dei ragazzi borghesi di buona famiglia. Oggi (nel 1967 – NdR) sì, forse si può. Chi sono dunque queste eroine? Sono ragazze belle, naturalmente, di una bellezza delicata, un po’ innocente; giovanissime, spesso non hanno ancora vent’anni. Il loro fascino è nella grazia pudica nel gesto, nel sorriso. Portano nomi suggestivi di fiori, di perle. Amano le arti belle, la musica, il ricamo; non disdegnano però gli esercizi violenti, le armi, i cavalli. Poiché Emilio Salgari sente fortemente il fascino dell’oriente, dell’esotico, le sue più belle creature sono indiane, arabe, cinesi. Rarissime le europee. Queste fanciulle non compaiono quasi mai all’inizio del romanzo. Solitamente vivono tranquille nella loro casa borghese (o nel loro palazzo fiabesco), intente ai lavori femminili o alla musica. Solo un avvenimento eccezionale le spinge all’avventura: il pericolo corso dalla persona amata, una eredità da raccogliere in un paese lontano, un debito di riconoscenza. A questo punto abbandonano senza rimpianti le loro vesti di seta e i gioielli, per idossare abiti dal severo taglio maschile o armature: raccolgono sotto un cappello o un turbante le loro lunghe chiome. Eccole pronte per l’avventura.L’autore segue con simpatia i personaggi femminili introdotti nello svolgimento delle trame avventurose. Non esita a farne risaltare il coraggio, la abnegazione, la presenza di spirito, la femminilità. Spesso vivono una loro avventura autonoma, ma il più delle volte servono per mettere a fuoco i personaggi maschili, per proiettarli nella leggenda. Così accade alla luminosa e bionda Honorata Van Gould, contrapposta al tetro Corsaro Nero, sul ponte di una nave squassata dall’uragano. “Che cosa siete venuta a fare qui, signora ?”. “Ad ammirare il Corsaro Nero”. Gli uomini del mare tremano, lei sorride. La lotta dell’uomo contro la natura scatenata l’affascina. Vuole restare al fianco del Corsaro per tutta la notte. La bianca dolcissima figura di Marianna, la “Perla di Labuan”, si proietta accanto al pirata che porta il nome sanguinario di “Tigre della Malesia”. E come si trasforma Sandokan accanto a lei! Al punto di voler abbandonare per amor suo vendette e pirateria. Dopo aver tentato, invano, di farne la regina dei pirati. All’apparizione del personaggio femminile, l’eroe incontra l’amore. L’amore è sempre casto nei romanzi di Salgari. Non va quasi mai al di là del bacio, dell’abbraccio (1). Anche se le passioni travolgono i protagonisti (specie quelli dei romanzi giovanili) tanto da far loro versare lacrime ardenti e digrignare i denti come tigri, c’è in loro un pudore, una delicatezza di sentimenti. Succede persino nell’unico romanzo la cui protagonista è una adultera. Tay-See la “Rosa del Dong-Giang” è la prima eroina creata dalla fantasia di Emilio Salgari. Merita un cenno a parte. Piccola, snella, delicatissima, i capelli neri come l’ala del corvo, il volto alabastrino, grandi occhi neri sempre tristi. Una creatura fragile e giovanissima, circondata da poetiche leggende del suo paese, che le attribuiscono poteri soprannaturali. Sposata a soli 15 anni a un anziano generale cocincinese che l’adora, Tay-See si spegne a poco a poco. Ama lo spagnolo José, a cui ha donato il suo cuore. Dopo ansie e incertezze, trova l’energia necessaria per abbandonare la casa del marito in cui è venerata come una regina. Fugge con lo spagnolo per cercare la felicità in un mondo lontano tanto diverso dal suo. La trama, nella prima stesura, ha una conclusione tragica. Per rispetto alla morale borghese e “famigliare” della fine dell’Ottocento, l’adultera deve morire. Infatti Tay-See, riacciuffata dal marito tradito, dopo il rifiuto di tornare a vivere con lui, è mandata a morte assieme all’amante. Poi Salgari riscrive la novella, traendone un romanzo, e modificandone alcuni particolari. Tay-See, così bella e delicata, gli è diventata cara. Non ha più il coraggio di farla morire. E per questa sua prima eroina trova il coraggio di infrangere la morale del suo tempo: salva l’adultera, unendola all’uomo che ama. Ma deve anche sottostare al compromesso per salvare l’onore: infatti farà morire il marito tradito. L’amore nei romanzi di Salgari non è mai sereno. Conflitti tra sentimento e dovere impongono drammatiche scelte. Innamorarsi di una nemica, di una fanciulla figlia di una razza o di una famiglia che si dovrebbe odiare: ecco un tema che ricorre spesso. L’eroe è costretto a lottare fra la fedeltà ad una parola data, a un giuramento e l’amore per la sua donna. Ecco il Corsaro Nero, impegnato nel drammatico conflitto fra l’amore per Honorata Van Gould, figlia del suo mortale nemico, e il giuramento di vendetta che gli impone di ucciderla; e Romero Ruiz, innamorato di una spagnola, nemica, figlia degli oppressori della sua terra, e sir Moreland, invaghito di Darma che, legata alla sorte delle Tigri di Mompracem, combatte dall’altra parte della barricata. L’eroe tende sempre a cedere, dando la colpa al destino. Sacrifica l’amore per il dovere. “Addio, non posso diventare un vile. Il mio cuore appartiene a te e il mio corpo all’insurrezione”. Così Romero Ruiz crede di risolvere il suo conflitto fra amore e dovere. “Il destino ha scavato fra noi senza nostra colpa un abisso che nessuno potrà mai colmare”. Queste sono parole di sir Moreland. Dal “Re del Mare”. “Un sogno che non potrà mai diventare realtà”. Sono d’altronde parole che i personaggi salgariani hanno spesso sulle labbra, assieme ad altre di tetro fatalismo. “Sono fatale a tutti”. Chi parla è il Corsaro Nero. La donna invece non si arrrende mai. Lotta per realizzare il suo sogno per salvare il suo amore. Odi e giuramenti non l’interessano. Passa sopra alle differenze di razza e religione. Non vuole sentire parlare di amore di patria, di doveri, di vendette. L’amore conta per lei più di ogni altro sentimento. Ecco un esempio tratto da “Le stragi delle Filippine”. “Io ti salverò amico mio!”. Parla Teresita d’Alcazar, la giovane spagnola innamorata del meticcio Romero Ruiz, il ribelle nemico della Spagna. “I miei compatrioti non ti strapperanno dal mio fianco”. “Tradisci la patria”. “La patria ?… Sei tu la mia patria, in questo istante. Sei tu che corri il pericolo di venire ucciso, non la vecchia Spagna! Guerra infausta che spinge anche gli uomini che hanno nelle vene lo stesso sangue a distruggersi l’un l’altro!”. È la donna che nei frangenti drammatici riesce a sbloccare la situazione, trovando la parola adatta. “Vuoi la vita o la morte?”, chiede il Corsaro Nero a Honorata. “L’amor tuo”, risponde lei semplicemente. Così Darma a sir Moreland. “Sì anch’io ti amo”. Parole che fanno cessare un odio durato due generazioni. È la donna che trova parole di perdono, di pietà che interviene a far cessare un massacro, che impedisce il compiersi di inutili crudeltà. “Voi non lo farete, mio generoso protettore”, si rivolge Darma a Sandokan che, per vendetta, sta per affondare due navi inglesi cariche di soldati che tornano in patria. Così riesce a lusingare allo stesso tempo la generosità e anche la vanità di Sandokan, per strappargli la promessa di salvare centinaia di innocenti. La donna porta nello svolgimento dell’avventura una nota di gentilezza, di femminilità. È una compagna deliziosa, instancabile. Riesce a farsi trovare sempre in ordine, profumata di lillà, anche fra gli orrori di un campo di battaglia. Non fa sentire il peso della sua presenza, non si lamenta quando è stanca, se ha caldo o freddo, se ha paura. Malgrado il fisico delicato ha una resistenza da fare invidia ad un uomo. Non va a cacciarsi deliberatamente nei pericoli ma, se vi si trova impegnata, li affronta con serenità e presenza di spirito. Capitan Tempesta duchessa d’Eboli, combatte vestita da uomo fra assedi e abbordaggi. Jolanda la figlia del Corsaro Nero, usando la sua scherma imparata in sala d’armi, affronta due indiani antropofaghi. E durante una lotta che sta per volgere al peggio per i filibustieri della Tortue, sale sul ponte di comando della nave per lanciare un grido che risveglia antichi entusiasmi: “All’abbordaggio, uomini del mare!”. Non sempre, per le eroine dei romanzi d’avventura c’è il lieto fine con i fiori d’arancio. Anzi, è caro all’autore il tema dell’amore infelice, non corrisposto, spesso tragico. È colpa del destino se una fanciulla si innamora, troppo tardi, dell’eroe che ha già legato il suo cuore ad un’altra donna che intende fare sua sposa. L’altra potrà essere l’amica, la confidente, l’angelo buono che cura le ferite e distrae nelle sofferenze, ma nulla più. Sanno che non potranno mai essere felici accanto all’uomo che amano, ma continuano a sperare, a vivere nella sua ombra, liete di un sorriso, di una parola d’affetto anche fraterno. Confessano il loro amore: “… anch’io ti amavo, ancora prima di conoscerti…”. Al rifiuto da parte dell’eroe di corrispondere a questo sentimento, ecco la diversa reazione psicologica, a seconda del carattere e della razza della fanciulla. C’è quella che si adagia stancamente, rassegnata; quella che usa tutti i sotilegi dell’arte femminile per affascinare, per lottare ancora; c’è infine quella che per orgoglio ferito medita terribili vendette: “Voi non conoscete ancora le pantere di Algeri: Qui le rivali… si uccidono!”. Dopo la lotta, la stanca rassegnazione. E la ricerca del perdono. “È stata una pazzia, perdonatemi”. “Sono felice di vedervi accanto alla fanciulla che amate”. Cessata ogni speranza di conquistare l’uomo amato, quando lo vedono allontanarsi per sempre, si spegne nel cuore di queste fanciulle tutta la loro energia, la volontà stessa di vivere. Alcune cercano la morte. Muore Yara la principessa india fra le braccia del Corsaro Nero. “T’amo” è il suo ultimo sospiro. Cercano una morte violenta Nefer e Fulvia antiche eroine; la prima soccombe nell’immane incendio distruttore di Cartagine, l’altra si trafigge con un pugnale. E cerca la morte Than-Kiù, “La vita del Fiore delle Perle è spezzata per sempre”. È breve ma intensa la vita dell’eroina salgariana. Entra nell’esistenza dell’eroe come un simbolo di femminilità, di giovinezza, di amore. Ne trasforma la vita, facendogli incontrare con l’amore la speranza di una felicità tranquilla e serena, lontana da odi e lotte. Poi rientra nell’ombra mentre è ancora giovanissima e bella. Se riesce a unirsi all’uomo che ama, la sua felicità è di breve durata: dopo aver affrontato coraggiosamente privazioni e pericoli, dopo aver combattuto al fianco del suo uomo, l’energia vitale dell’eroina pare esaurita: muore Marianna sposa di Sandokan, consumata dalle febbri a Sumatra; muoiono Ada Corishant, Surama, Honorata, dando alla luce il primo figlio. Come immaginare del resto, una interprete salgariana sfiorita dagli anni e carica di figli? Emilio Salgari si rende conto della necessità di inserire l’amore travolgente nelle sue trame. Tuttavia i limiti della sua educazione e l’ossequio alle regole dell’epoca, lo inducono a fantasticare personaggi femminili che, se proprio non convolano a giuste e sacramentate nozze, debbono sparire. I suoi amori travolgenti sono tutti di parole, mai di fatti. Elisa Muller Elisa Muller (Vienna 1938) esperta salgariana, conoscente del figlio di Emilio Salgari, Omar, traduttrice in tedesco e curatrice delle edizioni di Salgari nei paesi germanici, vive a Bolzano. (1) N.d.R. – L’altro letterato di fine Ottocento che evoca i mari e gli avventurieri della Malesia è Joseph Conrad. Al contrario di Emilio Salgari che lavora con la sua fantasia, da giovane l’autore polacco ha navigato negli oceani asiatici, solo dal 1895 prende in mano la penna. Il suo esordio come autore è un romanzo breve intitolato La follia di Almayer, stampato da Unwin di Londra. Qualche elemento farebbe intuire un’influenza di Conrad su Salgari, per esempio la nave del capitano Lingard, suocero di Almayer, si chiama Re del Mare. Il protagonista, affarista fallito, ricerca il tesoro che il capitano ha nascosto. Il Re del Mare diventerà il titolo di un romanzo con Sandokan, edito nel 1906. Nina, la figlia di Almayer, corrisponde l’innamoramento del principe malese Dain, e alla fine del racconto fugge con lui. I due attendono di notte sulla riva del mare l’arrivo del praho, la nave personale di Dain, che li porterà via. Malgrado la passione di entrambi, Conrad non descrive più di un distendersi del principe con la sua testa sulle ginocchia della ragazza. Scena assai improbabile per la cultura erotica orientale, ma obbligatoria per uno scrittore europeo ottocentesco, che non poteva violare la morale borghese, pena venire censurato o non stampato. Navigazione articoli LILO ANNUSA LA TRISTEZZA TERESA GRIGOLINI, UNA VERA EROINA RICORDATA DA SALGARI