“Le falangi dell’Ordine Nero” (Les Phalanges de l’Ordre Noir) è un fumetto sceneggiato da Pierre Christin e disegnato da Enki Bilal, pubblicato per la prima volta in Francia nel 1979 sulla rivista Pilote. È considerato uno dei capolavori del fumetto politico europeo. Il fumetto parte da una suggestione inquietante: ex membri di una milizia fascista spagnola (le “falangi”) tornano in azione nell’Europa degli anni ’70, quando molte nazioni sono straziate dal terrorismo e la guerra fredda non dà segni di cedimento. “Le falangi dell’Ordine Nero” è una riflessione cupa sul lascito della Guerra civile spagnola, sull’impunità dei crimini politici e sulla persistenza del fascismo sotto nuove forme nella società europea. I protagonisti, un gruppo di vecchi combattenti di sinistra che si riuniscono per dare la caccia ai miliziani franchisti, sono personaggi moderni, non eroi senza macchia. Sono disillusi, stanchi, a volte moralmente compromessi. Il fumetto si apre con una sequenza magistrale: due autovetture e un autocarro attraversano la Sierra San Just in pieno inverno. La Sierra è ricoperta di neve, Il paesaggio appare scarno e senza vita, il freddo sembra penetrarti nelle ossa. A un certo punto il convoglio giunge in un piccolo villaggio, il nome del quale è stato dimenticato da tutti; “da quasi tutti”, puntualizza Christin. I nuovi arrivati scendono per strada imbracciando le pistole, si muovono con geometrica sapienza, sparano uccidendo tutti gli abitanti per poi dare fuoco al villaggio. L’anziano giornalista Jeff viene raggiunto dalla notizia alla redazione del giornale dove lavora a Fleet Street a Londra. D’improvviso è come se la guerra di Spagna, alla quale sono legati i suoi ricordi più belli di quando era giovane e combatteva per un ideale, non fosse mai finita. La lettura dei nomi degli appartenenti a quel battaglione della morte fa sì che davanti a lui prenda forma l’antico nemico: il fascismo. Nelle “Falangi” Bilal utilizza colori cupi e polverosi, dominati da grigi e dai marroni che trasmettono un senso di decadenza e di disfacimento. Una coltre di ruggine sembra essersi posata sulle cose rendendole sorpassate e inutili. Qua e là irrompono dei rossi sfavillanti simbolo della violenza e della sopraffazione, del sangue versato e di un destino ineluttabile. Gli ambienti sono incolori, decadenti e senza personalità a rimarcare un presente che si trascina senza entusiasmi, prigioniero della memoria e della disillusione. Le radici non possono crescere su rovine di pietra e gli alberi morti non danno riparo. Bilal, ancora nel suo periodo “Moebius”, costruisce le figure per mezzo di una ragnatela di linee, verticali e orizzontali. Si tratta di uno stile “ottocentesco” adattissimo a rendere questa storia d’altri tempi. I volti dei personaggi, tracciati con decisi tratti di pennino, sono pesanti, rugosi e marcati ed evocano il peso del tempo e del passato irrisolto. “Le falangi dell’Ordine Nero” mostra come il passato, se non viene affrontato, torna a infestare il presente. Il lascito della Guerra civile spagnola, secondo Enki Bilal e Pierre Christin, è un’eredità irrisolta che continua a corrompere il presente. Nella loro visione, il conflitto spagnolo del 1936-1939 non è mai davvero finito: è stato solo sepolto sotto una coltre di oblio e compromessi, durante e dopo la dittatura franchista. Il fascismo non è mai morto, ha semplicemente smesso di marciare in divisa e ha iniziato a camminare in abiti borghesi, dentro le istituzioni, le imprese, i media e la memoria distorta. Il fumetto suggerisce che il fascismo, pur sconfitto militarmente e politicamente, non è stato mai completamente estirpato e soprattutto non è mai stato davvero processato dalla società. Molti ex membri della Falange e collaboratori del regime franchista che si erano macchiati di crimini durante la guerra civile in Spagna non sono mai stati puniti. Nel fumetto, i criminali di guerra fascisti vivono indisturbati in vari paesi europei, essendosi riciclati come rispettabili cittadini, protetti dall’indifferenza o dalla complicità del sistema. Bilal e Christin suggeriscono che la Spagna, e l’Europa, hanno scelto l’amnesia collettiva per evitare di fare i conti con la propria storia. La “transizione democratica” successiva alla morte del generele Franco ha privilegiato la pacificazione a tutti i costi, sacrificando la giustizia e la verità. Il fascismo in realtà è stato rimosso dalle coscienze, ma abita ancora in mezzo a noi. I protagonisti delle “Falangi”, ex brigatisti internazionali, comunisti e anarchici, hanno dedicato la loro gioventù alla lotta per un ideale. Ora che sono vecchi, cinici e stanchi vivono in un mondo che non ha mantenuto le promesse. Sono sostanzialmente dei reduci che non hanno mai saputo reinserirsi nella società ancora legati ai loro ideali giovanili ormai clamorosamente fuori dal tempo. Sono l’americano Donahue della brigata Lincoln, il francese Barsac, il danese Avidsen, l’italiano Di Manno, l’ebreo Katz, il cecoslovacco Stransky, la polacca Maria Witzniewska, il tedesco Kessler e il prete basco Castejon, riflettono la variegata composizione delle Brigate Internazionali. Tra il 1936 e il 1939, circa 35mila uomini e donne da più di 50 paesi si arruolarono nelle Brigate Internazionali. Erano giovani operai, studenti, poeti, intellettuali, disoccupati, spesso senza addestramento militare, ma pieni di convinzione, un’intera generazione che si mise in marcia verso un sogno. Gli antagonisti, i fascisti superstiti, membri della vecchia Falange spagnola, sono raffigurati in modo complesso, inquietante e sottilmente realistico. Sono figure umanamente degradate, moralmente fredde, socialmente integrate e tuttavia profondamente irredimibili. Nel fumetto non sono isterici, non gridano slogan. Sono ex militanti oggi rispettabili, che non esprimono rimorso. Sono lucidi, perfettamente coscienti del loro passato, ma anche completamente impermeabili al pentimento. Il loro fascismo è un’identità profonda, non un errore giovanile. I membri delle Falangi credono ancora nella loro causa. Vedono sé stessi come portatori d’ordine e difensori dell’Occidente. Sono anche un riflesso deformato degli antifranchisti che li inseguono: stessi anni, stesso fanatismo giovanile, stesso attaccamento alla memoria. Sono due facce della stessa medaglia. La persistenza del fascismo sotto nuove forme è uno dei messaggi più inquietanti dell’opera di Bilal e Christin. Il fascismo non necessita più della forma esplicita della dittatura ma sopravvive in abiti democratici, legalitari o addirittura caritatevoli. La storia mostra che le strutture di pensiero autoritarie sono sopravvissute al regime franchista e si sono radicate nei tessuti della società europea. Bilal e Christin suggeriscono che l’ideologia fascista può sopravvivere anche in una democrazia, se quest’ultima non coltiva la memoria e la vigilanza. Infine Bilal e Christin affrontano in Le Falangi dell’Ordine Nero un ultimo tema profondamente tragico e attuale: il rischio di diventare simili a ciò che si combatte, quando non si riesce a dimenticare. Questa riflessione percorre sotterraneamente tutta la narrazione e riguarda i protagonisti stessi, ex combattenti antifascisti che decidono di vendicarsi contro i vecchi falangisti nascosti in nuove identità. I personaggi principali partono mossi da un senso di giustizia storica. Ma con il procedere della storia, i loro metodi diventano violenti, spietati, cinici. Inseguendo il passato, finiscono per riprodurne i meccanismi di odio, esclusione e violenza. Non combattono più per un ideale positivo, ma per un regolamento di conti personale. Bilal e Christin non giustificano i carnefici, ma nemmeno glorificano i vendicatori. Mostrano che quando la memoria diventa ossessione, può distruggere anche chi l’ha conservata. Può diventare una gabbia che imprigiona e rende ciechi. Navigazione articoli POESIA E RIBELLIONE A FIUME, POCO IL FASCISMO GUIDA ALLA LETTURA DI “NO PASARAN”