Luigi Luccheni ha la corporatura massiccia e l’abbigliamento logoro tipico dell’operaio italiano immigrato in Svizzera. Rappresenta una figura fuori posto, in quel 10 settembre 1898, davanti agli eleganti alberghi di Ginevra. Facendo domande a portieri e stallieri, l’italiano viene a sapere dei prossimi spostamenti di Elisabetta detta Sissi. L’imperatrice d’Austria sta per prendere un battello sul lago per andare a trovare un’amica contessa. Luigi si nasconde dietro un ippocastano vicino al pontile e rimane in attesa. Dentro di sé rimugina un vecchio motto: “Chi non lavora non mangia”. Ecco che finalmente appare l’imperatrice, senza scorta perché l’ha rifiutata. Non teme di essere uccisa. Anzi, da alcuni mesi non desidera altro che morire, purché sia una fine rapida e indolore, come ha scritto nel suo diario. Appena Elisabetta d’Austria passa, Luccheni le dà una stilettata veloce al petto. Viene bloccato da quattro passanti, mentre cerca di scappare. Elisabetta cade e, subito dopo, senza accorgersi di essere stata trafitta, si rialza per raggiungere il battello. Sviene e morirà un’ora dopo per emorragia. Il commissario di polizia chiede a Luccheni il motivo del gesto e lui risponde, guardandolo dritto negli occhi: «L’ho fatto perché sono povero, perché amo gli operai e voglio la morte dei ricchi». I tre film di Sissi interpretati negli anni cinquanta dall’attrice Romy Schneider continuano a fare ascolti ogni volta che vengono trasmessi in tv. Anche se la vera storia di Elisabetta di Baviera detta Sissi, diventata imperatrice d’Austria nel 1854 sposando l’imperatore Francesco Giuseppe, passa in secondo piano e sono ben pochi gli spettatori che la ricordano. Ma quella che Sissi visse nella realtà fu un’esistenza drammatica che si concluse in modo tragico a Ginevra, il 10 settembre 1898, per mano di un operaio italiano. Torniamo indietro di una sessantina d’anni rispetto all’omicidio e andiamo in Baviera, un piccolo regno che non fa ancora parte della Germania. Il 24 dicembre 1837 c’è molta confusione in un palazzo di Monaco: la duchessa Ludovica sta affrontando il suo quarto parto. Suo marito, il duca Massimiliano Giuseppe di Wittelsbach, è agitato come tutti i padri in attesa. Si tratta di una femminuccia alla quale viene dato il nome di Elisabetta, anche se in famiglia verrà sempre chiamata Sissi. Massimiliano trascura la moglie per le sue amanti, ma come padre è molto attento e cura da vicino l’educazione dei figli. L’infanzia della duchessina trascorre serenamente nel palazzo cittadino e, nei mesi estivi, nel non lontano castello di Possenhofen, che sorge tra un bosco e un lago. Sin da piccola, i genitori insegnano a Sissi a non sentirsi un’aristocratica e a preoccuparsi per i poveri e gli infermi. Dato il suo lignaggio, però, non può scegliere l’uomo che vuole. A 14 anni si innamora di Richard, un semplice scudiero alle dipendenze del palazzo, che la famiglia fa subito trasferire. Poco dopo, Richard si ammala e muore lasciando sconvolta la sensibile Sissi, che combatte il dolore componendo poesie sul suo amore tragico. Nel 1853, il giovane imperatore Francesco Giuseppe d’Asburgo, di soli 23 anni, riceve la bellissima Sissi (che di anni ne ha 16) nella sua residenza estiva di Ischl, insieme ad altri giovani della nobiltà. L’imperatore non riesce a togliere gli occhi da quella timida e malinconica ragazzina: balla solo con lei, tra l’invidia delle altre invitate. Alla fine di quella vacanza memorabile, i due annunciano ufficialmente il loro fidanzamento. L’unico problema è che sono cugini di primo grado, ma in casi come questo la Santa Sede ha sempre concesso una dispensa speciale. In pochi mesi si pretende di insegnare a Sissi la storia dell’Austria, il francese (la lingua diplomatica del tempo) e l’italiano, che è parlato in due regioni dell’impero: la Lombardia e il Veneto. Altre lingue dell’impero, come l’ungherese, il ceco, il serbo-croato e il polacco, non sono ritenute importanti. Quanto alla lingua nazionale dell’Austria, il tedesco, è la stessa della Baviera. Le nozze vengono celebrate il 20 aprile 1854, fra il tripudio degli abitanti di Vienna che si riversano nelle strade. A letto le nozze si consumano solo la terza notte, per la stanchezza dovuta ai tanti festeggiamenti. La vita di corte non è felice per Sissi, abituata com’era a muoversi nelle strade come una normale cittadina. Trova le regole di corte rigide e stressanti. Si sente sola, lontana dalle persone con le quali è cresciuta, tanto da ammalarsi continuamente di tosse e avere attacchi d’ansia. Come se non bastasse, la suocera, l’arciduchessa Sofia, la tratta come una piccola selvaggia per la sua scarsa educazione. Nonostante ciò, Sissi chiama la prima figlia Sofia, proprio in onore della suocera. Nel 1856 viene alla luce Gisella: anche lei, come la primogenita, sarà educata dalia nonna materna. La giovane imperatrice cerca di stare sempre accanto al marito, per evitare che l’influenza dell’invadente suocera la schiacci. Così lo accompagna in un viaggio ufficiale nel Lombardo-Veneto, dove l’imperatrice si accorge che le regioni dell’impero non amano affatto la dinastia degli Asburgo. A Venezia, dove Sissi spera di fare una gita romantica, la applaudono solo i soldati austriaci, mentre gli italiani la fissano cupamente. La stessa freddezza Sissi la ritrova poco dopo in Ungheria, anche se lei aveva fatto sapere di aver iniziato a studiare l’ungherese come segno di interesse per questo Paese al centro dell’impero. Proprio qui la piccola Sofia si ammala gravemente e muore. Ritenendosi colpevole per averla portata con sé in quel viaggio lungo e faticoso, Sissi viene presa da un profondo senso di colpa. Nel 1858 dà alla luce un maschio, il principe Rodolfo, l’erede al trono. Le condizioni fisiche dell’imperatrice si aggravano ulteriormente. Gli anni successivi sono terribili per gli austriaci, cacciati per sempre dalla penisola italiana in seguito all’unificazione. Una situazione politica che, se possibile, logora ulteriormente i nervi dell’imperatrice. Sissi comincia a sottoporsi a drastiche cure dimagranti e a estenuanti esercizi di ginnastica. In questo modo cerca anche di conservare la sua bellezza, a cui tiene molto. Secondo alcuni, Sissi soffre di anoressia nervosa, che comporta irrequietezza e rifiuto del cibo. Nel 1868 torna in Ungheria per dare alla luce l’ultima figlia, Maria Valeria. Ma lasciamo per un momento l’imperatrice d’Austria per raccontare una storia completamente diversa, che inizia in Italia. Luigia Lacchini è una bracciante di Albareto, in provincia di Parma. Come molte ragazze povere del tempo, deve subire i capricci dei padroni, il figlio di uno dei quali la mette incinta. Se il bambino nascesse lì non troverebbe più marito, per questo va a Parigi. Qui, nel 1873, dà alla luce Luigi che porta subito in un orfanotrofio, dove gli storpiano il cognome in Luccheni. Poi la donna emigra a San Francisco, in America, e non rivedrà mai più il figlio. In Francia arriva la richiesta di trasferire il piccolo in un orfanotrofio vicino ad Albareto, con tanto di biglietto per il viaggio. Forse è stato il padre, che comunque non si farà mai vivo. Appena il bambino diventa grandicello, l’orfanotrofio lo manda presso alcune famiglie contadine, che lo fanno lavorare sodo in cambio di poco cibo e tante botte. È solo un ragazzino quando viene assunto come operaio per la costruzione della ferrovia Parma-La Spezia. A 14 anni, non potendone più di quella vita di stenti, Luigi lascia Albareto. Avendo la mente pronta, nel frattempo è riuscito comunque a farsi una certa cultura. Quando va a Napoli per il servizio militare, grazie alla sua intelligenza viene reclutato come attendente (una sorta di segretario) da un facoltoso capitano, il principe Raniero de Vera da Aragona. Frequentando i circoli esclusivi degli alti ufficiali, Luigi vede da vicino come le persone nobili e ricche conducano una vita enormemente più piacevole di quella dei poveri. Come militare, Luccheni partecipa alla sfortunata prima spedizione coloniale in Etiopia e in guerra si guadagna una medaglia. Grazie alla decorazione, spera che il suo capitano gli faccia ottenere il posto di direttore del carcere di Napoli. Non sarà così, e Luigi lascia l’esercito irritato. Voci malevole, invece, sostengono che a mandarlo via sia stato il principe, perché lo aveva scoperto insieme alla moglie. Luigi emigra nella Svizzera francese, dove lavora saltuariamente come manovale. Qui frequenta i circoli anarchici, nei quali si parla spesso di attentati politici. Luigi si esalta ascoltando questi discorsi e comincia a pensare che se ucciderà un re potrà fare un po’ di giustizia e, allo stesso tempo, entrare nella storia. Nel 1898 la strada dell’imperatrice Elisabetta, ormai 62enne, e quella del 25enne Luigi Luccheni si incrociano proprio in Svizzera. Il 30 gennaio di quell’anno Rodolfo, il figlio di Sissi, principe ereditario, si era suicidato insieme alla sua amante, la baronessa Marie Vetsera. Il principe soffriva di depressione, che cercava di allontanare con alcolici e morfina, in più era tormentato da una malattia venerea all’epoca incurabile. Questa tragedia aveva portato Sissi e il marito Francesco Giuseppe alla separazione, anche se questa non fu mai ufficializzata. L’imperatrice inizia così a girare per l’Europa, mentre gli esaurimenti nervosi si susseguono portandola alla soglia della morte. Ciononostante, Sissi continua a curare fino all’inverosimile il proprio aspetto. Ogni giorno trascorre ore per indossare i vestiti, pretendendo che le vengano cuciti addosso al momento. A settembre del 1898 la principessa si trova a Ginevra senza un motivo preciso. Sa bene cosa fare, invece, Luigi Luccheni: deve uccidere una testa coronata per vendicare gli oppressi. La decisione definitiva Luigi l’ha presa a maggio, dopo che, a Milano, il generale Bava Beccaris aveva ucciso 80 operai che dimostravano in piazza, ricevendo le congratulazioni di re Umberto I di Savoia. “I re sono ricchi e amici degli altri ricchi”, pensa Luigi, quindi sono nemici degli operai. Vorrebbe colpire Umberto, ma si trova troppo lontano (lo ucciderà l’anarchico Gaetano Bresci due anni dopo). Siccome non ha abbastanza soldi per comprare una pistola e non possiede neanche un coltello, deve accontentarsi di una lima, che fa affilare bene da un arrotino. A Ginevra va alla ricerca del Principe d’Orleans, il pretendente al trono di Francia che si è fermato lì per qualche giorno, ma non lo trova perché è già partito. Per caso incontra un vecchio compagno d’armi, dal quale apprende che l’imperatrice d’Austria si trova proprio in un albergo di Ginevra. Un regnante vale l’altro, pensa Luigi. Durante il processo per l’omicidio dell’imperatrice, il giudice spiega a Luccheni che ha ucciso una donna sola e disperata. Lui risponde, sorpreso, che la credeva realizzata e felice. Condannato all’ergastolo perché il cantone di Ginevra ha abolito la pena capitale, Luccheni si impiccherà con la propria cintura anni dopo, nel 1910, mentre in cella stava scrivendo un libro di memorie. Aveva scritto di odiare la società perché non aveva rispettato i suoi diritti di bambino. Solo nel 1998 è stato pubblicato il diario di Sissi. In quelle pagine si legge che l’imperatrice odiava il clero e l’aristocrazia, e provava pena per le condizioni del popolo. Non condivideva la politica imperiale austriaca e il suo unico desiderio era convincere il marito ad abdicare per vivere con lei in Svizzera, come una coppia comune. (Per leggere gli altri articoli sui delitti famosi pubblicati da Giornale POP clicca QUI). Navigazione articoli LA BANDA BONNOT INVENTA LA RAPINA IN AUTO DRACULA DAL CINEMA ALLA RISTAMPA DEL ROMANZO