Chris Marker1 (Neuilly-sur-Seine, 29 luglio 1921 — Parigi, 29 luglio 2012), autore francese visionario e sperimentatore del linguaggio cinematografico, ha realizzato con La jetée (1962) un’opera che sfida le convenzioni del cinema narrativo. Il film è un racconto di fantascienza che tratta il tempo, la memoria e l’identità quasi esclusivamente attraverso una serie di immagini fisse in bianco e nero, accompagnate da una narrazione fuori campo e una colonna sonora essenziale. Questo stile, che richiama il formato del photo-roman (fotoromanzo), trasforma il film in un’esperienza profondamente meditativa e immersiva, portando lo spettatore a riflettere sulla natura stessa del tempo e della percezione. Nonostante la sua durata di soli 28 minuti, La jetée ha avuto un impatto duraturo sulla cinematografia e sulla cultura popolare, ispirando numerosi artisti e registi. La storia Il film si apre sulla terrazza panoramica dell’aeroporto di Orly (in francese, jetée è anche il gate aeroportuale), dove un bambino osserva una donna e un uomo, assistendo a un evento drammatico che segnerà la sua memoria. Anni dopo, il protagonista vive in un mondo devastato dalla Terza guerra mondiale, vinta dalla Germania, dove i sopravvissuti si rifugiano nel sottosuolo di Parigi. Un gruppo di scienziati conduce esperimenti di viaggio nel tempo per cercare una soluzione alla crisi, scegliendo il protagonista per via del suo vivido ricordo del passato. Durante i suoi viaggi, il protagonista ritorna più volte alla scena della sua infanzia e incontra la donna dell’aeroporto. Tra i due nasce un profondo sentimento e vivono momenti felici insieme, ma il richiamo del presente post-apocalittico lo costringe a continui ritorni. Quando gli esperimenti raggiungono un apparente successo, gli viene offerta una possibilità di rifugio nel futuro, ma lui sceglie di tornare nel passato per rivedere la donna sulla terrazza dell’aeroporto, chiudendo il cerchio della sua esistenza. L’inesorabile struttura ciclica del tempo Il film esplora il tempo, non come una linea retta ma come un ciclo eterno in cui passato, presente e futuro sono interconnessi e si intrecciano, intrappolando il protagonista in un loop temporale, rendendo impossibile un distacco dagli eventi già accaduti o futuri, incapace di sfuggire agli eventi. Il protagonista è intrappolato in un loop temporale che segna il suo destino, dimostrando come memoria e percezione influenzino l’esperienza del tempo. Una visione ciclica presente sia nella filosofia che nella fisica teorica, dove il tempo è visto come una dimensione fluida, in grado di sovrapporsi e ripetersi. Nietzsche, con la sua teoria dell’eterno ritorno dell’uguale2, suggerisce che ogni azione si ripete all’infinito, negando il libero arbitrio. Nella fisica, la relatività di Einstein e le teorie sui loop temporali propongono un tempo non lineare, influenzato dalla gravità e dalla velocità. Nel film, il passato è parte attiva della vita del protagonista e il futuro una tappa inevitabile che insieme creano un destino ineluttabile. Il montaggio fotografico e la narrazione frammentata rafforzano questa percezione, ponendo un interrogativo profondo: siamo liberi o prigionieri del tempo? La jetée non offre risposte, immergendoci nel mistero della memoria e del destino. Cuore narrativo del film, la memoria è il motore che spinge il protagonista, il mezzo attraverso cui il viaggio nel tempo diventa possibile. Piuttosto che un evento fisico concreto, il film suggerisce che il viaggio nel tempo non sia altro che un viaggio nella reminiscenza, una ricostruzione soggettiva della realtà. Il protagonista non si muove realmente attraverso le epoche, ma si immerge nei ricordi, rivivendo momenti passati con un’intensità tale da renderli presenti. La scelta di raccontare la storia attraverso immagini fisse rafforza questa concezione: ogni fotografia è un’istantanea della memoria, un momento fissato che ricrea l’evento vissuto, non in flusso continuo, ma come una serie di istanti isolati. Enfatizzando la natura soggettiva e frammentaria della memoria umana, ogni immagine funziona come una finestra su un dato ricordo. Quando la donna apre gli occhi — l’unico attimo in cui il film si “anima” — è uno dei momenti più intensi del film. Questo breve istante rompe la staticità della narrazione e assume un enorme peso emotivo ampliando la differenza tra il ricordo statico e la vita vissuta. È la materializzazione del ricordo che si distingue dagli altri e si avvicina maggiormente alla realtà vissuta. Ma è anche un’illusione fuggevole, che sottolinea come la memoria possa restituire la sensazione della vita pur rimanendo, in fondo, un’ombra del passato. Lo spettatore, proprio come il protagonista, è intrappolato in una sequenza di immagini che evocano un passato inafferrabile, rendendo il film un’esperienza immersiva e profondamente riflessiva sul legame tra ricordo, identità e percezione del tempo. Si può dire, quindi, che La jetée esplora la memoria non solo come tema narrativo, ma come esperienza visiva ed emozionale. Uno degli elementi più profondi del film è il suo approccio al destino come qualcosa di inevitabile e immutabile. Il protagonista, nonostante la sua volontà di sfuggire a un futuro già scritto, si ritrova intrappolato in un ciclo temporale che lo porta esattamente al punto di partenza. È un’idea di fatalismo assoluto, dove non importa quanto l’individuo lotti per cambiare il proprio futuro visto che il tempo segue un percorso chiuso e ogni tentativo di alterarlo si rivela vano. Questa concezione del destino è un tema ricorrente nella fantascienza, ma La jetée lo affronta con una sensibilità più filosofica ed esistenzialista. Mentre molte narrazioni di genere esplorano la possibilità di modificare il corso degli eventi attraverso il viaggio nel tempo, qui l’idea stessa di cambiamento è un’illusione e il protagonista, che crede di avere il controllo del proprio cammino, in realtà è solo un ingranaggio di un meccanismo già stabilito, obbligato a ripercorrere sempre gli stessi eventi. Ed ecco ancora il concetto dell’eterno ritorno di Nietzsche, secondo cui ogni evento è destinato a ripetersi all’infinito, privando l’individuo di un reale libero arbitrio, così come anche nella tragedia greca, dove il destino è spesso un’entità inesorabile contro cui l’eroe non può nulla, se non accettare il proprio destino. La jetée riprende questa visione tragica inserendola in un contesto post-apocalittico e fantascientifico, dove è il tempo stesso che diventa il vero antagonista. Marker ci porta a una riflessione più ampia sulla natura dell’esistenza: siamo realmente liberi di determinare il nostro futuro o siamo prigionieri di un percorso già scritto? E il protagonista incarna questa angoscia esistenziale, cercando disperatamente di cambiare il proprio destino, solo per scoprire di non poter fare altro che compiere lo stesso ciclo, forse per sempre. Questo aspetto conferisce a La jetée una profondità che va oltre la fantascienza tradizionale, trasformandolo in un’opera che interroga il senso stesso della nostra percezione del tempo e della nostra capacità di operare all’interno di esso. Il cinema e la sua natura illusoria Con la sua narrazione fatta di immagini statiche, Marker mette in discussione il concetto stesso di cinema. Se quello tradizionale ha una narrazione costruita su una successione di immagini in movimento, il suo film (o meglio, il suo cortometraggio) dimostra che essa può esistere anche senza il movimento, sfruttando il solo potere evocativo delle immagini e della voce narrante. Questo approccio minimalista rafforza ulteriormente l’idea che sia il cinema stesso a essere una forma di memoria registrata. Ma l’elemento più distintivo di La jetée è il suo formato photo-roman. L’utilizzo di fotografie con dissolvenze incrociate utilizzate per creare un senso di continuità narrativa e l’uso del bianco e nero che accentua il contrasto tra il passato e il presente, conferiscono un aspetto atemporale al film. Altrettanto essenziale è l’utilizzo del suono. La narrazione fuori campo è il principale veicolo espressivo, mentre la colonna sonora e gli effetti sonori, anch’essi estremamente minimali, servono a rafforzare l’atmosfera onirica e fortemente malinconica. La jetée e il suo impatto culturale Nonostante la sua brevità e la sua natura sperimentale, La jetée ha indubbiamente avuto un impatto enorme sulla cultura cinematografica. Il suo stile e la sua narrazione hanno influenzato numerosi registi e film moderni. L’esercito delle 12 scimmie (12 Monkeys, 1995), di Terry Gillian, è un’espansione del concetto di La jetée, qui trasformato in un lungometraggio e con una narrazione più “convenzionale”. Il protagonista, interpretato da Bruce Willis, rivive un ciclo temporale assai simile a quello del film di Marker. Le tematiche di memoria, sogno e destino utilizzate da David Lynch in particolar modo in Mulholland Drive (id., 2001) e nella serie televisiva I segreti di Twin Peaks (Twin Peak, 1990-1991) riecheggiano molte delle idee che Marker utilizza nel suo film. Film come Inception (id., 2010) di Christopher Nolan e il mai abbastanza lodato Arrival (id., 2016) di Denis Villeneuve (a sua volta tratto dallo splendido racconto Storia della tua vita di Ted Chiang — edito in Italia nell’omonima raccolta da Sperling & Kupfer / Pickwick) esplorano il tempo e la memoria in modi che devono molto a Marker. Conclusione Ancora oggi, La jetée è considerato uno degli esperimenti cinematografici più riusciti e influenti della storia del cinema. Studiato nelle scuole di cinema e spesso citato come esempio di narrazione innovativa, il film di Chris Marker ha ridefinito il linguaggio cinematografico attraverso il suo stile minimalista e la sua potente riflessione sulla memoria, il tempo e il destino. La sua struttura visiva, composta quasi interamente da immagini fisse, non è solo una scelta stilistica, ma un elemento essenziale che rafforza il senso di immobilità e fatalismo che permea la storia. Questo approccio non convenzionale lo distingue da qualsiasi altro film di fantascienza, trasformandolo in un’opera che gioca con la percezione dello spettatore e lo invita a riflettere sul modo in cui il tempo viene vissuto e ricordato. A più di sessant’anni dalla sua uscita, La jetée continua a essere un punto di riferimento per il cinema sperimentale e di fantascienza, ispirando registi, artisti e studiosi. La sua capacità di emozionare e sorprendere, nonostante la sua apparente semplicità, lo rende un capolavoro senza tempo, capace di lasciare un’impronta profonda nella mente di chi lo guarda. MERAVIGLIOSO… 1. Qui per approfondire (in francese)↩ 2. Qui per approfondire↩ La jetée regia: Chris Marker soggetto: Chris Marker sceneggiatura: Chris Marker fotografia: Chris Marker e Jean-CésarChiabaut suono: Antoine Bonfanti musica: Trevor Duncan con Jean Négroni: la voce narrante Hélène Chatelain: la donna Davos Hanich: l’uomo Jacques Ledoux: scienziato capo Ligia Branice: una donna del futuro Janine Klein: una donna del futuro William Klein: uomo del futuro e André Heinrich fantascienza distopia Argos Film durata: 28 min 1962 Navigazione articoli DANIEL MAINWARING, SCENEGGIATORE DEGLI ULTRACORPI IL PRIGIONIERO: LIBERTÀ O CONTROLLO?