Il 20 giugno 2017 è tornato in edicola Kinowa dopo un’assenza di 25 anni. Il personaggio fu creato nel 1950 dallo sceneggiatore Andrea Lavezzolo che, come molti suoi colleghi dell’epoca, si nascondeva dietro uno pseudonimo americanizzante, nel suo caso A. Lawson. Ancora più sibillina era la sigla, esseGesse, che celava i nomi degli autori dei disegni: il trio torinese Pietro Sartoris, Dario Guzzon e Giovanni Sinchetto, qui al loro debutto come “studio”. Lo pubblicavano le Edizioni Mediolanum di Gino Casarotti, che avrebbe ben presto mutato la ragione sociale in Editoriale Dardo. Il personaggio si discosta decisamente dalla produzione media dei western dell’epoca, i cui protagonisti erano giovani difensori della legge come il Piccolo Sceriffo (1948), tosti ranger dalla pistola facile come Tex (1948), romantici cowboy ultraterreni che rifiutano l’uso delle armi da fuoco come Pecos Bill (1949) o, al massimo, stalloniani picchiatori come Big Bill (1949). Kinowa si caratterizza fin dalle prime vignette per una violenza inabituale: la carovana con la quale il pioniere Sam Boyle viaggiava insieme alla moglie e al figlioletto viene attaccata dagli indiani e tutti i componenti trucidati. La dolce Mary soccombe con una freccia nella schiena. A Boyle, come a tutti gli altri, viene strappato lo scalpo. Nonostante questo sopravvive e, curato da due “scorridori della prateria”, si rimette in forze e giura a se stesso di vendicare la moglie e il figlio. Passano alcuni anni e una figura terrificante dal volto demoniaco si aggira per la prateria uccidendo e scotennando qualsiasi indiano incontri e marchiandolo con una S sulla fronte, che gli indiani interpretano come “il segno del serpente”. Lo spaventoso individuo diventa ben presto il terrore dei pellirosse che lo credono uno spirito. Ancora più inquietante delle sue fattezze è il risolino che lo sceneggiatore parigino (ma di padre italiano) gli mette in bocca: “Hi! Hi! Hi!”. Maglia nera come la notte e fazzoletto rosso al collo, Kinowa semina morte tra i nativi usando indifferentemente le pistole, il fucile, il coltello e il tomahawk. Per accrescere la propria fama di creatura demoniaca non si nega apparizioni spettrali tra il fumo dopo aver causato un’opportuna esplosione. Un’altra persona si aggira contemporaneamente per le praterie per compiere la sua vendetta: Sam Boyle “lo Scotennato”, che cela la sua forzata calvizie sotto una parrucca attaccata al cappello stetson. Naturalmente è lui a nascondersi sotto la maschera di Kinowa, ma Lavezzolo gioca a lungo con il lettore seminando continui indizi per rimandare a un momento topico il disvelamento del segreto. Nato come romanziere, lo scrittore italo-francese si muove perfettamente a suo agio tra le regole del feuilleton che prevedono tragiche storie di figli, padri e madri separati dalle avversità e solo alla fine ritrovati, amori contrastati che solo il fato consente alla fine di realizzare, e continui ribaltamenti di situazione con personaggi che si alternano sulla scena, ora sparendo, ora ritornando per poi sparire di nuovo. Da maestro del genere, Lavezzolo ha fatto sì che il figlioletto dei Boyle fosse sottratto alla carneficina dal capo dei Pawnee Bisonte Nero, che lo ha poi allevato come un figlio. Il giovane cresce nell’odio del demoniaco uccisore di indiani e lui e Kinowa si incontreranno e scontreranno più volte risparmiandosi reciprocamente, fino alla drammatica rivelazione che li vede scoprirsi (in anticipo di trent’anni su Luke Skywalker e Darth Vader) padre e figlio. Come ho detto, Lavezzolo non si fa mancare i colpi di scena, compreso quello della morte del protagonista. In tempi in cui le testate a fumetti andavano avanti per “serie” (un po’ le attuali “stagioni” dei telefilm), autore ed editore avevano accompagnato l’escamotage narrativo cambiando tout court la testata da “Kinowa” in “Silver Gek il figlio di Kinowa”. Immaginiamo che effetto farebbe oggi la morte, vera o presunta, di Tex e il cambio di testata in “Kit Willer figlio di Tex”! Lo sceneggiatore riesce comunque a condurre il racconto in modo plausibile fino al ritorno di Kinowa e alla razionale spiegazione della sua apparente morte. La serie andrà avanti per ben otto “stagioni” dal 1950 al 1953 in albi settimanali. Alle prime sette serie dal formato quadrato se ne aggiungerà nel 1960 un’ottava in formato striscia. Finché il disegno è nelle capaci mani del trio piemontese, l’opera è di notevole qualità sia narrativa che grafica. Lo stile della esseGesse è di matrice raymondiana, ma con un innesto di ampie campiture nere che ne accrescono l’efficacia e le componenti espressionistiche. Con il decimo numero della terza serie i tre torinesi interrompono la collaborazione per occuparsi, testo e disegni, della propria creatura Capitan Miki, dove inseriranno rapidamente le componenti umoristiche e caricaturali che rappresenteranno la loro cifra stilistica fino al termine della carriera sulle pagine del Comandante Mark. A loro si sostituisce il ben più modesto Pietro Gamba, aiutato negli ultimi numeri da Franco Oneta, e l’intera operazione si ammoscia notevolmente, anche se la qualità dei testi consentirà al personaggio di raggiungere il 172esimo numero. Se il disegno della esseGesse era debitore ad Alex Raymond, le fattezze del demoniaco personaggio sono invece importate da Prince Valiant. Proprio il personaggio di Harold Foster, in un episodio del 1937, costruisce con la pelle di un’oca una maschera sostanzialmente identica a quella di Kinowa (lo stesso vale per The Demon di Jack Kirby, come viene mostrato qui – NdR) al fine di terrorizzare gli occupanti di un castello. L’inserimento di questa componente “paurosa” fa dell’originale creazione di Lavezzolo il primo “western-horror” del fumetto italiano. Anche se altri personaggi nati prima, come Tex, non faranno mancare al proprio arco la freccia della componente magico-orrifica: Mefisto fa, infatti, la sua apparizione nelle strisce del ranger nel 1949 in veste di illusionista agghindato da diavolo, per mettere in campo le sue arti diaboliche solo nel 1958. Altri percorreranno negli anni successivi, in modo diverso, il cammino del western horror. A cominciare da Tiziano Sclavi, che crea nel 1983 per i racconti d’appendice della Collana Araldo il personaggio di Kerry il Trapper, quasi un modo per congedarsi dal fantasioso “far west” di Zagor (che aveva scritto per qualche tempo dopo l’addio di Bonelli/Nolitta alla propria creatura) e prefigurare il Dylan Dog a venire. Sullo stesso binario si muove Magico Vento, creato nel 1997 da Gianfranco Manfredi. Kinowa ha goduto di una certa notorietà anche in altri Paesi. A cominciare dalla Francia, dove appariva sulle pagine della collana Yuma. Pubblicato in Grecia, Svezia e Turchia, ha avuto in quest’ultimo paese sia una continuazione a opera di autori locali (che verrà riproposta nella nuova serie di ristampe) sia una versione cinematografica nel film “Kinova – Demir Yumruk” (Pugno di ferro) del 1971. Il film, pur prendendosi molte libertà rispetto all’opera originale, è comunque di ambientazione western, mentre due successive pellicole, “Kara Seitan – Kinova” e “Kamçili Kadin – Kinova” sono inspiegabilmente ambientate ai giorni nostri e richiamano piuttosto i fumetti neri. In quegli anni diversi personaggi del fumetto italiano come Zagor, il Comandante Mark e addirittura Alan Mistero hanno avuto riduzioni cinematografiche “pirata” in Turchia. L’esempio più clamoroso è “Il cavaliere mascherato contro Tom Miks” che vede fronteggiarsi nientemeno che il personaggio americano Lone Ranger e Capitan Miki! La ripubblicazione della versione originale si rivolge per sua natura a un ristretto pubblico di nostalgici collezionisti. Peccato, perché l’idea e il personaggio conservano una freschezza e una capacità di coinvolgere potenziali lettori di oggi. In un contesto editoriale come quello francofono, probabilmente, una rilettura in salsa Bouncer o tarantiniana potrebbe ancora riscuotere un buon successo di vendite. Navigazione articoli IL FUMETTO: L’ALTRA VITA DI WOODY ALLEN IL SEGNO DURO DI ERNIE CHAN SU BUSCEMA
Ci hanno provato qualche anno fa con un volume, ma temo che le vendite siano state basse. Chissà se una riproposta in edicola… Rispondi
[…] Giovanni Stinchetto, dall’editore Torelli. La prima collaborazione del trio porta alla nascita di Kinowa, personaggio dei cui testi si occupava Andrea Lavezzolo, pubblicato da Gino Casarotti […] Rispondi
[…] spinto in questo dal direttore editoriale Andrea Lavezzolo (di lui ho parlato in un articolo su Kinowa), perderà di vista il suolo patrio per parodiare i generi narrativi di maggior successo, il […] Rispondi
[…] facendo incontrare al ribattezzato Marshal Mickey nel secondo episodio una mia versione di Kinowa, lo scotennatore di indiani ideato da Andrea Lavezzolo, e nel terzo… non lo ricordo […] Rispondi
Bravo Toninelli, mi genufletto e ti bacio i piedi!! Il debito di Salgari nei confronti del passato per quanto riguarda “Avventure fra le pellirosse” era ufficialmente noto dal 2010 perché divulgato dalla scrittrice/saggista inglese- ma che ha ricisciacqauto i panni in Arno e pure nel milanese Naviglio, Anne Lawson Lukas !!! Per quanto invece riguarda Lavezzolo autore dei Testi di “Kinowa”, si, certo!! fra i ragazzini e ragazzi che nel 1950 o giù di li, leggevano le avventure di Kinowa e nello stesso tempo erano degli accaniti salgaromani, c’era questo sospetto. Io purtroppo allora avevo già 13 anni ed ero un seguace di Lavezzolo scrittore di fumetti dal tempo di Gim Toro, quindi ero depositario di questo segreto ! riguardante il legame Lavezzolo/ Salgari per quanto riguarda il mondo dello “scotennato”, che spesso alzava le spalle dicendo “uff, uff”, esclamazione che ancora ricordo!! Ti saluto Toninelli, sei anche un bravissimo e “originale” disegnatore, cosa quest’ultima rarissima nel mondo dei fumetti!!! Rispondi
E’ stato ripubblicato recentemente da IF Edizioni. Sicuramente è ancora disponibile sul loro sito. Rispondi