Jabberwocky è il primo film di Terry Gilliam. Conoscete i Monty Pyton e il loro umorismo surreale? Avete sgranato gli occhi di fronte all’eclettismo figurativo pop delle favole cinematografiche del regista e cartoonist Terry Gilliam? Nato negli Usa, ma per scelta britannico, autore di Brazil, Le avventure del Barone di Münchausen, La leggenda del re pescatore, Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo, Gilliam è l’uomo che abbiamo visto scontrarsi in nome del cinema contro gli elementi della natura in Lost in La Mancha. Be’, allora non avreste dovuto perdervi Jabberwocky, il primo film girato da Gilliam nel 1976, con Michael Palin, Max Wall, Deborah Fallender e John Le Mesurier. Tanto più che è stato trasmesso in tv di recente, su una piattaforma a pagamento del digitale terrestre. Jabberwocky, come opera prima, è il film più prodromico e propedeutico che un regista possa mai realizzare. In esso, inconsciamente o meno, Gilliam prefigura, illustrandone sontuosamente i caratteri, tutte le tematiche e le ossessioni del suo cinema a venire, ed è anche un film divertente, ben scritto e ben interpretato, che riesce a utilizzare e sintetizzare anche l’esperienza passata con i Monty Python. Futuro e passato di un geniale artista racchiuso in una tragicommedia malinconica ed esilarante al tempo stesso. Terry nel paese di Alice Una volta Terry Gilliam dichiarò che il suo primo fallimento, artisticamente parlando, fu “Alice nel paese delle meraviglie”. Nel 1961, Gilliam aveva ventun’anni e lavorava in un summer camp per bambini ricchi (una colonia estiva, diremmo in Italia), dove trascorrevano le vacanze anche i rampolli delle star hollywoodiane di allora, figli di attori del calibro di Danny Kaye, Hedy Lamarr e William Wyler. La colonia durava solitamente otto settimane. La sesta settimana era dedicata alla visita dei genitori. Gillam era l’insegnante di teatro e aveva pensato di mettere in scena una rappresentazione psichedelica del romanzo di Lewis Carroll, in stile Cecil B. De Mille. Qualche giorno prima dello spettacolo, fu travolto dal panico. Misurarsi con quella gente dello spettacolo così famosa era troppo e così diede forfait. “So bene quanto Alice sia stata importante in tutto il mio lavoro. Il titolo e il mostro in Jabberwocky… la ragazzina del Barone di Munchausen (Sally Salt, interpretata da Sarah Polley) è Alice! Alice è un’adulta. Senza dubbio la più adulta di tutti noi”. Il fatto che egli si sia ispirato a un autore considerato da molti l’indiscusso padre del concetto di nonsense fin dall’inizio della sua carriera di regista cinematografico non dovrebbe sorprenderci, soprattutto se consideriamo che i Monty Python, Harvey Kurtzman e il mensile parodistico Mad che ha creato, discendono tutti da Charles Lutwige Dogson, aka Lewis Carroll. Dal punto di vista linguistico, la definizione di nonsense è l’unione di parole sintatticamente ordinate per dare l’impressione di fare riferimento a qualcosa, a un concetto preciso, quando in realtà non fanno riferimento ad alcunchè. Dunque una rappresentazione senza senso non rappresenta nulla? Non saprei. È la stessa Alice/Carroll a svelarci, con cristallina lucidità, che quel che interessa a Gilliam, in Jabberwocky, è il gioco di neologismi e geroglifici linguistici, situati da qualche parte tra un teorema matematico e un passatempo letterario. Accade quando Alice, nel romanzo Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò (sequel de “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”) chiede a Humty Dumpty: “Sembra che siate molto esperto, signore – Vorreste gentilmente spiegarmi il significato della poesia ‘Jabberwocky’?”. Era rombo ed i fangagili chiotti Girascavano e succhiellavano i pratiali: Tutti erano infoli i cenciopi, E lo spirdito primaticcio murpissi. Al termine della spiegazione di Humpty Dumty, Alice è certa di una sola cosa: “Che qualcuno ha ucciso qualcosa”. Basta questo a Gilliam, “Un giovane pastore ha ucciso un mostro”, per trasformare una semplice affermazione in un concetto, nel punto di partenza di un racconto medievale, un film in cui si libera dei facili anacronismi che in Monty Python e il Sacro Graal, qualche anno prima, avevano dato luogo alle gag più divertenti, per consacrarsi regista e autore. Non sorprende che alcuni fan dei Monty Python abbiano trovato Jabberwocky per nulla divertente, dato che è un film molto più malinconico di quello diretto da Gilliam e Jones. Jabberwocky, in effetti, è una reazione a “Monty Python e il Sacro Graal”, a quel tipo di comicità geniale ma limitante. Un ritorno al Medioevo, ma in territori inesplorati, scritto con un vecchio amico, Charles Alverson. Charles Alverson l’amico americano Lo scrittore, giornalista e attivista Charles Alverson incontra per la prima volta Terry Gilliam nella redazione di Help!, il mensile satirico inventato sempre da Kurtzman, quando il primo sta per lasciare la rivista ed è in cerca di lavoro, mentre il secondo dovrebbe sostituirlo. Gilliam dorme sul divano di Alverson, nel suo appartamento sulla Settantaseiesima strada, finché non trova un appartamento al Village. Dopo New York, si separano. Gilliam si trasferisce in Gran Bretagna nel 1967, e Alverson lo segue nel 1969. Gilliam lo ospita nella sua casa di Putney Bridge e lo presenta ai Monty Python. Alverson si trasferisce poi in Galles, ma i due rimangono in contatto. Nel frattempo Gilliam lavora come freelance con l’attore comico Marty Feldman (il mitico Igor di Frankenstein Jr) e come animatore di cartoon con Bob Godfrey. La loro collaborazione ha inizio durante una festa a casa di Terry Jones, nell’estate del 1975. È allora che Gilliam gli chiede di scrivere insieme la sceneggiatura di Jabberwocky. Alverson si trasferisce a Cambridge nel settembre dello stesso anno, e comincia a lavorare. Il loro obiettivo è produrre uno script il più presto possibile, entro il 1976. Il progetto nasce dopo che Gilliam ha respinto l‘offerta di collaborare alla realizzazione di una delle animazioni per il film “All this and World War II” (Tutto questo e la Seconda Guerra Mondiale), un documentario realizzato con immagini reali della guerra, animazione e musica dei Beatles. Alverson ricorda così i suoi incontri con Gilliam, durante la stesura dello script di Jabberwocky: “Terry veniva a Cambridge. Io lavoravo nel mio garage. Stavo alla macchina per scrivere e Terry sedeva di fronte a me leggendo una rivista, finché non mi stufavo e provavo a costringerlo a scrivere qualcosa. Terry non era mai stato uno scrittore. Aveva l’abitudine di scrivere testi per le sue animazioni, ma non aveva mai scritto nulla di più. Lavorammo per un po’, scambiandoci idee e opinioni. Poi Terry tornò a Londra, e io rimasi a Cambridge a lavorare ad altre tre o quattro scene. Avrebbe portato a Londra quello che avevo scritto, ne avrebbe discusso con la produzione e eventualmente avrebbe riscritto la sceneggiatura. Solo allora si mise alla macchina per scrivere e tirò fuori delle idee. Terry è più un ri-scrittore che uno scrittore”. Ed ecco il talento di Gilliam per il riciclaggio delle idee altrui e, soprattutto, ecco venir fuori l’ossessione per quel “nulla improvviso” che può plasmare una storia e che gli fa scegliere, come punto di partenza, qualcosa di assurdo come la poesia di Carroll su Jabberwocky. Jabberwocky il film Il modesto budget li costrinse a prendere in prestito scene e costumi da altri film. Gilliam ricorda come rubarono i set da Oliver (1968), musical di Carol Reed, e come comprarono altri set da una società tedesca, che aveva appena terminato Le nozze di Figaro, per cinquemila sterline. Ma, naturalmente, niente di tutto questo è paragonabile alla terribile esperienza di Munchausen. Fu invece molto piacevole girare, soprattutto perché, con Jabberwocky, Gilliam si rese conto di quanto gli piaceva lavorare con gli attori e come era diverso da ciò che aveva fatto con Monty Python: “In Jabberwocky gli attori hanno aggiunto un sacco di cose, a partire dai dialoghi, ma hanno sempre mantenuto lo spirito del film. Mi hanno aiutato a farlo, mentre con Monty Python tutte le nostre idee erano lì e, quando iniziavi a girare una scena, ognuno aveva un‘opinione diversa su come farla”, riferendosi probabilmente ai contrasti tra lui e Terry Jones, l’altro Monty regista. Jabberwocky è una rielaborazione esplosiva del romanzo cavalleresco. Contiene tutti i cliché della letteratura medievale, in particolare dell’amato Don Chisciotte e del romanzo picaresco. L’universo Monty Python è ben rappresentato da Michael Palin, la stella assoluta, e la sua interpretazione di Dennis è movimentata e divertente. Terry Jones (ucciso nella prima scena) e Gilliam stesso sono interpreti e autori di iperboli deliberate e scene da teatro dell’assurdo. Molte di esse profondamente pythonesque. Gilliam, che ha iniziato a provare un forte desiderio di indipendenza, vuole creare un’atmosfera medievale di sensualità e miseria umana e materiale: “Il film avrebbe dovuto puzzare”. Non ha voglia di praticare il dadaismo verbale di Cleese e Chapman, non vuole sfruttare il surrealismo visivo di Jones e Palin: vuole mescolare le due correnti e lavarle nel fango e la sporcizia del Medioevo, cancellando il glamour di Robert Taylor e Ava Gardner, che hanno interpretato Lancillotto e Ginevra ne I Cavalieri della Tavola Rotonda. Non è interessato ad anacronismi gratuiti: se Palin si toglie i pantaloni non deve indossare biancheria intima, non perché faccia ridere, ma perché nel Medioevo nessuno la usa. L’atmosfera del periodo deve avere l’odore (cattivo), l’intensità maleodorante dei film di Pasolini, dei Racconti di Canterbury (1972) o del primo Woody Allen – Bananas (1971) e Amore e guerra (1975). “Qualcosa di reale”, dice Gilliam, “è lì che la commedia nasce. Più reale si rende l’ambiente, più facile è raccontare una storia. Ma se tutto è lucente e pulito, ci si ferma a metà strada, si finisce con niente in mano”. La ri-creazione dell’atmosfera dovrebbe rendere le cose il più realistiche e pesanti possibile, come fa Bergman ne Il settimo sigillo. Sudata, grassa e marcia, la società medievale è l’unica in cui, se si dà a qualcuno una patata marcia come simbolo d’amore, può apparire normale, come un anello di fidanzamento al giorno d’oggi. L’abbondanza di sangue che schizza dalle membra della famiglia reale britannica, in un primo piano ravvicinato come in una foto di gruppo monarchica, potrebbe essere una sequenza di L’amore e il sangue (Flesh+Blood) di Paul Verhoeven (1985). Proprio l’uso di questi elementi, che sono essenzialmente elementi primari, riesce a trasmettere l’atmosfera brutale e oppressiva delle città medievali: “Ho lavorato sull’atmosfera, per quanto ho potuto, sempre cercando di farla sembrare peggiore di quello che realmente era”. Jabberwocky, affondando i suoi artigli nel cattivo gusto e nell’abbondanza di elementi scatologici, può aver trovato ispirazione nel fumetto underground che Gilliam ha frequentato in America (Robert Crumb si forma proprio su “Help!”, la rivista nella quale lavorava). Palin mette il piede su una merda di drago, un mendicante spiega volentieri come si sia tagliato il piede in modo che la gente gli faccia l’elemosina: momenti estremamente pythoneschi stanno insieme a intenti realistici, come la spazzatura che i paesani buttano fuori dalla finestra, ed entrambi gli elementi coesistono felicemente nel film di Gilliam, e sono rappresentati con uno stile pittorico molto accurato, grazie al quale si può quasi sentire l’odore. Avete presente un dipinto di Bosch o Brueghel, o le forme grottesche delle incisioni di Dorè, o i disegni di John Tenniel per l’edizione originale di Alice nel paese delle meraviglie? Ma il tono realista della prima parte di Jabberwocky diventa via via più astratto, mentre il film procede, fino ad arrivare alla sequenza finale, laddove in una zona desertica, disseminata di cadaveri sventrati, il mostro preferisce vivere. Dennis, l’incubo e la favola Dennis è il primo anello della catena di sognanti, ingenui personaggi che incontriamo nella pellicola di Terry Gilliam. Orfano di padre, come Sam Lowry in Brazil, si reca in città carico di illusioni, deciso a farsi un nome nel mondo degli affari. Dennis vive, così come Sam Lowry, in un costante auto-inganno. Egli pensa che la città e il progresso stiano per liberare i poveri dal giogo della miseria. Il padre, la cui voce ci ricorda Tuttle, il terrorista di Brazil, fa una dichiarazione di principi che potrebbe essere la sintesi del punto di vista di Gilliam sull’arte, e che continuerà a proporci in tutta la sua opera futura: “Non hai la minima idea su cosa sia l’arte”, dice a Dennis, “né sai apprezzare la bellezza del legno perché sei un idiota, un ambizioso! Si sta distruggendo il lavoro artigiano…”. Gilliam adora le cose fatte a mano e detesta la produzione industriale. Hollywood è Jabberwocky, la terra della burocrazia perfetta, della monarchia e della religione, dove tutti sono impegnati nel mantenimento delle paure e delle superstizioni su tutto ciò che non può essere spiegato. Jabberwocky è lo strumento per la conservazione di un potere infelice come il Ministero dell’Industria in Brazil, o la guerra contro i Turchi in Munchausen. Dennis è così innocente da credere che l’unica soluzione, se si vuole sopravvivere, sia quella di integrarsi nel sistema. Dennis è, in fondo, uguale a Jerry Lewis in Dove vai sono guai! (1963) o Jacques Tati in Playtime (1967): vuole appartenere a una comunità, ma ciò è in contraddizione con la sua naturale tendenza a distruggerla. Questo è quello che fa nel laboratorio di armi, quando trasforma involontariamente la bottega del fabbro nella scena di un disastro, in una gag che avrebbe reso orgoglioso di lui Frank Tashlin ed è certamente piaciuta a Jeunet e Caro di Delicatessen (1991). Se dopo aver ucciso il mostro diventa un eroe, è suo malgrado. Non riesce nemmeno a ottenere ciò che più desidera disperatamente: la mano della terribile Griselda. Il suo romanticismo è frustrato nel momento in cui sposa la principessa, quando è assorbito dal sistema. Il suo viale del tramonto è il primo dei falsi lieto fine nel cinema di Terry Gilliam. Il modo del tutto sconfortante con cui si conclude il film, con il povero Michael Palin in dissolvenza nella luce di un sole fittizio, è il risultato della collisione tra le due favole che vengono raccontate in Jabberwocky: “Una è la favola classica, con un lieto fine, in cui il bel giovane ottiene la mano della principessa con tutto il suo regno in dote”. Questo è quello che tutti vogliono, ma Dennis, il protagonista del film, vorrebbe sedurre Griselda, la grassa, brutta ragazza, e aprire un bottificio, ma la cosa divertente (per noi) è che sceglie la favola sbagliata, come un personaggio di Tex Avery (propendo per Duffy Duck) ed è costretto a sposare la bella Principessa. Il nostro lieto fine diventa per lui un vero e proprio incubo. Dennis, come nel sogno di Alice, ha attraversato il lato dello specchio e ora si trova completamente immerso in un incubo, e lo accetta. Quasi mai un’opera prima ha rivelato così tanto sul futuro di un regista, considerando che è un film in cui i personaggi muoiono e scoreggiano, e dove, se le campane del castello suonano a distesa, festose, significa che le persone sono state impiccate. Il ragazzo vestito da Drago Per il Drago, Terry Gilliam usa un vecchio trucco da B-movie che Inoshoro Honda, regista di Godzilla, aveva lanciato negli anni cinquanta: un tizio vestito da mostro. Il trucco consisteva nel far camminare l’uomo in questione con la schiena rivolta verso il pubblico, il che dava l’effetto del movimento delle gambe che la faceva sembrare una goffa camminata da pollo. “Le sue braccia divennero ali. La testa e il collo erano controllati da cavi come un burattino. Le sue mascelle erano mosse da cavi pneumatici. Quando hai un attore con un travestimento è tutto molto più facile, è molto più preparato di un qualsiasi pupazzo meccanico”, spiega Gilliam. “Nessuno ha mai capito che si trattasse solo di un ragazzo che cammina all’indietro. È così semplice che nessuno ci ha mai pensato. Molti buoni effetti speciali sono piuttosto semplici. Tutto si risolve poi con il montaggio. Odio sentirmi intrappolato tra gli esperti di effetti speciali che si mettono in mostra per cercare di concentrare tutto in un solo colpo, con il risultato di far aumentare i costi. Io preferisco risolvere queste cose con l’editing. Il pubblico non si rende conto e, in ultima analisi, non è questo il tema del film. Un film non è fatto solo di effetti speciali. Gli effetti sono solo una parte del processo”. Marketing Terry Gilliam era un artista incompreso ben prima dell’uscita di Brazil e di Munchausen. All’inizio della sua carriera, uno dei suoi timori più grandi era che il suo lavoro portasse per sempre il marchio dei Monty Python. Jabberwocky doveva essere l’atto di nascita di Terry Gilliam come regista, ma, per i produttori, il modo più sicuro per vendere il film era usare il nome dei Monty. Gilliam sapeva che sarebbe stato controproducente, e infatti il pubblico andava al cinema aspettandosi di vedere l’ultima creatura dei Monty Python e, ovviamente, ne usciva deluso. Dove sono le risate a crepapelle? Gli sketch, i giochi di parole? Jabberwocky era un film brutale e quasi sgradevole. I produttori finalmente si convinsero che occorreva cambiare, per fortuna Gilliam era stato previdente girando parecchi metri di pellicola in più per poter montare diverse versioni. Il film fu rimontato in una nuova versione. Iniziava come un classico film comico e, lentamente, assumeva un tono più serio. Ma il pubblico rideva il doppio di quanto avrebbe dovuto e anche di quello che non avrebbe dovuto essere divertente. Quindi, Gilliam aveva deciso di smorzare i toni comici della parte iniziale del film per informare pubblico, in modo subliminale, che non era in procinto di vedere un film Monty Python. Gilliam impazzì del tutto quando si rese conto di come il film era stato pubblicizzato in America: Jabberwocky dei Monty Python! Spedì lettere di protesta per fermare la terribile trovata pubblicitaria, ma senza alcun risultato. Iil risultato al botteghino fu un chiaro riflesso del modo in cui era stato promosso il film: laddove i Monty Python erano delle stelle della Tv, era un fallimento, in quei posti in cui le persone non avevano idea di chi fossero i Monty Python, invece, era un successo. Gilliam e Palin ricordano di essere andati alla proiezione del film in un festival spagnolo, e di averla trovata particolarmente gratificante: “Fu proiettato in un piccolo cinema in una strada secondaria. Il pubblico era composto da gente che non aveva nulla a che fare con il festival, persone che erano andati lì per prendere il fresco dopo un caldo pomeriggio. Il film non era nemmeno sotto-titolato. Era tutta gente della classe operaia, che certamente non capiva una parola di inglese, e si erano divertiti tantissimo. Io e Mike e non potevamo crederci. Ancora una volta scoprivo che c’erano persone con la mente aperta”. Ma l’esperienza spagnola era certamente un’eccezione. Non sorprendente che, dopo quell’esperienza, Gilliam non ebbe più voglia di lavorare con gli altri quattro Pythons. La Pantera Rosa incontra Jabberwocky Fritz Freleng non avrebbe mai immaginato che la sua sofisticata creatura rosa stava per incontrare un mostro medioevale abominevole. Il Destino e Blake Edwards sarebbero stati i responsabili di tale evento increscioso. Infatti, mentre Gilliam era impegnato a domare la Bestia del Regno, Edwards stava ultimando uno dei tanti sequel della Pantera Rosa negli studi Shepperton. Sul set aveva utilizzato la scenografia di una bellissima fogna, e anche una catapulta: Gilliam aveva bisogno di entrambe le cose. La risposta di Edwards non fu esattamente positiva, e non importava che i produttori di Jabberwocky fossero disposti a pagare una somma generosa per le sue scenografie ormai inutili. “Erano così ossessionati dall’idea che il nostro film sarebbe uscito prima del loro”, dice Gilliam, “che non si rendevano conto che non vi era alcuna intenzione malevola dietro la nostra richiesta. Così Edwards bruciò la sua fionda e distrusse il set della fogna”. È dunque colpa del regista della Pantera Rosa se Gilliam dovette rinunciare a una scena scatologica in una fogna che non era nel copione originale: “Mi era improvvisamente venuto in mente che un buon modo per entrare nel castello sarebbe stato attraverso il sistema fognario, in modo che Dennis sarebbe apparso ricoperto di merda. Alla fine, grazie a Edwards, abbiamo realizzato la scena delle guardie del castello pisciano su di lui, ed è stata la decisione più giusta”. Finalmente Dennis riesce ad entrare in città, quando una delle guardie deve abbandonare il suo posto per liberarsi da un bisogno impellente. In entrambi i casi, l’escremento è sempre il protagonista. Navigazione articoli LA COSA DI JOHN CARPENTER CAMBIA LE REGOLE DELL’ORRORE LILLI CARATI DALLA COMMEDIA EROTICA AL PORNO
[…] non poco, anche per il suo livello visivo. La pellicola, firmata da quel vecchio scarpone di Terry Gilliam (regista che amo particolarmente), è forse la più riuscita, dopo “Blade Runner”, nel […] Rispondi
[…] Nel retro di copertina dell’edizione italiana di Magic Press c’è il commento di Terry Gilliam (regista visionario) su quest’opera: […] Rispondi