Le osservo da mezz’ora, nascosto dietro il cespuglio. Stavo passeggiando – non sono un voyeur, volevo solo rilassarmi un po’, il mio obiettivo era segare quel loop in cui sono intrappolato da giorni – e poi alzo lo sguardo e le vedo avvicinarsi lentamente nel sottobosco. Mi fermo incerto sul da farsi. Tornare indietro? Non so perché, resto lì impietrito, come mi capita troppo spesso negli ultimi tempi. Non un passo avanti, non uno indietro. Quanto mi odio quando cado in questa gabbia mentale e non so più che fare! Rimango. Ora si stanno sfiorando, in una sorta di danza ipnotica e delicata, con quel gesto con cui si accarezza un fiore per non rovinarlo quando l’ammirarlo non basta più. Finite le carezze, il desiderio successivo è ascoltarne il profumo. E infatti stanno per appoggiare il capo l’una contro quello dell’altra, si adorano. Si odorano? Le mucose si agganciano. Questo minuetto sensuale e aggraziato mi ricorda il giorno in cui conobbi lei, successe qualcosa di simile: furono più grandiosi e devastanti il cauto avvicinamento e l’aspettativa del primo bacio di tutto quello che successe dopo. Il cazzo mi si gonfia e va a battere contro una cucitura dello slip, infilo una mano nei pantaloni e lo metto a posto. Rialzo la testa. Adesso stanno ultimando le manovre, il tocco si fa spudorato, si annusano, scivolano l’una contro l’altra. Si aprono. Gli umori luccicano di bagliori argentei, sfumati alla luce trasversale del sole, dove le foglie soprastanti non creano zone d’ombra, appena mosse da impercettibili movimenti d’aria. Fa caldo. Ormai s’intrecciano vogliose escogitando nuove architetture per un coito che si fa sempre più tenace, esplosivo – ma implosivo sarebbe più esatto, perché è silenzioso. Sudo da maledetti mentre aspetto l’atto finale – finale? o è l’inizio? – e mi chiedo come sarà. Non avevo mai pensato ai princìpi che lo governano, credevo fossero ermafroditi bastanti a se stesse. Mi sbagliavo. La voluttà di penetrazione prende colori di incandescenza nella misura in cui è muta (tutto tace) e poco dinamica (tutto succede dentro). Mi tornano in mente lei e la nostra ultima volta, la nostra opera d’arte. Non ci muovemmo quasi, così fusi l’uno dentro l’altra da sospendere ogni volontà di perseguire, ritornare, ritirarsi, avanzare, rientrare. Emergere. Il cazzo torna a gonfiarsi, torno a metterlo a posto. Un urlo incolore come un vagito dietro un vetro insonorizzante. L’ho immaginato? Le chiocciole si staccano piano piano. Si allontanano per direzioni diverse, lasciando una scia luminescente sull’erba appena piegata dal loro passaggio. Ho deciso: stasera butto gli slip nella spazzatura. Questo racconto è World © di Tea C. Blanc. All rights reserved. Navigazione articoli QUEI QUADRI DI BOSCH CHE FORSE NON SONO SUOI LA GATTA DELLA FOTOGRAFA
Molto carino ed efficace, stilisticamente conforme al cerchio narrativo compiuto, una bella lezione di come si costruisce un racconto. Grandiosa l’ironia e spassoso il finale, che dimostra, ammesso che ce ne sia bisogno, che un uomo da solo non azzecca neppure la misura giusta delle mutande che indossa. Grandioso il trip erotico estemporaneo, veramente gradevole. Un graffio sulla fronte perlata di sudore: Eros. Bellissimo Rispondi
Ahahha Grazie! È sempre gradevole ricevere un riscontro così benevolo da una seria professionista. Rispondi