Contagious – Epidemia mortale mi ha spiazzato. Non tanto per il titolo, come dire, truffaldino. Che a differenza di quello originale, Maggie, è messo apposta per farti fare nella testa un collegamento subitaneo: Arnold Schwarzenegger–zombie-figata. Mi ha spiazzato per altri due motivi. Dopo quarant’anni d’onorata carriera a spaccare culi come se non ci fosse un domani, chi avrebbe mai detto che Arnold Schwarzenegger fosse in grado di recitare? E poi perché… … Contagious – Epidemia mortale è un film atipico. Atipico perché pone l’accento su alcuni punti su cui spesso si glissa bellamente per concentrarsi sull’azione fine a se stessa. Un approccio alla ricerca della spettacolarizzazione a tutti i costi, eccessiva se non isterica, per richiamare gli spettatori. Cose del genere, per quanto mi riguarda, fanno perdere ciò che dovrebbe essere il punto principale di un film: raccontare una storia. Sono il primo a cui piacciono i film dove tutto esplode minimo ottanta volte. Dove gli eroi non credono nelle magliette e dove gli schiaffi volano più facili delle ipotesi. Però c’è un motivo per cui polpettoni di due-tre ore come Transformers o Avengers, la cui trama è riassumibile in un rigo su un post-it, ti scivolano addosso come niente. Si tratta di un ritmo epilettico-iper-cinetico che si adatta alla soglia d’attenzione di un pubblico di pesci rossi. Luci, suoni, colori a ritmo sostenutissimo che non dicono nulla, fatti passare per qualcosa di più profondo di ciò che siano in realtà. Pertanto non mi stupisce che, per un bel po’ di tempo, Contagious sia rimasto nella black list delle sceneggiature ritenute non adatte alla proiezione in sala. Non mi stupisce che Contagious, anzi, Maggie, in molti dopo averlo visto se ne so’ usciti con: “È ‘na palla mortale”. Puoi sostituirlo con Blade Runner, Il cacciatore, Stalker o qualche altro titolo. Fin quando non hanno un ritmo frenetico da sparatutto, ‘sti film saranno sempre una palla mortale. La sinossi di Contagious è semplice: un virus sconosciuto è dilagato causando un’infezione pandemica di scala globale. Il necrovirus è in grado, in poche settimane dal contagio, di trasformare l’infettato in una sorta di cadavere ambulante. A tutti gli effetti uno “zombie”. Non c’è cura. Non c’è rimedio. Solo una lunga e interminabile attesa prima dell’inevitabile. Fin qui non è che ci siano tantissime differenze con dozzine di storie similari. Tranne per il fatto che l’epidemia, nonostante i danni catastrofici causati e la pericolosità degli infetti, è stata arginata. La vita pian piano torna (quasi) alla normalità. Wade Vogel (Arnoldone) è un semplice agricoltore. Tra grandi difficoltà e molte incertezze cerca di provvedere come può alla sua famiglia. Purtroppo, la maggiore dei suoi figli, Maggie appunto, è stata morsa e contagiata dal necrovirus. Da qui partirà il lungo calvario che vedrà il dramma interiore di Wade, diviso tra l’amore per la figlia e la “cosa giusta” da fare. Sul serio è così facile spaccare in quattro parti la testa di uno zombie? Non intendo fisicamente, ma moralmente. La figura dello zombie è talmente abusata e sfruttata da essere un cliché. Difficile uscirsene con qualcosa di nuovo. Come dicevo all’inizio, in Contagious si è cercato di porre l’accento su qualcosa di diverso. Su determinate “tematiche umane” che vedono coinvolti i protagonisti. L’infezione, gli zombie, l’orrore, sono una cornice alle vicende. Sono una metafora, se vogliamo dire così, per mettere in scena un’altra cosa. In molti film horror il “mostro” è semplicemente un ostacolo. Serve solo come contrappunto. Gli zombie-movies risultano noiosi perché si cerca solo la spettacolarizzazione che si diceva prima. Non c’è una vera e propria storia da seguire. Nella maggior parte dei casi la classica divisione in tre atti viene ridotta a infezione-sopravvivenza-fuga. Fine. Semplici sequenze che non raccontano niente. Non ti lasciano niente. Si limitano a mettere in scena la violenza puntando tutto su escamotage visivi. Una storia, sia quel che sia, funziona in base a determinati meccanismi. Se questi vengono a mancare, e si utilizza solo un canovaccio per giustificare le azioni dei personaggi, il film risulta debole. Se non inutile. Contagious resta comunque un’opera prima di un regista esordiente, Henry Hobson, girato con un budget che definire ridicolo (parliamo di un milione e mezzo scarso, roba che oggi non ti ci compri manco un caffè da Starbucks) sarebbe un simpatico eufemismo. Chiaro perciò che abbia anche tutta una serie di contro. Inevitabili alcune ingenuità di fondo, ma tutto sommato non è roba tanto grave da mandare il film all’aceto. Giusto per dire, una cosa che ho apprezzato parecchissimo è la fotografia. Uno dei punti che va decisamente a suo favore è l’utilizzo, fin dove possibile, di luce naturale. Le esterne al buio, quindi, sono buie. Non illuminate a giorno con luci e filtri. Il cast, poi, una sorpresa. Tutti fanno il loro dovere, sono convincenti e credibili. Tuttavia mai, ma mai, mi sarei aspettato di vedere un Arnold Schwarzenegger convincente in un ruolo drammatico. Che addirittura riuscisse a sottolineare tutta una serie di emozioni contestuali al ruolo. Purtroppo, alla fine Contagious scivola su certe ridondanze. Non tanto dovute alla scrittura, quanto a cali di ritmo causati da un’errata gestione dei ruoli. Forse dovuta alla mancanza di esperienza da parte del regista. In questo senso il problema maggiore riguarda proprio la Maggie del titolo originale. Nonostante il personaggio sia il perno della storia, per la fretta viene appiattita dalle vicende che la coinvolgono. Comunque sia, quello che conta, il messaggio che il film vuole dare, la storia che vuole raccontare, risultano chiari e diretti. Sì, gli zombie, va be’. Però, una volta tanto, anziché usarli come soliti mostrilli, c’è stato il tentativo (coraggio?) di fare qualcosa di diverso. Non dico originalissimo, ma intelligente almeno. Cioè rappresentare lo zombie, la patologia, come un processo anziché uno stato. Cosa che influisce, non poco, anche sulla dinamica delle relazioni umane rappresentate. Il punto è: ammesso e non concesso il verificarsi di una situazione simile, cosa accadrebbe se quel “mostro” che hai davanti fosse tuo figlio? O tua madre, tuo fratello, tua moglie? Riusciresti a fracassargli la testa con tanta facilità? In questo caso, gli zombie vengono ritratti per ciò che sono/che erano: persone. Non mostri. Oltretutto la chiara, quanto ovvia, metafora rappresentata dall’infezione è il “male incurabile”. Il dolore di chi assiste, impotente, all’inevitabile disfacimento di una persona cara, e la bruttissima consapevolezza di ciò che accadrà alla fine. Questo tema viene affrontato con molto tatto e devo dire che funziona bene. In quanto è un orrore che non gioca su make-up e spaventi facili. Non cerca d’insultare l’intelligenza dello spettatore con il classico “spara-spara” di quart’ordine. Contagious ha dalla sua la forza di mostrare un orrore subdolo, viscerale. Un orrore che può colpire chiunque e con cui chiunque potrebbe trovarsi a che fare. Ebbene, detto questo credo che sia tutto. Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro. Navigazione articoli DAI POKÉMON A WARCRAFT, I VIDEOGIOCHI SBANCANO AL CINEMA SERGIO TOFANO OLTRE IL SIGNOR BONAVENTURA