Quando leggo la solita tiritera su come negli Stati Uniti molte aziende oggi di successo siano nate in un garage, non posso non pensare che la stessa cosa è avvenuta anche nel resto del mondo, anche in Italia, senza tanto clamore. Certo, la sostanziale anarchia economica americana è favorevole a sviluppi commerciali ipertrofici, in quel Paese esistono di fatto solo due regole: paghi le tasse (bassissime e l’Iva non esiste) e ti adegui alle normative tecniche governative. Poi per il resto fa’ quello che ti pare.

Vi racconto la storia del signor Fiammelli, il quale nel retrobottega di un negozietto di pile e lampadine, a metà anni Settanta ha messo in piedi una bella azienda costruttrice di prodotti per radio broadcast.

Avevo un zio paterno, un uomo di infinita intelligenza e gentilezza. Colpito da una serie di infarti si ritrovò ancora giovane a non poter lavorare come aveva sempre fatto, legato ormai com’era alla continua assunzione di medicine salvavita e alla necessità di trovarsi sempre nelle vicinanze di un pronto soccorso. In quegli anni gli infarti perlopiù uccidevano e basta, chi non moriva era un fragile miracolato e come tale doveva comportarsi.

Lo zio era però una persona molto vitale e piena di interessi, e a casa si annoiava. Da ragazzino era stato operaio alla fabbrica di radio Allocchio Bacchini, poi in guerra radiotelegrafista oltre le linee nemiche per i servizi segreti inglesi, infine tecnico di ponti radio per la Banca Commerciale: aveva sempre avuto a che fare con l’elettronica, una passione che mi aveva trasmesso. Abitava nel popolare quartiere milanese di Porta Genova e un giorno trovò lavoro come commesso forse neppure pagato in un negozietto vicino casa che vendeva lampadine, prolunghe, spine di ricambio, pile, cose così. Pur di non stare a casa.

Il negozio apparteneva al signor Fiammelli, uno spilungone dallo sguardo acuto che con il suo diploma di perito elettronico (ma sospetto che fosse persino laureato) aveva trovato il modo di tirare avanti dopo aver fatto il riparatore di rasoi elettrici.

In quegli anni cominciavano a proliferare le prime emittenti radio private, a Milano nel 1977 ce ne saranno state duecento, alcune condominiali, altre di livello professionale, e il Fiammelli intuì che quella situazione avrebbe potuto procurargli finalmente un lavoro adatto alle sue competenze e ben pagato.

Si mise così a progettare e costruire trasmettitori per radio FM, e non solo, anche amplificatori per elevare la potenza di trasmissione e antenne. Il mercato era allora ancora perlopiù in mano a grandi e carissime aziende come la Telefunken, un trasmettitore commerciale costava decine o centinaia di milioni, Fiammelli si rese conto che con una produzione artigianale avrebbe potuto vendere buone apparecchiature a un decimo del prezzo.

Si mise al lavoro ventiquattr’ore al giorno, cominciò a non uscire neanche più dal negozio trasformato in laboratorio se non per andare a cercare i componenti elettronici che gi servivano. Mio zio si occupava delle rare vendite della bottega, quando qualche anziana signora entrava con la radio, anzi la aradio che non funzionava e mio zio con il suo sorriso gentile cambiava le pile mentre nel grande retrobottega il Fiammelli tracciava schemi elettrici e saldava a più non posso.

Me lo ricordo al mattino il Fiammelli, mio zio apriva il negozio e lui era ancora addormentato su una specie di materasso fatto di coperte dietro il bancone dopo aver fatto l’alba lavorando. Si alzava e subito andava al tavolo per riprendere da dove aveva lasciato.

Riuscì a piazzare, forse sotto costo come propaganda, un paio dei suoi primi trasmettitori a una delle piu importanti radio private dell’epoca, che ne fu contenta, e decise che valeva proprio la pena andare avanti offrendo un prodotto completo, dal trasmettitore ai cavi agli amplificatori di potenza alle antenne, e la relativa assistenza. Gli amplificatori che portavano la piccola potenza del trasmettitore alle migliaia di watt necessari per farsi sentire in una città come Milano, vasta e affollata di emittenti che non esitavano a sovrapporsi per via delle poche frequenze libere rimaste, erano ancora completamente a valvole. In una postazione in Friuli ho visto mesi fa un trasmettitore da 2.000 Watt grande come un armadietto per le scarpe, allora ci voleva un armadio quattro stagioni.

FIAMMELLI E LA NEW ECONOMY DEL 1976
Valvola da trasmissione, potenza di 3300 watt. Richiede 6000 volt per funzionare


Il Fiammelli cominciò a farsi aiutare da mio zio per le parti meccaniche e si trovò un aiutante ancora un po’ inesperto per la parte elettronica, un ragazzone di cui non ricordo il nome. Dimenticatevi le bianche fabbriche di microchip e le scene di tecnici che con camice immacolato svolazzano tra asettici banconi pieni di sofisticate strumentazioni digitali. Nel retrobottega, la produzione e messa a punto degli apparati prevedeva un buon numero di scoppi, cortocircuiti, black out. Si lavorava con tensioni elevate, 2000 volt almeno. Andavo spesso a perder tempo da loro, mi piaceva assistere ai collaudi: una volta, un amplificatore con qualche errore di progettazione sparò fragorosamente contro il muro di fronte manopole e strumenti del pannello di controllo; un’altra volta l’inesperto lavorante domandò candidamente osservando la valvola principale: “Si sta fondendo, che faccio?“. Il Fiammelli si lanciò con lieve imprecazione sull’interruttore generale, quelle valvole costavano milioni ognuna. Ma nessuno perdeva mai davvero la calma, anche quando qualche frammento di apparecchiatura nell’esplosione ti sfiorava la testa. Al massimo partiva lo stesso commento che con la stessa flemma l’inventore Otto Kruntz faceva sul Corriere dei Ragazzi: “Va perfezionato“.

In pochi mesi la piccola bottega di elettricista in via Marco d’Oggiono diventò un vero laboratorio, gli inizi d’incendio lasciarono spazio a progetti ben definiti, i clienti paganti cominciarono ad arrivare e il Fiammelli si avventurò a comprare strumenti di laboratorio che costavano venti, trenta milioni quando una Cinquecento costava seicentomila lire. Fu così che di nascosto quando il padrone non c’era, con mio zio imparai a usare cose cui solo ingegneri plurilaureati avevano accesso, come gli analizzatori di spettro a radiofrequenza.

In quei tempi non era così facile procurarsi componenti di precisione. Se ordinavi dagli Stati Uniti qualcosa di elettronico introvabile in Italia ci volevano tre, quattro mesi per ricevere il pacco. Gli importatori ufficiali quadruplicavano il prezzo originale. Dalla Germania i tempi erano minori, ma i prezzi del materiale professionale, foss’anche stato solo un bullone particolare, erano spaventosi. Ma Milano e l’Italia erano un supermercato di cose su misura nascosto alla gente comune. Esistevano migliaia di piccoli artigiani in grado di fabbricare qualsiasi cosa a buon prezzo. Fu così che cominciai a accompagnare il Fiammelli, mio zio, il lavorante e a volte un misterioso signore baffuto nei loro giri per piccole officine. Poteva essere un cromatore, che nel seminterrato di una casa signorile saltellava tra basse vasche di cemento, alcune credo contenenti soda caustica, piene di oggetti da cromare. O un tornitore di oggetti di ferro: non si può immaginare lo stupore di un adolescente nel vedere un tondino trasformarsi in una vite perfetta. Un’altra volta un laboratorio di fresatura: non esistevano i progetti Cad che poi una fresa digitale trasforma in prodotto finito, andavi con le misure e l’artigiano ti restituiva pannelli con fresature e forature perfette al millimetro, fatte a mano. Ricordo un’officina specializzata nel taglio di grossi cilindri d’acciaio con una sega automatica che procedeva di un centesimo di milimetro a passaggio mentre fiotti di acqua saponosa ne tenevan bassa la temperatura: l’operaio non doveva fare granché e per non star lì a fissare l’interminabile lavorio della sega volentieri piegava su ordinazione tubi di rame e lamiere. A volte non si faceva neanche pagare, era già abbastanza aver fatto quattro chiacchiere. Nessuno non del giro avrebbe mai potuto pensare che dietro quelle facciate di primo Novecento esistesse un mondo così variegato e laborioso.

Nei sotterranei di un palazzo di via San Calocero scoprii un commerciante di metalli non ferrosi, stanzoni pieni di rottami. In quell’occasione il baffone del gruppo, sempre silenzioso e con il sorriso del signor Addams, prese finalmente la parola, una sola, Kappa. Si era andati lì a recuperare del particolare alluminio per costruire un’antenna da trasmissione, chiamata appunto Kappa per la sua forma. Il baffone, che doveva essere il committente, presentò lui il gruppetto specificando a voce alta e ben scandita che doveva comprare alluminio per una Kappa. “Una Kappa, capisce?“. Il commerciante non capiva, ma chi ha conosciuto i vecchi artigiani milanesi sa che raramente obiettavano, si limitavano a smorfie perplesse che esprimevano un misto di incomprensione, di volontà di venirne a capo e di fastidio. Il Fiammelli cominciò le trattative, e ogni due minuti il baffone interveniva sorridente per ricordare ai presenti che si era lì per una Kappa, mica robetta. Tutti interrompevano la conversazione e lo guardavano annuendo con gravità, poi la trattativa continuava. Mi sembrava di essere in uno sketch con Jannacci, comunque la cosa andò in porto. Il baffone sparì, chissà chi era.

Fatti i primi soldi veri, il signor Fiammelli aprì una bellissima officina dalle parti di corso Buenos Aires. Uno dei sogni di mio zio era sempre stato di avere un proprio tornio professionale per la lavorazione dei metalli, e quando lo andai a trovare al nuovo indirizzo era raggiante mentre mi mostrava il grande tornio rosso nuovo di zecca tutto a sua disposizione.

Fu l’ultima volta che lo vidi, ed era felice.

Il Fiammelli ha poi costruito e istallato trasmettitori per tutta la vita, i suoi clienti e chi ha lavorato con lui ne parlano con rispetto e affetto ripensando alla sua competenza e gentilezza, lo potevi chiamare alle due del mattino per un problema improvviso agli impianti, mi raccontano, e lui usciva subito di casa per risolverlo. Gli ho telefonato qualche mese fa, avrei voluto che mi raccontasse la sua storia per un articolo, ma soprattutto per me, lui ha un po’ nicchiato dicendomi che magari gli inizi erano forse da omettere. Non gli ho detto che erano proprio gli inizi queli che mi interessavano in particolare. Ci siamo dati appuntamento a casa sua per l’autunno, ma è morto prima.

Sono contento di averlo conosciuto e di aver conosciuto un mondo di persone così attive, ingegnose, laboriose, intelligenti e generose.

 

(Testo e immagine di apertura Copyright © 2023 Andrea Antonini Berlino; immagine della valvola © Jim Pickett con licenza CC BY-SA 3.0)

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