Francesca Romana Rivelli, in arte Ornella Muti, nasce a Roma il 9 marzo 1955 da una famiglia medio borghese. Il padre è un giornalista napoletano che muore quando lei ha solo dodici anni, mentre la madre è Ilse Krause, una scultrice estone. La morte prematura del padre segna la sua adolescenza, perché cresce senza una presenza maschile e passerà tutta la vita alla ricerca di un uomo-padre. La Muti, infatti, riferisce nel corso di numerose interviste che forse la causa dei suoi tanti disastri con gli uomini deriva da un’assenza della figura maschile in un periodo importante della vita. Ornella frequenta una scuola per periti industriali e corrispondenti in lingue estere in via Quintino Sella a Roma, perché sogna di diventare fisico nucleare, ma le piacerebbe anche fare la traduttrice simultanea. Ornella è la seconda di due sorelle, la prima si chiama Claudia Rivelli e si ricorda ogg come discreta interprete di molti fotoromanzi. La sorella interpreta pure un modesto film di Nando Cicero (“Due volte giuda”, 1968), posa per servizi fotografici e partecipa a sfilate di moda, ma non riesce a sfondare. Claudia è però artefice della fortuna della sorella, perché la invita a posare insieme a lei per la pubblicità di un negozio romano. Il caso vuole che le foto finiscano in mano al regista Damiano Damiani, che la scrittura per “La moglie più bella” (1970). Ornella Muti è una delle attrici più affascinanti del cinema italiano degli ultimi decenni, il suo sguardo felino sprigiona una carica erotica senza pari e le sue movenze catturano l’attenzione del pubblico. Il regista Marco Ferreri sostiene che il fascino della Muti proviene dall’odore che si porta addosso, dalla sua faccia ferma nel tempo, né antica né moderna, che fa innamorare tutti. Il volto di Ornella Muti è di un ovale perfetto, il suo portamento sprizza fascino e induce in tentazione. L’attrice vorrebbe essere apprezzata anche per le sue doti artistiche, non solo per il corpo, ma sono pochi i critici che riescono a guardare oltre. Le interviste dei giornalisti riguardano quasi esclusivamente la bellezza e i reporter controcorrente si contano sulle dita di una mano. Ornella ne soffre, perché è una donna intelligente che fa buone letture, apprezza la filosofia di Sant’Agostino e il cinema esistenziale di Ingmar Bergman. Ma la sola cosa che fa notizia è la sfolgorante bellezza. A un certo punto si sparge la voce che ha assicurato occhi e seno per due miliardi di lire, bocca per uno, mani per cinquecento milioni e gambe per cinque miliardi. Tutte balle. Nei primi anni settanta Ornella Muti interpreta qualche fotoromanzo, ma debutta nel cinema ad appena quindici anni. Nel film La moglie più bella (1970) di Damiano Damiani, storia ispirata alla vicenda reale di Franca Viola, una ragazza che si ribella ai costumi siciliani rifiutando di sposare il suo stupratore in nozze riparatrici. L’idea dello pseudonimo con reminiscenze dannunziane è di Damiano Damiani, ma viene imposto soprattutto per esigenze pratiche visto che esiste un’attrice di nome Luisa Rivelli. Damiano Damiani riferisce un’altra versione: “L’ho chiamata Muti perché quando girò con me il primo film non diceva una parola”. Lo pseudonimo pesa su di lei come una croce, chiede di essere chiamata con il vero nome, ma ormai tutti la conoscono per Ornella Muti e non potrà rinunciare all’eredità lasciata in dote di Damiani. Nel suo primo film, Ornella interpreta Francesca Cimarosa. Non è un’esperienza facile perché si trova in un mondo che non conosce, circondata da gente severa che pretende il massimo, molto di più di quanto chiedevano gli insegnanti della scuola. Ornella vorrebbe tornare alla sua vita e calarsi di nuovo nei panni di Francesca Rivelli, ma il film riporta un successo straordinario al punto di risucchiare totalmente la giovane interprete nei meccanismi del cinema. Tra l’altro, “La moglie più bella” è una pellicola galeotta perché Ornella conosce sul set l’affascinante Alessio Orano, idolo delle ragazzine, che rimane stregato dall’attrice e comincia a frequentarla fino a decidere di abbandonare la fidanzata per andare a vivere con lei. Alessio Oramo è il primo uomo di Ornella Muti e il loro rapporto sarà piuttosto tormentato. La decisione di vivere insieme matura durante le riprese del secondo film che interpretano: “Il sole nella pelle” (1970) di Giorgio Stegani, storia di un giovane hippie che convince una ragazzina di buona famiglia a seguirlo su un’isola in cerca dell’amore libero e puro. La famiglia della ragazzina non vede bene la cosa e cerca di impedire con ogni mezzo la fuga romantica. Ornella Muti si mostra più nuda che nel primo film nonostante la giovane età, ma in ogni caso si parla di un topless piuttosto innocente. La Muti non ama spogliarsi al cinema, quando lo fa esige che ci sia un motivo valido di sceneggiatura. I primi lavori fanno eccezione perché il suo potere contrattuale verso registi e produttori è molto limitato. Per non recitare nuda, Ornella Muti rifiuta di interpretare “Barbablù” (1972) di Edward Dmytryk accanto a Richard Burton e “L’evaso” (1971) di Pierre Granier-Deferre con Alain Delon, mentre nella pellicola “Un posto ideale per uccidere” (1970) di Umberto Lenzi, si fa controfigurare il seno nudo da Antonia Santilli. La trama de “Il sole nella pelle è molto sessantottina”, legata al clima culturale di un periodo psichedelico, ma in parte ricalca la storia dei due attori. Il critico Paolo Mereghetti stronca senza pietà: “Modesto fumetto con patetici tocchi d’attualità e qualche avaro nudo, interpretato da una giovanissima Muti col suo partner d’allora”. “Un posto ideale per uccidere” (1970) di Umberto Lenzi ci presenta la Muti nei panni di una giovanissima hippie danese a fianco del bel Ray Lovelock, entrambi ricercati dalla polizia per commercio di foto porno. Nella pellicola troviamo anche Irene Papas, che interpreta una ricca signora proprietaria di una villa che ospita i due ragazzi, ma è una vera e propria dark lady perché ha appena ucciso il marito. Non solo, cerca di incastrare i ragazzi facendo mettere il cadavere del coniuge nel bagagliaio della loro auto. I due giovani scappano, ma muoiono in un agguato lungo la strada. Non è uno dei migliori thriller di Lenzi, autore di soggetto e sceneggiatore insieme a Lucia Drudi Demby e Antonio Altoviti. La trama vorrebbe contrapporre i giovani contestatari ai ricchi corrotti. Antonia Santilli fa da controfigura sia per la Muti che per la Papas. Il regista ha più volte ripudiato il film definendolo una pellicola sbagliata, che non avrebbe voluto fare. “Esperienze prematrimoniali” (1972) di Pedro Maso è una produzione spagnola che vede ancora una volta all’opera Ornella Muti come protagonista insieme al suo boyfriend Alessio Orano. La Muti è una ragazza che ha visto finire il rapporto tra i genitori e adesso si mostra scettica sulla possibilità che la relazione con il fidanzato possa durare. Si tratta di un modesto melodramma che Mereghetti definisce “un fumettone pruriginoso sul conflittuale rapporto tra i giovani e le convenzioni sociali in una Spagna che si sta modernizzando”. La pellicola ha il merito di fare incontrare la Muti con il cinema iberico e in breve tempo la bella attrice romana diventa molto nota in Spagna ed è ricercata dai registi locali per la sua bellezza e il suo innegabile fascino. “Fiorina la vacca” (1972) di Vittorio De Sisti è un “decamerotico” (film erotico ambientato nel medioevo) di qualità ispirato ai racconti del Ruzzante, dove la Muti interpreta una servetta che crede di aver perduto la verginità, ma non è vero. Il ruolo è marginale nell’economia del film, anche se oggi le promozioni dei dvd insistono sulla presenza della Muti mettendola in copertina come se la bella attrice mostrasse chissà quali nudità, mentre si tratta di un film piuttosto casto. De Sisti gira un ottimo lavoro in dialetto veneto che ha per filo conduttore le peripezie di una vacca, la quale passa di mano in mano. Ewa Aulin è la vendicativa moglie Giacomina che conclude: “è meglio perdere una bella vacca che un bell’oseo”… e non occorre essere veneti per capire cosa intende per oseo. Nel film recitano con pochi veli molte dive del sottogenere, citiamo Janet Agren, Jenny Tamburi, Ornella Muti (ma non si spoglia) e Graziella Galvani. La pellicola è dignitosa e ancora oggi è capace di divertire senza ricorrere a volgarità inutili. Un episodio che vede protagonista Ewa Aulin è girato con il bravo Renzo Montagnani nei panni del classico marito cornuto che si fa becco da solo per scoprire se è vero che la moglie fa la puttana. Ewa Aulin si vendica, lo incorna per davvero e alla fine scappa con l’amante. “Un solo grande amore” (1972) di Claudio Guerin Hill è una coproduzione italo-spagnola che conferma il buon successo della Muti nella penisola iberica. La giovanissima attrice italiana veste ancora una volta i panni della protagonista accanto a Lucia Bosè, Glen Lee e Caterina Boratto. Lee è un dongiovanni che seduce la diciassettenne Muti per fare ingelosire la madre vedova (Bosé), che subito gli si concede per non perderlo. La ragazzina impazzisce perché si era davvero innamorata. Si tratta del più classico melodramma, un genere che piace molto e che non accenna a morire in Spagna. I film di Pedro Almodovar sono un’altra cosa, perché questo è davvero un barboso polpettone, come dice Mereghetti, salvato appena da un finale surrealista e dal mestiere di un regista scomparso prematuramente. Un’altra prova spagnola di Ornella Muti è “L’amante adolescente” (1973) di Pedro Maso, interpretato anche da Sergio Fantoni, Eduardo Fajardo, Didi Sherman ed Emilio Gutierrez Caba. Muti protagonista, come da copione, nei panni di una giovanissima cantante che dimentica la carriera tra le braccia di un avvocato quarantenne. La storia d’amore termina quando la ragazza scopre che l’uomo è sposato, ma lei si consola vincendo il Festival di Maiorca. Un fotoromanzo casto di poco interesse, che non sfocia nel melodramma e che non presenta scene sexy di rilievo. Nel 1973, Ornella Muti torna in Italia per interpretare “Le monache di Sant’Arcangelo” di Domenico Paolella, “Tutti figli di Mammasantisima” di Alfio Caltabiano e “Paolo il caldo” di Marco Vicario. “Le monache di Sant’Arcangelo” è il primo tonaca-movie italiano, ma la componente erotica è ridotta a qualche momento lesbico e ad alcune scene di sadomasochismo. Il regista (con la collaborazione di Tonino Cervi) sceneggia un fatto realmente accaduto nel 1577 seguendo la trama di un racconto di Stendhal. La pellicola è girata interamente nel convento di Fossanova, nei pressi di Latina, e racconta la lotta per la successione al posto di badessa. Tra gli interpreti ricordiamo Anne Heywood (fresca Monaca di Monza con Eriprando Visconti), Luc Merenda, Duilio Del Prete, Claudio Gora e Martine Brochard. La Muti è suor Isabella, ma non mostra niente. “Tutti figli di Mammasantisima” è un modesto mafia-movie interpretato da Tano Cimarosa, Pino Colizzi, Christa Linder, Alf Thunder e Ornella Muti. L’ambientazione è nella Chicago anni venti, dove infuria una guerra tra gang siciliane e irlandesi. Un nuovo arrivato riesce a diventare capo della malavita. “Paolo il caldo” di Marco Vicario, tratto dal romanzo di Vitaliano Brancati, è il film che segna il vero lancio erotico di Ornella Muti in Italia dopo i fasti spagnoli. Il regista sceglie la bella attrice romana per interpretare la piccola ma incisiva parte della servetta che si innamora del protagonista. La Muti strega il pubblico per il suo indiscutibile fascino e fa parlare i rotocalchi rosa che raccontano di una relazione tra Marco Vicario (legato sentimentalmente a Rossana Podestà) e la giovane attrice. Ornella Muti smentisce, come ha sempre fatto in casi analoghi, visto che la stampa le ha attribuito flirt e relazioni con molti attori con cui ha lavorato: Alain Delon, Ugo Tognazzi, Tony Musante, Giancarlo Giannini, Adriano Celentano e Francesco Nuti. Una sola intrigante scena di nudo la vede protagonista in “Paolo il caldo”, è una sequenza voyeuristica tipica della commedia sexy con il ragazzino che spia uno strip dalle imposte di una finestra. La pellicola presenta un cast di lusso: Giancarlo Giannini, Rossana Podestà, Gastone Moschin, Adriana Asti, Lionel Stander, Riccardo Cucciolla, Vittorio Caprioli, Mario Pisu, Orchidea De Santis, Enrica Bonaccorti, Umberto D’Orsi, Femi Benussi, Barbara Bach, Oreste Lionello e Marianne Comtell. Il critico Marco Giusti lo definisce un erotico colto alla Vicario, ma è un elogio del libertinismo tragico e funereo che riscuote un grande successo di pubblico anche per merito di flani suggestivi (Giannini tra due natiche femminili). Il cast femminile è fantastico e il film riscuote talmente successo che un anno dopo Ciccio Ingrassia gira la modesta parodia “Paolo il freddo”, interpretata da Franco Franchi. “Appassionata” (1974) di Gian Luigi Calderone è il primo film dove Ornella Muti interpreta molte scene senza veli, ma non soltanto lei: anche Eleonora Giorgi fa la sua parte. Calderone resterà nella piccola storia del cinema italiano solo per questo, infatti comincia come aiuto regista di Bernardo Bertolucci e Damiano Damiani, esordisce in proprio come documentarista, realizza molti lavori televisivi e gira soltanto un paio di pellicole di buon successo. La prima è “Appassionata” (1974) e la seconda “Danza d’amore sotto gli olmi” (1975), conosciuta pure come “La prima volta sull’erba”, con Monica Guerritore e Claudio Cassinelli. A noi interessa “Appassionata”, che scandalizza il pubblico e viene citata in numerose trasmissioni televisive contro il cinema erotico. Durante una di queste trasmissioni un’imbarazzata Eleonora Giorgi si vede costretta a giustificare le pose senza veli con esigenze di trama, mentre un ridicolo giornalista mostra scene avulse dal contesto. “Appassionata” non è un capolavoro ma resta un buon film, anche se il titolo spagnolo, “Perversa”, rende meglio il clima di morboso erotismo che si respira. La storia racconta i vizi di una famiglia borghese, un amore proibito tra padre e figlia, l’odio nei confronti della madre, la follia di una donna e un torbido rapporto tra un cinquantenne e una ragazzina. Ce n’è abbastanza per sconvolgere i censori, sempre propensi a sforbiciare pellicole che affrontano temi controcorrente. Calderone non è un regista eccellente, dilata i tempi dell’azione, gira a ritmi televisivi (e infatti farà molta fiction), eccede nei silenzi e nelle pause melodrammatiche, ma soprattutto non costruisce una buona tensione erotica. Gli attori sono molto bravi. Valentina Cortese è una perfetta madre malata di nervi, distrutta dall’odio della figlia che non vorrebbe vedere crescere e da un rapporto di amore-odio con il marito. La Cortese è impostata come attrice di teatro, recita sempre sopra le righe declamando ed esprimendo una mimica da tragedia dannunziana, ma in questo caso è adatta al ruolo. Gabriele Ferzetti è un ottimo padre sconvolto dalle grazie conturbanti della ragazzina (Eleonora Giorgi) che quasi lo violenta nel suo studio dentistico, dopo aver finto una reazione a un anestetico. Ornella Muti è la figlia innamorata del padre che mette in scena un torbido gioco per finire a letto con lui, ottima nel ruolo di lolita sedicenne vestita con abiti scolastici e inserita in un contesto adolescenziale. Eleonora Giorgi è la stupenda perversa del titolo spagnolo, ragazzina morbosamente appassionata del padre dell’amica, che irretisce al punto di spingerlo nel letto della figlia. Ninetto Davoli fa una rapida apparizione come garzone e conferisce un tocco di romanità popolare a una pellicola ambientata in una famiglia borghese. La storia presenta molti risvolti psicanalitici che si intrecciano tra loro. Abbiamo una donna strappata alla carriera e alla sua vera passione, una figlia cresciuta tra l’odio materno e il morboso affetto del padre. In questo contesto si innesca la variabile impazzita della lolita perversa che frequenta la casa perché amica della figlia e con astuzia erotica scatena i sensi del padre. Tra le sequenze migliori segnaliamo un sogno del padre che introduce una parte onirica morbosa e suggestiva con Eleonora Giorgi che si masturba, eccita un cane lupo e infine lo uccide. Il rapporto sessuale tra Ferzetti e la Giorgi, consumato in piedi nello studio dentistico, tra la furia erotica della sedicenne e l’eccitazione sconvolta dell’uomo maturo è molto credibile. La fotografia flou, i tenui colori seppia, merito di Armando Nannuzzi, conferiscono un alone romantico alla pellicola. La musica di Piero Piccioni sottolinea le parti drammatiche e i momenti morbosi con notevole cura. Il montaggio di Nino Baragli non è molto serrato, ma teniamo conto che siamo in pieno melodramma erotico, un genere dai tempi lenti, che al cinema non si fa più perché confluito nella fiction televisiva. “Appassionata” si ricorda per una furibonda lite tra Ornella Muti ed Eleonora Giorgi avvenuta sul set a causa di un fotografo di scena che la Giorgi non voleva allontanare durante le sequenze di nudo. Le due giovani attrici si prendono per i capelli e solo il provvidenziale intervento di Tonino Cervi placa le acque. Passato l’episodio le due ragazze diventano amiche e lo sono ancora oggi dopo molti anni di carriera. Eleonora Giorgi è diversa da Ornella Muti, perché non si fa problemi a posare nuda per le riviste e a comparire senza veli al cinema. Ornella, invece, è più restia e “Appassionata” rappresenta un vero e proprio trauma. In questo periodo si incrina il rapporto tra Ornella Muti e Alessio Orano, dopo una furibonda lite che parte della stampa scandalistica attribuisce all’invidia che il ragazzo prova per il successo della compagna. Ornella resta single e torna in Spagna dove l’attende Paco Lara (in arte Paco Polop) per un nuovo ruolo dedicato ai fan iberici ne “La segretaria” (1974), interpretato con Emilio Gutierrez Caba e Philippe Leroy. La trama è abbastanza simile ai precedenti melodrammi, perché racconta la storia di un attore di teatro innamorato della segretaria adolescente (Muti). A un certo punto l’amore finisce e il rapporto diventa un interesse reciproco, fino a quando la ragazzina scappa con un coetaneo che la libera da uno scomodo protettore. Al ritorno dalla Spagna, Ornella scopre di essere incinta, ma mantiene uno stretto riserbo sul nome del padre perché non vuole sapere niente di un uomo che le chiede di abortire. Alessio Orano decide di sposare Ornella Muti e di riconoscere la bambina anche se non è sua. Il matrimonio viene celebrato il 30 dicembre 1974 davanti a due testimoni e sembra fare tornare il sereno all’interno della coppia, come se fosse il coronamento di un sogno d’amore. La figlia nascerà a Monaco di Baviera e le verrà imposto il nome di Naike. “Romanzo popolare” (1974) di Mario Monicelli giunge a proposito, perché il personaggio dell’operaia Vincenzina deve restare incinta e quindi Ornella non ha bisogno di ricorrere al trucco. Si ricorda la colonna sonora scritta da Enzo Jannacci basata sul tema della canzone “Vincenzina e la fabbrica”. Jannacci e Beppe Viola sono consulenti ai dialoghi e il loro contributo è importante per il dialetto meneghino. “Romanzo popolare” è un dramma della gelosia che vede interpreti un grande Ugo Tognazzi e il giovanissimo Michele Placido. Tognazzi è Giulio Basletti, un metalmeccanico milanese che rinuncia alla vita da scapolo per sposare la bella Ornella Muti (Vincenzina), una ragazza meridionale molto più giovane. In questa situazione si inserisce il tradimento della ragazza e il rapporto con un poliziotto meridionale interpretato da Michele Placido. Film intelligente che analizza il modificarsi del rapporto uomo-donna e la questione della classe operaia unito all’immigrazione. Il successo dell’opera di Monicelli è tale da trasformare Ornella Muti in una diva di prima grandezza ricercata dai migliori registi, non soltanto nazionali. “Un beso ante de asconderme” (1975) di Mario Camus è un film interpretato dalla Muti di cui non abbiamo notizie perché non ha avuto una versione italiana. “Léonor” (1975) di Juan Luis Buñuel (figlio del più noto Buñuel) è un film interpretato da Michel Piccoli, Liv Ullmann, Piero Vida, Antonio Ferrandis e Vittorio Parziale. Ornella Muti ha un ruolo puramente decorativo e dimenticabile nei panni di Catherine, seconda moglie del protagonista. Una storia fantastica ambientata nel feudalesimo, che vede un signore stringere un patto con il diavolo per richiamare dalla tomba la sua prima sposa Léonor (Ullmann). La pellicola prende una piega horror perché la donna è diventata una vampira e intorno a sé diffonde solo morte. Un film surrealista per affermare che l’amore sconfigge anche la morte. Il 1976 è un anno importante per Ornella Muti, forse quello della sua vera consacrazione a star, perché viene scelta da Marco Ferreri per un ruolo da protagonista nel controverso “L’ultima donna”. L’attore maschio è Gerard Depardieu, nei panni di un marito profondamente maschilista. Non è facile lavorare con Ferreri, che pretende dalla Muti un’aria meno rosea e più cattiva, meno da personaggio Disney, come afferma il regista. “L’ultima donna” è un film che vede la Muti più nuda del solito, ma guidata da un regista colto, raffinato, originale, controverso, sempre discusso e mai indifferente alla critica. Per lei è un lancio internazionale in piena regola, che la trasforma in attrice di prima fascia. Nel cast ci sono anche Michel Piccoli, Renato Salvatori e Giuliana Calandra. Giovanni (Depardieu) è un ingegnere disoccupato, intreccia una relazione con l’insegnante d’asilo del figlio (Muti). Giovanni è geloso e possessivo, per questo il rapporto si deteriora e la donna si interessa sempre più soltanto del bambino. Il finale spiazzante, come ogni film di Ferreri, vede Depardieu evirarsi con un coltello elettrico. Un omaggio nichilista alla superiorità femminile e un atto di accusa nei confronti della società maschile. Luciano Tovoli firma una mirabile fotografia. I due film, successivi della Muti sono un evidente passo indietro rispetto all’importante pellicola d’autore. “Come una rosa al naso” (1976) di Franco Rossi è comunque una pellicola interpretata insieme ad attori di grosso calibro come Vittorio Gassman, Lou Castel, Adolfo Celi e Alessandro Haber. Gassman è un ristoratore siciliano, ormai inglese di adozione, ma le cose cambiano quando la famiglia gli manda la cuginetta Lucia (Muti) per aiutarlo a espandere l’attività. La pellicola è una commedia ironica che vuole affrontare con leggerezza il tema mafioso, ma non sempre ci riesce. “Il mio primo uomo” (1976) di Mario Camus è una produzione spagnola che rende meglio con il titolo originale de “La joven casada”. Ornella Muti si trova a interpretare una giovane infermiera amante del figlio di un primario e che sposa il padre, mentre il ragazzo è in Africa. Al ritorno del figliastro riprende con lui una torbida tresca amorosa. Si tratta del solito melodramma alla spagnola che in Italia è stato addizionato di numerose scene sexy per inserirlo in un genere in voga. “Eutanasia di un amore” (1977) di Enrico Maria Salerno è un ritorno ad alti livelli per una pellicola delicata che racconta la crisi di una coppia, dove la Muti è una studentessa con desiderio di maternità. Tony Musante è l’interprete maschile che vorrebbe obbligare la Muti ad abortire perché non vuole avere figli. La storia è tratta dal romanzo omonimo scritto da Giorgio Saviane, il quale collabora alla sceneggiatura. Per Mereghetti si tratta solo di un melodramma stonato, pretenzioso e superficiale, a tratti persino ridicolo anche per colpa dell’inespressività dei due protagonisti. Non condividiamo. La stampa rosa parla a lungo di un flirt tra la Muti e Musante, ma forse certi articoli vengono suggeriti per il lancio pubblicitario della pellicola. “Morte di una carogna” (1977) di George Lautner è un noir violento ambientato a Parigi che vede la Muti sul set accanto ad Alain Delon (nuovo flirt attribuito dalla stampa), Maurice Ronet, Stéphan Audran, Klaus Kinski e Mireille Darc. Non è un gran film. “I nuovi mostri” (1977) di Ettore Scola, Dino Risi e Mario Monicelli, è un ritorno alla commedia d’autore, anche se la Muti recita solo nell’episodio “Autostop” diretto da Monicelli, insieme a Eros Pagni. Ornella è una bella autostoppista che viene uccisa da un commesso viaggiatore perché rifiuta di sottostare alle sue richieste erotiche. Il film è composto da quattordici episodi che cercano di indagare su piccole e grandi meschinità dell’italiano medio, ma l’operazione risulta meno efficace di quindici anni prima (“I mostri” di Dino Risi). “Primo amore” (1977) è un’altra commedia d’autore diretta da Dino Risi, dove Ornella Muti è la servetta Renata che si lega al vecchio attore Picchio (Ugo Tognazzi), ospite di una casa di riposo per anziani artisti. Renata vorrebbe fare la soubrette e scappa con il vecchio amante che vagheggia di un impossibile ritorno al lavoro. Un buon film, velato di nostalgia per il passato e per un mondo che non c’è più. “Ritratto di borghesia in nero” (1977) di Tonino Cervi è girato interamente a Venezia ed è ambientato nel 1938, durante il periodo fascista. Mattia è un giovane pianista (Stefano Patrizi) che ha una relazione con la madre (Senta Berger) di un suo amico, ma a un certo punto s’innamora della bella e viziata Elena (Muti). La rivalità sfocia in tragedia e il melodramma si consuma quando Elena uccide la donna. Le autorità fasciste insabbiano l’inchiesta per evitare lo scandalo, così Elena e Mattia finiscono per sposarsi. La pellicola è tratta dal racconto “La maestra di piano” di Roger Peyrefitte, ma la sceneggiatura è opera di Cesare Frugoni e di Goffredo Parise. La pellicola è un vero e proprio dramma erotico che gode di un’atmosfera decadente e morbosa, ma non è consigliabile la versione televisiva perché priva delle sequenze erotiche. Si tratta di una delle pellicole più scabrose interpretate dalla Muti che nel finale è protagonista di una scena saffica insieme a Senta Berger. “La stanza del vescovo” (1977) di Dino Risi vede ancora Ornella Muti accanto a Ugo Tognazzi e per la stampa rosa c’è di che sbizzarrirsi per inventare una storia d’amore tra i due attori. Il film è tratto da un ottimo romanzo di Piero Chiara (che partecipa alla sceneggiatura) ambientato a Luino, sul Lago Maggiore. Tognazzi è un marito succube della moglie (Gabriella Giacobbe) che si innamora della bella cognata (Muti) e si fa aiutare dall’amico Marco Maffei (Patrick Dewaere) per gli appuntamenti galanti che si tengono a bordo della sua barca. A un certo punto la moglie di Tognazzi viene trovata morta e l’amico comprende di essere stato usato. Il film è fedele al romanzo di Chiara e gli sceneggiatori De Bernardi e Benvenuti sono bravi a ricrearne l’atmosfera cinematografica. Tognazzi è grande come sempre quando si tratta di interpretare personaggi meschini e patetici, coinvolto nelle sue passioni erotico-culinarie. La Muti non si lascia fotografare spesso senza veli, ma il film è un successo di pubblico notevole. “Giallo napoletano” (1979) di Sergio Corbucci è una commedia nera interpretata da Marcello Mastroianni, Ornella Muti, Renato Pozzetto, Michel Piccoli, Zeudi Araya e Peppino De Filippo. Mastroianni è un suonatore ambulante di mandolino, lavora molto per pagare i debiti di gioco del padre (De Filippo) che si trova coinvolto in un giro di delitti. Non è un film memorabile, nonostante il grande cast, ma si ricorda come ultimo film di Peppino De Filippo. La vita è bella (1979) di Grigorij Cuchraj è una coproduzione italo-russa interpretata da Giancarlo Giannini, Ornella Muti, Stefano Madia ed Enzo Fiermonte. La pellicola è girata in Italia, ma c’è la finzione scenica di un paese retto da una dittatura. Si tratta di una commedia scontata dove la Muti interpreta una cospiratrice che scappa con un tassista (Giannini) creduto da tutti un ribelle. Alla fine degli anni settanta, Ornella Muti è una star di prima grandezza a livello internazionale, piace ai francesi e agli spagnoli, riempie le sale italiane ed è pronta per il grande lancio a Hollywood, la mecca del cinema dove compra addirittura una villa. Dino De Laurentiis la scrittura per interpretare la principessa Aura nel kolossal “Flash Gordon” (1980) di Mike Hodges, ispirato al fumetto di Alex Raymond. Nel cast c’è anche Mariangela Melato, altra attrice italiana molto popolare che si era fatta notare in alcune commedie di costume dirette da Lina Wertmüller, interpretate insieme a Giancarlo Giannini. Il film è dotato di grande fantasia visionaria e, anche se la regia non è il massimo, resta indelebile nelle nostre menti la colonna sonora dei Queen realizzata dallo scomparso Freddie Mercury. Flash Gordon è un film fortemente voluto dal produttore De Laurentiis, che spende ben 18 milioni di dollari dell’epoca per una versione delle avventure di un popolare eroe del fumetto fantastico. Molto importante la collaborazione dello scenografo Danilo Donati. Cliccare sull’immagine per vedere Ornella Muti frustata da Mariangela Melato in “Flash Gordon” All’inizio degli anni ottanta, Ornella Muti interpreta insieme ad Adriano Celentano due film di grande successo come “Il bisbetico domato” (1980) e “Innamorato pazzo”, entrambi di Castellano e Pipolo. Il primo incassa più di quindici miliardi in soli tre mesi: entrambi sono grandi successi commerciali che consentono alla Muti di alzare il suo cachet d’ingaggio fino alla cifra di trecento milioni a film. “Il bisbetico domato” mette in burletta la commedia di Shakespeare e racconta le avventure del misogino Elia Codogno, imprenditore agricolo nella zona di Voghera che vive con una governante di colore, versione comica della Mamie (Edith Peters) di “Via col vento”. Tutti vorrebbero trovare moglie al padrone di casa, dal prete alla governante, ma lui non vuol saperne di rinunciare alla libertà. Ornella Muti è la ricca Lisa, accolta sotto il tetto di Elia durante una notte tempestosa, che finisce per innamorarsi di lui. La Muti si mette in testa di conquistare un uomo così difficile e misterioso, che non sembra affatto sensibile al suo fascino. Le trovate non sono il massimo dell’originalità e il film è girato quasi tutto in interni, ma il pubblico va in estasi. Ricordiamo una sequenza divertente con Celentano che si commuove mentre guarda le comiche in televisione, ma subito dopo ride a crepapelle quando la Muti cade per le scale e si fa male sul serio. L’attrice cita Chaplin e i principi elementari della comicità: la caduta e la buccia di banana. Celentano la prende in parola. La pellicola si ricorda per alcune sequenze surreali: Celentano che parla con gli animali, un benzinaio oggetto di continue prese in giro, la Muti che fuma la cicoria convinta che sia marijuana, una lite a suon di vasi cinesi e mobili rotti, la caccia ai malvagi cacciatori e il tango in balera mentre i protagonisti dormono in piedi. Funziona il capovolgimento dei ruoli e la situazione impossibile che vede la Muti pregare un uomo di andare a letto con lei. Ricordiamo un sensuale strip della bella attrice che passeggia per la casa in calze nere sorrette da ammiccanti giarrettiere, quindi si infila nel letto di Celentano, ma lui la respinge. Il film non è niente di più che una farsa surreale alla Celentano con un lieto fine scontato, che vede il bisbetico sciogliersi d’amore per la bella Muti. La canzone “Innamorata incavolata a vita” è un successo. Nel cast ricordiamo Milly Carlucci in versione sexy, che contende alla Muti il fascinoso Celentano a suon di pugni e schiaffi. In ogni caso si tratta di un film per famiglie e la bella attrice romana non è costretta a spogliarsi, ma si limita a mostrare qualche timida giarrettiera e un fugace seno seminudo. Pippo Santonastaso è un prete-allenatore di basket che per vincere la tentazione erotica suona le campane. Molto divertente e trasgressivo per i tempi, mentre mostra le mani segnate dalle corde a un Celentano che confessa di spaccare legna nei momenti di eccitazione. Jimmy il Fenomeno si intravede in un paio di sequenze dove interpreta un nevrotico tifoso di basket. “Innamorato pazzo” racconta l’improbabile storia d’amore tra una principessa (Muti) in visita a Roma e il conducente d’autobus Barnaba Cecchini (Celentano). Le differenze sociali non sono un ostacolo vista la simpatia che sprigiona l’autista che finisce per coronare il suo sogno. Pure questo film si segnala come un grande successo di pubblico. Inutile dire che i giornali rosa raccontano la solita storia del flirt tra Celentano e la Muti, forse c’è qualcosa di vero, ma come vanno i fatti lo sanno soltanto i diretti interessati. “Nessuno è perfetto” (1981) di Pasquale Festa Campanile è un’altra commedia commerciale che Ornella Muti interpreta accanto a un divertente Renato Pozzetto. La bella attrice romana è Chantal, ex paracadutista diventato donna, la quale sposa un ricco imbranato che non sopporta i pettegolezzi che lo circondano. Un successo, pure se la comicità è ai minimi storici e le trovate risapute. “Per amore e per denaro” (1981) è un film statunitense diretto da James Toback, interpretato da Ray Sharkey nei panni di un banchiere che rapisce la bella moglie (Muti) di un finanziere (Klaus Kinski) che l’ha trascinato in un losco giro internazionale. Secondo Mereghetti è un melodramma pasticciato e incoerente e noi ci fidiamo perché non l’abbiamo visto. Ci sono alcune scene erotiche tra Sharkey e la Muti, ma non sembrano di grande rilievo nell’economia del film. “Storie di ordinaria follia” (1981) di Marco Ferreri rappresenta un ritorno al cinema impegnato per Ornella Muti che ricopre la difficile parte della donna più bella della città che gioca a imbruttirsi e a farsi del male. Ferreri sceneggia per il cinema uno dei testi più controversi di Charles Bukowsi con la collaborazione di Sergio Amidei. Il film è ambientato a Los Angeles, viene girato negli Stati Uniti e piace molto al Festival di Venezia. Ornella Muti è Cass, bellissima prostituta masochista e autolesionista che si cuce il sesso per rifiutare il ruolo di donna oggetto. Il personaggio è vissuto dalla Muti come una sorta di alter ego eccessivo, perché anche lei si ritiene schiava del morboso interesse che la sua bellezza suscita negli uomini. Bukowski cita il film nella raccolta Niente canzoni d’amore (racconto Pazzo abbastanza). Marco Ferreri diventa Luigi Bellini, l’attore Ben Gazzara è Ben Garibaldi e Ornella Muti si trasforma in Eva Mutton. Perfettamente in linea con il personaggio la definizione di Ornella Muti secondo lo scrittore americano: “ … di lei non sapevo un granché, ma mi dissero che era un gran pezzo di donna, calda e liscia, e che tutti gli italiani sognavano di sbattersela…”. Il film è una coproduzione italofrancese interpretata da Ornella Muti, Ben Gazzara, Susan Tyrrel, Tanya Lopert, Elisabeth Long, Carlo Monni, Katya Berger, Lewis Eduard Cianelli e Cristina Forti. Ferreri racconta le avventure erotiche del poeta Charles Serking (Gazzara), dedito all’alcol e alla vita dissoluta, che alla fine si innamora della puttana Cass, certo non migliore di lui. Il film deriva da quattro racconti tratti dalla raccolta, ma prende una strada da melodramma nero formalmente ineccepibile, inserendo una storia d’amore non prevista da Bukowski. La pellicola registra un grande successo di pubblico che va al cinema solo per vedere la Muti alle prese con un personaggio maledetto che rasenta la pornografia. Gazzara e la Muti sono molto bravi, ma il film non ha molto a che vedere con le idee di Bukowski. Ricordiamo una conturbante sequenza erotica che mostra lo splendore delle natiche di Ornella Muti girata verso la finestra, mentre Ben Gazzara le accarezza i glutei e si appresta a consumare l’atto sessuale. Cliccare sull’immagine per vedere il film completo di “Storie di ordinaria follia” (1981) All’inizio degli anni ottanta terminano i film erotici, leggeri o di spessore che siano, interpretati dall’ancora molto giovane Ornella Muti, a causa del tramonto di questo genere cinematografico che ha trovato negli anni settanta la sua massima espressione. FILMOGRAFIA DI ORNELLA MUTI FINO AL 1981 La moglie più bella di Damiano Damiani (1970) Il sole nella pelle di Giorgio Stegani (1970) Un posto ideale per uccidere di Umberto Lenzi (1970) Esperienze prematrimoniali di Pedro Maso (1972) Fiorina la vacca di Vittorio De Sisti (1972) Un solo grande amore di Claudio Guerin Hill (1972) L’amante adolescente di Pedro Maso (1973) Le monache di Sant’Arcangelo di Domenico Paolella (1973) Paolo il caldo di Marco Vicario (1973) Tutti figli di Mammasantisima di Alfio Caltabiano (1973) Appassionata di Gian Luigi Calderone (1974) Romanzo popolare di Mario Monicelli (1974) La segretaria di Paco Lara (1974) Un beso ante de asconderme di Mario Camus (1975) Léonor di Juan Luis Buñuel (1975) Come una rosa al naso di Fanco Rossi (1976) Il mio primo uomo di Mario Camus (1976) L’ultima donna di Marco Ferreri (1976) Eutanasia di un amore di Enrico Maria Salerno (1977) Morte di una carogna di George Lautner (1977) I nuovi mostri di Mario Monicelli, Dino Risi ed Ettore Scola (1977) Primo amore di Dino Risi (1977) Ritratto di borghesia in nero di Tonino Cervi (1977) La stanza del vescovo di Dino Risi (1977) Giallo napoletano di Sergio Corbucci (1979) La vita è bella di Grigorij Cuchraj (1979) Il bisbetico domato di Castellano e Pipolo (1980) Flash Gordon di Mike Hodges (1980) Innamorato pazzo di Castellano e Pipolo (1981) Nessuno è perfetto di Pasquale Festa Campanile (1981) Per amore e per denaro di James Toback (1981) Storie di ordinaria follia di Marco Ferreri (1981) L’ultimo libro di Gordiano Lupi: “Storia della commedia sexy all’italiana, volume 1 – Da Sergio Martino a Nello Rossati”, Sensoinverso Edizioni 2017 Navigazione articoli ADDIO A ER MONNEZZA LIBBY NELLA RIVISTA EROTICA DEI SUPEREROI
[…] come Montesano, Pozzetto, Manfredi, Villaggio, Banfi, Boldi, Ciavarro. Molte belle donne come Muti, Parisi, Grandi e Antonelli. Il risultato è pessimo: una serie di sketch a incastro ambientati in […] Rispondi
[…] film tratto dall’omonimo romanzo di Vitaliano Brancati. Il cast femminile è di tutto rispetto: Ornella Muti, Enrica Bonaccorti, Rossana Podestà, Adriana Asti, Barbara Bach, Orchidea De Santis e chi più ne […] Rispondi
[…] di quelle produzioni messa in piedi quasi esclusivamente sul nome degli attori (Paolo Villaggio e Ornella Muti all’apice del successo), o forse proprio per questo, permette a Steno di creare la sua situazione […] Rispondi