In questi giorni di lutto per la morte del papa, nell’imminenza dell’elezione del successore di Francesco, qualcuno torna a parlare del Pontefice come di un capo di Stato, immaginando che non lo Spirito Santo, ma più prosaici intrighi di palazzo, influenzeranno la scelta del nuovo leader religioso.
Alcuni temono che dopo Bergoglio, ostile al lusso e allo sfarzo del Vaticano, si possa tornare in un certo senso ai tempi del Papa – Re; tempi che in fondo non sono poi così lontani nella Storia, dato che il Regno pontificio cessò di esistere come tale solo nel 1870.

Prendiamo allora spunto da queste riflessioni per parlare di una figura che, nel campo del fumetto, ha sempre avuto una certa attrattiva: quella del boia.

E lo facciamo parlando proprio del “Boia dei papi”; al quale, però, arriveremo prendendo il discorso un po’ alla lontana, e ricollegandoci idealmente alla serie sui Mestieri nei fumetti, pubblicata su queste pagine qualche mese fa.

Partiamo allora dalla piccola casa fiorentina Nerbini, il cui principale merito, come è noto, fu di editare per prima in Italia una pubblicazione periodica dedicata a Topolino, con l’omonima testata del 1932, e poi di proporre due anni dopo, con la storica testata L’Avventuroso, il meglio del fumetto americano di quegli anni, con personaggi come Flash Gordon e Mandrake.

Non tutti sanno che la Nerbini non disdegnava di pubblicare libri dei più svariati argomenti; anzi, il suo fondatore Giovanni, prima di scoprire i comics, aveva stampato di tutto, per lo più in edizioni popolari, compreso “Il Capitale” di Marx ed altre opere di ispirazione socialista.

Quando a proseguire l’attività fu incaricato il figlio Mario, la casa editrice continuò ad alternare fumetti, narrativa a fascicoli e libri di vario genere. Qui di seguito, a titolo di curiosità, ne mostriamo tre, l’ultimo dei quali ci introduce all’argomento di cui vogliamo parlare, e ci consente di stabilire qualche collegamento con fumetti più moderni, sino ad arrivare a uno apparso da pochissimo nelle edicole.

Questo “Io ti insegno ad amare”, del 1927, facente parte di una serie intitolata Collana di insegnamenti pratici, cerca di dare un colpo al cerchio e uno alla botte; l’autore apre la prefazione affermando: «ci ripugna l’eterno tentativo di violare la castità, di guastare il buon costume»; ma poi sembra aprire a idee nuove, quando afferma: «vi son divieti, remore, inceppi, che fino a ieri potevan essere prescritti, imposti, ed a cui sia l’anima, siano le facoltà corporee potevano sottostare; oggi si può emanare da questa nuova, nuovissima fioritura di tendenze, di attività, di gioje, di desideri, di spasimi, un bisogno insopprimibile di nuove modalità, di altre emanazioni, di altre applicazioni…». Chi voglia capire di che emanazioni si tratti, troverà il libro su ebay.

“Il magistrato folle” è un’opera di Hans Land, tradotta dal tedesco, apparsa nel 1942 nella collana I romanzi del disco azzurro; narrando la storia di un serioso pubblico ministero, sposato e avanti con gli anni, che perde la testa per una bellissima ragazza conosciuta come testimone in un processo, sembra porsi nel solco di romanzi come “Professor Unrat” di Heinrich Mann, da cui fu tratto il celebre film “L’angelo azzurro” di Josef von Sternberg con Marlene Dietrich; ma in realtà il romanzo apparve in Germania nel 1894, 9 anni prima del libro di Mann. Forse i tedeschi sono particolarmente appassionati al tema dell’uomo che si umilia e si riduce a zero per amore di una donna.

Con il terzo libro arriviamo finalmente al punto; si tratta della (apparente) autobiografia di “Mastro Titta”; è proprio lui il boia dei papi, il protagonista di queste note, l’uomo che, nella Roma dello Stato pontificio, aveva il poco piacevole compito di eseguire le condanne a morte.

Secondo le fonti storiche operò per ben 68 anni, tra il 1796 ed il 1864. La sua autobiografia, però, è considerata un falso; apparsa per la prima volta presso l’editore romano Perino nel 1891, è stata più volte ripresa in epoca successiva; l’edizione nerbiniana si caratterizza soprattutto per le illustrazioni di Tancredi Scarpelli, che molto lavorò per la casa fiorentina.

Se le fonti storiche reali su Mastro Titta sono molto modeste (l’anonimo estensore delle “Memorie” si basò verosimilmente su uno scarno manoscritto del boia, rinvenuto dallo studioso Alessandro Ademollo, poco più che una lista di tutti i condannati che aveva spedito all’altro mondo), la curiosità che la sua figura ha ispirato ha lasciato tracce di sé nella letteratura, nel cinema, nel fumetto; vi è un’ampia bibliografia sul personaggio, con testi anche recenti e facilmente reperibili.

Un volume particolarmente interessante è “I pazienti di Mastro Titta”, di Giovanni Biancardi, pubblicato nel 2022 da Palombi Editori, che cerca, con fonti praticamente inedite, di dare nuova dignità alle vittime della pena di morte pontificia, sfrondando i loro casi dalla torbida fantasia che l’autore delle “memorie” vi aveva appiccicato per fare presa su un pubblico di bocca buona.

Ovviamente Mastro Titta dispone, come ormai quasi chiunque, di una voce su Wikipedia, dove, oltre alla figura storica dell’uomo Bugatti, di cui ben poco si sa, si esaminano le sue apparizioni nella letteratura e nella cultura di massa. Consultata alla data di redazione di queste righe, la voce enciclopedica cita come riferimenti letterari alcuni sonetti di Giuseppe Gioachino Belli, il grande poeta dialettale romano dell’Ottocento, e le lettere dall’Italia di Charles Dickens, l’ inglese autore di “David Copperfield”. Nel teatro è citata la commedia musicale “Rugantino” (1962) di Garinei e Giovannini, e la sua versione cinematografica del 1973 (nella quale Paolo Stoppa interpreta il ruolo dei boia, anche se le star del film sono Adriano Celentano e Claudia Mori). Nel cinema è ricordato il regista Luigi Magni, autore di più di un film ambientato nella Roma papalina, tra cui “Nell’anno del Signore”, del 1969, ove Mastro Titta compare nella parte finale.

La voce non contiene riferimento ai fumetti; proviamo allora a colmare questa piccola lacuna con qualche segnalazione.

Francesco Artibani e Ivo Milazzo, rispettivamente ai testi e ai disegni, sono gli autori di “Il boia rosso”, una serie in due volumi proposta originariamente sul mercato francese con titolo “Le maître Rouge”; i due tomi escono presso la prestigiosa casa editrice Les Humanoïdes Associés, entrambi nel 2006.

Qui il boia viene chiamato Giovanni Battista Mori, anziché Bugatti, e si immagina per lui una sorta di attività parallela di investigatore. Artibani, in una intervista, racconta di aver raccolto moltissimo materiale sul vero Mastro Titta, di essere arrivato a disturbare il comandante delle Guardie Svizzere in Vaticano e ad acquistare un mezzo baiocco del 1840 solo per avere sottomano una vera moneta dell’epoca. Le vicende narrate nella serie sono, di base, romanzesche, ma l’idea di affidare un ruolo di investigatore non a un poliziotto, né a un sostituto procuratore, ma a un boia, è sicuramente originale.

Nella vicenda narrata nel primo volume, Mori – Bugatti rischia di dover uccidere una persona che, in base alle sue stesse indagini, è in realtà innocente. Si tratta di un topos ricorrente nel fumetto e nella narrativa; si pensi alla striscia americana del Judge Wright, nota da noi come Giudice Morris, dove, nel primo episodio, è proprio il magistrato protagonista a svolgere indagini per salvare un imputato innocente, che la giuria ha dichiarato colpevole, imponendo al giudice la condanna a morte.

La serie ha avuto varie vicissitudini; i francesi Umanoidi avrebbero dovuto pubblicare altri due volumi per chiudere la saga, ma non lo fecero, anche per varie traversie editoriali. Gli autori cercarono di pubblicare la serie in Italia, ma l’editrice Lizard, nel 2007, la propose solo in bianco e nero e in piccolo formato, mortificando i disegni di Milazzo. Inoltre Artibani aveva chiesto proprio a Luigi Magni di scrivere una prefazione, ma il grande regista aveva rifiutato sdegnato, affermando che per lui il boia dei papi rappresentava il simbolo di un governo autoritario, lontano anni luce da ciò che un governo ispirato da Dio dovrebbe realizzare in terra. Bisognerà aspettare il 2018 per avere i due volumi in un unico tomo, nel formato originale e a colori, in versione italiana, a opera di Nicola Pesce Editore.


Nel 2017 è la Sergio Bonelli Editore a proporre la Roma papalina dell’Ottocento come (inconsueta) ambientazione per una serie regolare a fumetti, che vince un mucchio di premi ma ha scarso successo di vendite e chiude con il n. 16. Il protagonista della serie si chiama Mercurio Loi, è un professore universitario, e sembra muoversi a suo agio tra i misteri di una città dove agiscono nobili, carbonari e personaggi decisamente eccentrici.

Il boia dei papi viene citato sin dal primo numero della serie, allorché si narra che il giovane Ottone, aiutante di Mercurio Loi e membro della carboneria, ha ucciso un innocente, per errore di persona, volendo invece attentare proprio alla vita di Mastro Titta, visto come malvagio esecutore di altrettanto malvagie volontà dei papi.

E veniamo ai nostri giorni. La Aurea Editoriale, una delle poche a credere ancora nel fumetto “da edicola”, ha pubblicato “La porta alchemica” di Riccardo Torti, un albo che riproduce una storia già apparsa nel 2010 a puntate sulla rivista Lanciostory.

La storia si sviluppa intorno all’idea che, tra le rovine della città di Roma, al cui restauro lavorano dei giovani archeologi, esistano dei portali in grado di mettere in comunicazione la realtà attuale con quella dell’Ottocento. Attraversando uno di questi portali, il protagonista del fumetto riesce a incontrare il già citato Giuseppe Gioacchino Belli, ma si trova coinvolto in una complessa vicenda vagamente ucronica, e non sempre chiara da seguire, nella quale a un certo punto fa la sua apparizione anche il famigerato boia.

Per un curioso contrappasso, considerato appunto che il boia avrebbe dovuto far saltare la testa ai giovani archeologi precipitati “dall’altra parte”, l’autore sceglie di rappresentarlo in prima battuta in una vignetta che elimina parzialmente proprio la testa… va detto comunque che, secondo fonti storiche, Mastro Titta utilizzava vari strumenti per uccidere i condannati, e quello raffigurato nella vignetta non era certamente il più orribile…

Il portale utilizzato dai protagonisti di questo curioso fumetto potrebbe essere ispirato alla Porta Magica, un monumento ben noto agli appassionati di esoterismo, romani e non, oggi seminascosto nei giardini di Piazza Vittorio. La necessità di isolarlo da eventuali atti di vandalismo lo ha reso poco fruibile, chiuso com’è da una cancellata che rende anche difficile fotografarlo (ma immagini migliori si possono trovare sulla Wikipedia).


(Foto dell’Autore)

 

Dal punto di vista editoriale, l’idea di recuperare, e proporre in agili volumetti, di quel formato che si suole chiamare “bonelliano”, storie apparse anni fa a puntate sulle testate-contenitore Skorpio e Lanciostory e ormai irreperibili, è certamente valida; in questo caso però non sappiamo quanto ne sia stato contento l’autore, il cui tratto, qui ancora crudo, ha certamente avuto una grande evoluzione negli anni, tanto da essere entrato a far parte dello staff di disegnatori della celebre collana Dylan Dog.

Abbiamo più volte definito Mastro Titta “boia dei papi”; va detto, però, che egli esercitò il suo poco simpatico compito anche tra il 1809 ed il 1814, quando Napoleone occupò Roma e Pio VII fu deportato oltralpe; a testimonianza del fatto che, vuoi sotto gli ideali illuministici della Rivoluzione francese, vuoi sotto l’oppressivo controllo del Papa – Re, la soluzione al problema della criminalità era sempre e comunque un’altra forma di violenza.

Una violenza dalla quale, anche nell’Anno del Signore 2025, non sembra facile riuscire a liberarsi.

 

 

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