I peggiori film sui supereroi, già… Quando erano ancora film di supereroi e non cinecomics. Difficile, con il senno di poi, non accorgersi della grottesca ironia della situazione. Com’è che si dice, fai attenzione a ciò che desideri perché potresti ottenerlo, giusto? Appunto: chi, all’epoca, quando vide il Batman di Tim Burton non pensò “Ci vorrebbero più film così”. “Molti di più”. Eh… Perché, in fondo, cosa c’è di più figo dei supereroi? Già, manco a farlo apposta, con quei due film Burton scoperchiò il Vaso di Pandora. Mentre noi abbiamo ottenuto ciò che desideravamo. Peccato che ‘sta cosa somigli più a una di quelle ironiche punizioni da inferno dantesco. Un esempio? Senza tornare al pleistocene, ma giusto al 2008. Quando si diede il via alla Fase 1 (Avengers Assembled) del Marvel Cinematic Universe con Iron Man. Da allora, in appena-appena quindici anni sono usciti la bellezza di 33 film. Se poi ci vogliamo ficcare nel mezzo pure quelli della Dc, allora arriviamo a un totale di 48. 48 film in quindici anni senza contare serie e seriette tv di varie forme, misure e colori. Oggi i film sui supereroi pare siano le fonti primarie dell’intrattenimento cinematografico e dei box office: i giorni in cui i supereroi erano considerati robaccia campy e non robe da farci i fantastiliardi sono passati. Passati, ma non dimenticati. Il ritorno del mostro della palude (The Return of Swamp Thing – 1989) Partire con The Return of Swamp Thing è la cosa più giusta, visto che siamo lì lì agli albori dei 90’s. Il fumetto di Swamp Thing nasce nel 1971, riscuotendo subito un certo successo. Nel 1982 ne fecero un film con Adrienne Barbeau – sì, la Maggie di 1997: Fuga da New York – diretto da Wes Craven. Certo, non è che fosse chissà quale grande capolavoro, ma è ancora oggi un film abbastanza piacevole da guardare. Passano otto anni e viene fuori un seguito. Stavolta la regia è affidata nientepopodimeno che a Jim Wynorski. Eh… il quale, insieme a Roger Corman e Charles Band, è uno dei grandi nomi del panorama B-Movies. Infatti Il ritorno del mostro della palude è proprio questo: un assurdissimo b-movie in cui, con la delicatezza di un ippopotamo, Wynorski orchestra un’oretta e mezza scarsa di pura assurdità. Tutto è eccessivo, ridicolo e senza senso. Neanche per un attimo è stata presa in considerazione l’idea di provare a mettere in scena qualcosa di vagamente serio. Il film pare più un seguito di The Toxic Avenger della Troma. Cosa che volendo, “molto volendo”, lo rende piuttosto divertente da guardare. Tutto sommato. Capitan America (Captain America – 1990) Lo stesso discorso lo si potrebbe fare per il film Captain America del 1990. Più o meno. Nel senso: è un film divertente? Certo. Per tutti i motivi sbagliati, però. Difatti questo è l’esempio perfetto di come non fare un film di supereroi. I diritti per realizzare ‘sta patacca vennero acquistati dalla Cannon nel 1984, che poi mise da parte il progetto, giusto il tempo d’affossarsi con i film di He-Man e Superman e poi andare in bancarotta. Così, andò a finire che nel 1989 la Cannon stava praticamente con il culo a terra. Il produttore Menahem Golan lasciò la società portandosi dietro sia i diritti del film su Captain America sia Albert Pyun, già ingaggiato per dirigerlo. Risultato? Un film girato drammaticamente al ribasso e pietosamente ridicolo. Tanto per capirci, bello Captain America con le orecchiette finte di gomma, eh? Il motivo di ‘sta zozzeria sta nel fatto che Matt Salinger non poteva tener fuori le sue perché il costume era fatto talmente tanto a monnezza da tagliarlo a sangue. Invasori dalla IV dimensione (Doctor Mordrid – 1992) Qui il brodo si allunga leggermente e c’è bisogno di fare una premessa. Questa storia del Marvel cinematic universe, cioè di un universo cinematografico condiviso e crossmediale non è roba di ieri o ieri l’altro. Il fatto che siano riusciti a concretizzarla solo in tempi recenti, sotto la gestione Disney, non cambia che la Marvel insegue, matta e disperata, questa idea da quasi cinquant’anni. L’unica cosa buona prodotta dalla Marvel in ambito televisivo/cinematografico all’epoca è stata la serie di Hulk con Bixby e Ferrigno, andata in onda per la prima volta nel 1978. Il successo di quella serie ha portato a tre film tv, pensati come trampolino per introdurre altri personaggi. Quindi, il primo è stato The Incredible Hulk Returns, in cui viene introdotto Thor interpretato da Eric Kramer, cioè Little John in Robin Hood – Un uomo in calzamaglia. Poi c’è stato The Trial of the Incredible Hulk, dove viene introdotto Matt Murdock/Devil interpretato da Rex Smith, il protagonista del telefilm Il falco della strada. L’ultimo, The Death of the Incredible Hulk, inizialmente progettato come un pilot backdoor per introdurre e poi lanciare un film su She-Hulk con Brigitte Nielsen. Progetto che alla fine non è andato in porto. Ora, visto che la serie di Hulk stava andando bene, sempre nel 1978, provarono a lanciare in parallelo un’altra serie con protagonista il Dottor Strange, lo Stregone Supremo della Marvel. O meglio: l’idea era quella di realizzare una serie, ma per farlo, girarono un film tv come pilot, anziché pensato come una produzione stand alone. Allora, se tanto mi dà tanto, il Doctor Mordrid qui, cos’è? Semplice: il film mai realizzato su Dottor Strange. In pratica, il pilot degli anni settanta prodotto da Marvel-Cbs-Universal era stato così uno schifo che abbandonarono l’idea di portare a schermo Strange. Poi, negli anni novanta, siccome non erano ancora cinecomics, ma film di supereroi molto distanti dall’essere le produzioni dal budget fanta-faraonico di oggi, per farli uno studio valeva l’altro. Appunto: la Full Moon Productions di Charles Band si aggiudicò i diritti per un film su Dr. Strange. Solo che dopo aver realizzato set, costumi e via dicendo, per una situazione non del tutto chiarissima, la Full Moon perse i diritti sul personaggio. Tuttavia, visto che Charles Band non è mai stato il tipo da perdersi d’animo e fare dietrofront, semplicemente cambiò nome ai personaggi, ficcò al volo un paio di elementi originali et voilà! Ecco il Dottor Mordrid. Il cugino povero del Dottor Strange. Un eroe fatto in casa (Blankman – 1994) Aperta e chiusa parentesi: Blankman (con protagonista Damon Wayans, famoso da noi per la sitcom Tutto in famiglia) è un caso abbastanza singolare, se visto nell’ottica del proverbiale senno di poi. Nel senso che la storia di Blankman ruota attorno a un inventore ossessionato da Batman che decide di diventare un “supereroe”, dopo che sua nonna è stata assassinata. Così, il mite Darryl Walker diventa Blankman: il supereroe a più basso budget di sempre. Il film non era bello all’epoca, figuriamoci adesso. La maggior parte delle gag e delle battute sono terrificanti e fuori luogo. Così come un po’ tutto il resto del film. Infatti, Blankman fu un brutto fallimento sia di critica sia di pubblico. Tuttavia… La cosa strana sta nel fatto che in un periodo in cui i film sui supereroi cominciavano a prendersi sempre più drammaticamente sul serio, Wayans è andato in una direzione opposta, ispirandosi al Batman televisivo degli anni sessanta. Quella strana atmosfera ultra-campy ha portato questo film, paradossalmente, a invecchiare molto, molto meglio della maggior parte dei suoi contemporanei. Black Scorpion (Black Scorpion – 1995) Tornando al discorso di prima, c’è da dire che Band, nonostante il basso budget, ha sempre avuto la capacità di tirar fuori cose tutt’altro che scadenti. Talvolta addirittura innovative. In questo senso, Doctor Mordrid potrebbe dare l’impressione (molto forte) d’essere una porcheria sia sul piano fisico che su quello astrale. Invece è un film migliore di quanto ci si potrebbe aspettare in realtà. Il mitico Jeffrey “Re-Animator” Combs come Dottor Mordrid è fantastico. Così come tutto il resto è, come dire… più che dignitoso, in effetti. L’unico problema è dato dalla sua natura di rip-off. Dato che inizialmente era previsto un rating Pg (in fondo, si parla pur sempre di supereroi, eh) non avendo più limitazioni, Band ha cominciato a ficcarci dentro cose su cose, portando il film a un rating R. Cosa che rende Doctor Mordrid, un film piuttosto bizzarro e spesso caotico. Con Black Scorpion invece, le cose cominciano a farsi ignoranti. Di brutto. Se finora con i supereroi si sono cimentati personaggi del calibro di Pyun, Band e Wynorski, uno come Roger Corman poteva mai starsene in disparte? Non sia mai. “Volevo fare una specie di Superman/Spider-Man/Batman però femmina”, disse Corman e così fu. Insieme allo scrittore Craig Nevius, sviluppò il soggetto di Black Scorpion: un film allucinante, dai toni ispirati alla serie televisiva di Batman degli anni sessanta, mostruosamente campy e sopra le righe. Dove tutto è deliberatamente esagerato e assurdo. Aperta e chiusa partentesi: al di là del fatto che per fare questo Black Scorpion pare abbiano speso l’equivalente di un cornetto e due cappuccini, la cosa piuttosto assurda è un’altra. Cioè, girarono pure un seguito: Black Scorpion II – Aftershock. Da cui hanno tratto una serie a fumetti e poi una serie tv di ventidue episodi uscita nel 2001. Da cui a sua volta è stato tratto un altro film, Sting of the Black Scorpion, unendo gli episodi 1, 3 e 8 della serie tv. Se non è cavare sangue dalle rape questo… Vampirella (Vampirella: The Movie – 1996) Il pianeta Drakulon è un mondo abitato da vampiri che si nutrono di sangue. Il quale sgorga naturalmente come i fiumi e i mari della Terra. A un certo punto, il malvagio Vlad stermina il consiglio degli Alti Anziani e fugge a bordo di una nave spaziale. Tra le vittime, c’è anche il padre di Vampirella, la quale giura vendetta e insegue Vlad. Purtroppo, inseguendo-inseguendo, finisce che si schianta male su Marte e là rimane in animazione sospesa per trent’anni. Questo fino a quando una squadra di astronauti terresti ritrova la sua navetta. Giunta sulla Terra, Vampirella scopre che Vlad è diventato una rock star e quindi, per compiere la sua vendetta, si unisce ad Adam Van Helsing, nel tentativo di fermare il malvagio Vlad dal suo piano di portare una notte eterna sulla Terra. Eh… sì: è ‘na cazzata abbagliante. Però queste sono le vere origini di Vampirella. Una storia delle origini adattate e riadattate più volte nel corso degli anni, certo. Intanto, quando il personaggio apparve per la prima volta come fumetto nel 1968, questo era il suo background. A ‘sto punto, inutile sottolineare l’ovvio, no, dicendo che questo è un altro capolavoro di Jim Wynorski e perciò pure più assurdo e delirante delle origini di Vampirella? Appunto: c’è Vampirella (Talisa Soto, la principessa Kitana di Mortal Kombat) che salva giovani nerd in pericolo che giravano, come andava di moda a quel tempo, di notte per vicoli bui con i loro comodi computer portatili. Oppure, il fatto che Vlad sia interpretato da Roger Daltrey. E no, non è un caso di omonimia. Quello è proprio Roger Harry Daltrey, il cantante degli Who. C’è bisogno di aggiungere altro? Generazione X (Generation X – 1996) Forse la cosa più brutta in assoluto degli anni novanta era l’irritante e tristemente palese sconnessione di certi autori da quasi ogni tipo di realtà contestuale. Succede sfortunatamente troppo spesso e più del necessario anche oggi, e qui uno si accorge che ci sono autori sì-sì e autori no-no. Ci sono autori che si concentrano, si impegnano nella creazione di personaggi e del percorso che devono seguire/attraversare in modo da ottenere una trasformazione emotiva significativa durante lo svolgimento della storia e costruire così caratteri complessi e realistici. Poi ci sono “autori” che si aggrappano disperati con le unghie dei piedi a qualsiasi miserabile cazzata pur di portare a casa la giornata. Tipo, all’epoca di Disney Club (il contenitore con i cartoni animati Disney in onda sulla Rai nei primi anni novanta) tra i programmi c’era Quack Pack. Probabilmente il peggior prodotto Disney di quel periodo. Proprio perché fatto da gente, “autori”, che tentavano disperatamente di essere “alla moda”. Di essere “cool”. Perché, hey! Loro erano in contatto con i giovani. Li capivano. Appunto: concentrarsi sulle storie? Dare al pubblico un prodotto di qualità? Ma quando mai. Va’, schiaffagli un paio di occhiali da sole, mettigli lo skateboard, falli rappare, ché il rap, oh, fa tendenza ed ecco qua, hai risolto. Generation X è la stessa identica cosa. Per la serie apri tutto e smarmella: indisponenti filtri al neon sparati a palla senza senso, un po’ di blur perché ci sta, poi zoom veloce, stacco, zoom veloce, stacco, piano olandese, zoom veloce, fermo immagine, negativo e hai fatto. Ecco la serie fatta apposta per i giovini. Steel (Steel – 1997) Allora, qui ci sono due cose da specificare: in primis, “La morte di Superman”. Uno degli archi a fumetti più venduti di tutti i tempi. In secondo luogo, Shaquille O’Neal. Uno dei giocatori più famosi e dominanti sul piano fisico nella storia della Nba. Il punto è che presi singolarmente, Superman e Shaq sono due icone assolute. Nel momento in cui li metti assieme… Quindi, succede che nel 1992, scritta da Louise Simonson, Jerry Ordway, Karl Kesel, Dan Jurgens e Roger Stern, la Dc se ne viene fuori con ‘sta storia de “La morte di Superman”. Cosa che porta a diverse trame a fumetti, come “L’Ascesa dei Supermen”, in cui fecero la loro comparsa diversi personaggi, diciamo “candidati”, va, in lizza per occupare il posto vacante lasciato da Clark Kent. Ecco, tra questi c’era pure Steel, una specie di versione ispirata a Superman e via di mezzo fra Batman e Iron Man. Steel, in sé, non è che sia un brutto personaggio. Ecco, perciò qual è la cosa peggiore che potrebbe accadere in un’eventuale trasposizione cinematografica? Esatto: Shaq. Perché per quanto Shaquille O’Neal fosse un campione nel suo sport, era un cagnaccio che latrava disorientato davanti alla macchina da presa. E un protagonista assolutamente incapace di recitare non è manco il problema più grave. Steel è un film terribile perché confezionato apposta su e per una celebrità. Nel senso che Shaquille O’Neal è un grande fan di Superman e perciò, avendo credito, disponibilità e possibilità, decise di portare a schermo quella che sostanzialmente era fra le versioni più vicine possibili all’uomo d’acciaio. Sì, tutto sommato le buone intenzioni c’erano e nonostante tutto, pure un impegno legittimo alla base del film. Il problema è che queste cose, da sole, non bastano. Non bastano a salvare un film che sotto ogni altro aspetto è atroce. Justice League of America (Justice League of America – 1997) Traumatizzante. Non c’è altro modo per definire questo pallido tentativo di fare un film sulla Justice League. Anche se ci sarebbe da specificare che ‘sto grottesco pastrocchio di poco meno di un’ora mezza sarebbe a conti fatti un pilota. L’ennesimo, perché l’intenzione alla base era quella di realizzare una serie tv. In linea di massima, visti gli straordinari risultatoni avuti con gli adattamenti dei supereroi in quegli anni, il regista Félix Enríquez Alcalá, chiaro non abbia capito una beata mazza. Né dei media che stava andando a unire, né tanto meno il materiale a disposizione. Al contrario, prende e trasforma le avventure della Lega in una sit-com. Una sitcom di quelle scrause che arrivano a durare manco dieci episodi. C’erano infinite scelte a disposizione, ma il nostro Alcalá cosa sceglie? Di fare schifo. Realizza qualcosa di profondamente brutto, nel tentativo di fondere azione e commedia. Riusce incredibilmente a fare cagnara e a confondere l’uno con l’altro. Nick Fury (Nick Fury: Agent of S.H.I.E.L.D. – 1998) Per concludere in bellezza, ta-daaaà! Nick Fury: Agent of Shield. Perché, dai: c’è David Hasselhoff. Nel film lui è Nick Fury ed è bellissimo il fatto che sembri costantemente ubriaco. In sé, volendo, la trama non è malaccio. In pratica Nick Fury è richiamato in azione dopo un pensionamento di cinque anni. La sua missione è fermare Viper (Sandra Hess), la figlia del Barone Von Strucker, la quale ha in mente di rilasciare un virus mortale su Manhattan. Una storia semplice e tutto sommato solida, insomma. Da classico action movie senza pretese da serata Friday in Action su Spike. Ora, anche se fisicamente è pressoché identico al Nick Fury “classico”, quello pre-Samuel L. Jackson, Hasselhoff è orribile. Orribilmente esilarante. Pare una buffa caricatura di Snake Plissken, anziché Nick Fury. Un peccato. Un vero peccato. Se l’attore principale pare (e con quel che è venuto fuori dopo, non “pareva” soltanto) uno che ha cominciato ad alzare il gomito alle 09:00 di mattina, perché il resto del cast dovrebbe sbattersi nel cercare di fare qualcosa di meglio? Nick Fury: Agent of Shield avrebbe potuto e forse dovuto essere veramente molto meglio di quello che è. Invece è solo un episodio di Baywatch Night che ci ha creduto troppo. Ebbene, detto questo direi che è tutto. Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.(Da Il sotterraneo del Retronauta). Navigazione articoli POCHI FILM SULLA FORMULA 1 SUPERGIRL E SHEENA: I FLOP DELLE EROINE
Alcuni li ho visti altri no, qualcuno non è mai arrivata in Italia, a mettere il Nick Fury in questo elenco proprio no non lo ritengo per l’epoca fatto benissimo sicuramente più Fedele al fumetto di quello di adesso Rispondi