L’America del Nord di inizio Ottocento deve essere stata uno spettacolo incredibilmente affascinante per gli occhi di un europeo. Paesaggi incontaminati da costruzioni, da mezzi, persino da uomini. Praterie sterminate, fiumi impetuosi, giganteschi canyon, foreste apparentemente infinite, una natura pericolosa eppure per molti versi intrigante, invitante, paradisiaca. Poi arrivano le carovane di coloni, i cowboy, le polverose cittadine di frontiera, e si creano nuovi miti, affascinanti e pericolosi quanto la natura stessa: i pistoleri, i rumorosi saloon, le silenziose cavalcate nella prateria, le cariche di cavalleria, i villaggi indiani. Un serbatoio infinito di immagini, di emozioni, di storie. Non meraviglia, quindi, che molti pittori si siano innamorati di questo inesauribile contenitore di spunti visivi e si siano sforzati di trasferirne il potenziale sulla tela e sulla carta. O quantomeno ci abbiano provato. Prima dell’avvento della fotografia, e per qualche decennio in competizione con essa, sono matite e pennelli a “raccontare” la Frontiera a chi non c’è ancora stato. Tra i primi ad affrontare l’invitante compito ci sono i pittori della Hudson River School, un movimento artistico americano della metà dell’Ottocento. Il nome deriva dall’abitudine dei fondatori di dipingere nella valle del fiume Hudson e zone limitrofe. Man mano che gli artisti aumentano, si amplia anche il loro raggio d’azione. Si tratta di pittori influenzati dal romanticismo europeo, ma anche dalla religione, poiché ritengono che la natura sia una meravigliosa manifestazione divina. Per questo motivo il loro realismo tende a idealizzare la natura, per renderla ancora più bella, più mistica di quanto effettivamente sia. Le loro immagini sono imponenti rappresentazioni di territori immensi, dalla vegetazione rigogliosa, sovrastata da cieli colmi di nuvole attraverso le quali si fa strada una luce che ha del divino. Tra i molti artisti della scuola citiamo almeno Thomas Cole (1801 – 1848) e George Inness (1825 – 1894). Il primo, inglese naturalizzato statunitense, è considerato il fondatore della Hudson. Il secondo, uno degli ultimi artisti della scuola, è stato estremamente prolifico con centinaia di quadri al suo attivo. Thomas Cole Nella prima metà dell’Ottocento parecchi pittori sono dei “documentaristi” ingaggiati dal governo americano per immortalare eventi di una certa importanza. Un grande Stato in formazione si sforza di fissare su tela i momenti importanti del presente perché entrino a far parte della Storia. Così il Governo ingaggia James Otto Lewis (1799-1858), al quale viene richiesto il dipinto “View of the Great Treaty Held at Prairie Due Chien” che documenta l’incontro tra rappresentanti di alcune tribù indiane e i rappresentanti degli Stati Uniti, avvenuto nel 1825, per la firma di un trattato. Sulla scena svetta una bandiera americana. A Charles Bird King (1785-1862) viene commissionata dal Bureaus of Indian Affairs (l’Ufficio per gli affari indiani) una serie di ritratti di capi indiani in visita a Washington.Su richiesta del Parlamento americano, Seth Eastman (1808-1875), ufficiale e insegnante di disegno all’accademia di West Point, dipinge diversi quadri sul tema della Frontiera per decorare la Camera dei Rappresentanti (la camera bassa del Congresso degli Stati Uniti). Poi ci sono le spedizioni governative dirette verso l’interno dell’America, a inizio Ottocento in buona parte ancora poco nota e da cartografare. Pittori e fotografi si aggregano alle prime esplorazioni verso il semisconosciuto West, spedizioni utili anche per conoscere le popolazioni autoctone e per individuare potenziali vie commerciali.Durante il viaggio, gli artisti immortalano paesaggi, popoli e scene significative e talvolta vendono quelle immagini anche alle riviste. Tra questi artisti “itineranti” c’è il tedesco di nascita Albert Bierstadt (1830-1902). Appartenente alla Hudson River School, nei suoi quadri Bierstadt interviene non poco per “migliorare” la natura. Virtuoso del pennello, nelle sue imponenti rappresentazione del West sembra quasi mettere in scena una lotta del bene contro il male, entrambi rappresentati sotto forma di eventi naturali. Certo è che nelle sue tele l’osservatore pare quasi perdersi, mentre le figure umane e animali sono spesso tanto piccole da apparire quasi invisibili nell’immensità della Natura. Albert Bierstadt Dopo i pittori “romantici” e amanti della natura, arrivano quelli attirati dal miti della frontiera, come Frederic Remington (1861 – 1909). Figlio di un eroe della Guerra civile americana e di una giovane borghese, Remington ha una innata passione per i cavalli, per le cose militari e per il West. Quando si reca nella Frontiera, questa è quasi al suo crepuscolo: la Guerra civile è passata, le guerre indiane sono finite. Fa comunque in tempo a rappresentare gli ultimi momenti del selvaggio West. Frederic Remington Suoi soggetti preferiti sono cowboy e indiani, cariche di cavalleria, burrascose cittadine. Si stacca dalla tradizione romantica dei predecessori preferendo un maggiore realismo e puntando lo sguardo più sulle persone che sui paesaggi. Per gli sfondi utilizza colori pastello, tinte chiare, tratti poco marcati. Le figure umane sono maggiormente dettagliate e rappresentate con colori più vivi. Uno dei suoi punti di forza consiste infatti nei particolari: i vestiti, le armi, gli accessori sono studiati e riportati con fedeltà sulla tela, ma anche nelle sculture, dato che l’artista eccelle anche in questa forma d’arte. Secondo per fama a Remington è Charles Marion Russell (1864 – 1926), che si guadagna il soprannome “artista dei cowboy” realizzando più di duemila dipinti western. Russell sperimenta di persona la vita da mandriano e per un certo periodo vive anche con gli indiani. Comincia quasi per caso a dipingere e, riscontrato un certo successo, ben presto si dedica completamente a tale attività. Si segnala per il realismo delle sue opere (dopotutto dipinge persone e situazioni che in buona parte conosce personalmente) e per un uso significativo del colore. Arriviamo a Newell Convers Wyeth (1882 – 1945), meno monotematico dei suoi predecessori, dato che il West è solo uno dei tanti argomenti della sua attività artistica (indimenticabili, per esempio, le sue illustrazioni di pirati per il romanzo “L’isola del tesoro”). La sua attività si divide tra pittura e illustrazione, che lo stesso Wyeth si premura di differenziare. Newell Convers Wyeth Pur essendo un pittore di matrice realistica (anche lui sperimenta personalmente la vita di frontiera), i quadri di Wyeth sono pervasi da una luce e da un’atmosfera tali da conferirgli un aspetto epico. E se alcune scene sono movimentate dalla frenesia di una cavalcata di cowboy, in altre domina la placida calma di una canoa che scivola sull’acqua di un fiume o di un paesaggio privo di presenze umane. Newell Convers Wyeth Ben presto a rappresentare il Far West arrivano le illustrazioni di romanzi e racconti, che con il passare del tempo sono destinate a sostituire i dipinti. Tali immagini acquistano sempre maggiore popolarità presso il grande pubblico meno sofisticato, soprattutto grazie a prodotti editoriali a basso costo che contengono racconti brevi o storie a puntate: le dime novel (albi così chiamati perché venduti venduti a dieci centesimi) americane e le penny dreadfuls (albi a un penny) inglesi. In Usa queste pubblicazioni, spesso sempre a carattere western, nel Novecento sfoceranno nei magazine pulp, dove le immagini rivestono una grande importanza. Ma questa è un’altra storia e, probabilmente, la racconteremo in futuro.(Da Capitan Miki, If Edizioni) Navigazione articoli BIANCA MARIA SCAPARDONE: SESSO E DELITTO NEL RINASCIMENTO MILANESE ARABIA SAUDITA, IL REGNO DELLE SABBIE
Sarà una mia impressione ma mi pare che l’articolo non metta bene in luce una differenza fondamentale tra i pittori che si recavano nell’Ovest inesplorato alla ricerca di una natura incontaminata ma anche di una forma “concorrenziale” con i colleghi europei che, nella prima parte dell’Ottocento, andavano verso i paesaggi dalla foresta nera a quelli africani, indiani dell’india ecc, scalando vette e viaggiando al fianco degli esploratori coloniali e degli eserciti. A mio parere non esiste in questi pittori una concezione del West, del Western e della Frontiera. Sono artisti alla ricerca di se stessi e spesso grandissimi artisti. Gli stessi ritratti dei capi indiani che, già dal tempo della guerra dei Sette Anni, essi forniscono, non è un materiale legato alle prime guerre di sopravvivenza del popolo rosso ne tantomeno al loro ruolo nella guerra ma ritratti di grandi capi, figure mitiche, personaggi eccellenti, da far conoscere sempre al mondo europeo dove erano sconosciuti al mercato della cultura inteso come scambio di idee e non come speculazione finanziaria. Infatti altri pittori, e in qualche caso gli stessi, penetravano l’India e raffiguravano i capi dei tanti staterelli che distingueva quella pre-colonia notando, è citato in molti diari, come gli indiani d’america si differenziassero per una loro maestà che si era conservato da millenni e non era stata condizionata da querre per il potere e mutazioni di tradizioni nel vestiario e nelle correnti urbanistiche locale, ma semmai soltanto per la sopravvivenza, soprattutto contro il freddo nel Canada primordiale e nelle coste dell’Oregon dove i totem di quelle tribù isolate, con le foreste alle spalle e il mare dinanzi, hanno fornito ispirazione anche al cubismo e all’astrattismo influenzato dalle culture primitive dai tempi di Modigliani a Braque, Picasso e ancora fino agli anni Cinquanta anche in Italia. I pittori del West invece, i veri pittori del West che hanno contribuito a creare il western e a cui vanno necessariamente affiancati i fotografi che compirono la loro esplorazione dallo stesso tempo storico, illustrano un mondo che si è già formato, dove i genocidi dell’America della costa dell’est si sono già compiuti e i genocidi della valle dell’Ohio ancora abitata da nazioni native civilissime (dotate di un loro alfabeto e di una concezione urbanistica delle loro città da far invidia ai pionieri) si realizzavano con la complicità, ingenua forse, della “cultura” americana che sostiene i bianchi. Infatti non ne troviamo tracce, se non qualche illustrazione su copertine di riviste geografiche o dime-novels, nel portofolio di alcuno dei nomi più o meno celebri e celebrati in seguito dalla nazione americana. A questo punto, per quanto penetrino verso il Pacifico, non raffigurano che le tribù, non più le nazioni, che sono sopravvissute al massacro e o non combattono ancora ma vi sono molto vicino o combatterranno inultilmente per sopravvivere. Inventano l’episodica dei racconti western, delle rappresentazioni teatrali western ed infine del cinema e del fumetto. Per quanta poesia essi possano ispirare o ne siano ispirati non a caso oggi sono considerati alla stregua di Fenimore Cooper o John Ford, grandi artisti della letteratura (Cooper certo di meno) e del cinema i quali, per quanto grandi, hanno uno praticamente inventato (per quanto ci fosse già una narrativa e una rappresentativa su palcoscenico da prima ma mai resa famosa come da lui) o reso monumentale un western per i bianchi, fatto dai bianchi, diffuso dai bianchi. Ma, anche se si fossero schierati con i pellerossa, rimarrebbero immensamente diversi dai pittori di scuola europeista che vennero prima. Bisognerebbe poi considerare i pittori e le pittrice, i fotografi e le fotografe, che hanno immortalato il West dopo, tra la fine dell’Ottocento e la fine del West (esemplificato nella cattura di Geronimo nel 1896 e la dichiarazione della chiusura della Frontiera) iniziando una tradizione che continua ancor oggi e vede ancora oggi figure di enorme capacità intuitiva di un mondo americano che è stato di tutti. Non cito nomi perché l’Autore, per certo animato da competenza e onestà intellettuale, dovrebbe conoscerli e dedicarvi più articoli e non quella che, a mio parere, è solo una sintesi, utile fino ad un certo punto come tutte le sintesi. Inoltre, per finire, in una rivista come questa dove si parla molto di fumetto, non si può non accennare al passaggio o alla coabitazione (spesso negli stessi personaggi) tra la pittura del western del Novecento e l’illustrazione (popolare o meno) e il fumetto che, più ancora che negli Usa, si è diffuso su questa strada, senza esserne nemmeno veramente cosciente (almeno in Italia) soprattutto in Europa o nelle varie scuole a cominciare da quella argentina. Rispondi