I Cavalieri dello zodiaco sono un caposaldo nella vita di chiunque sia nato a cavallo degli anni ottanta e novanta. Una prova dell’ineluttabile importanza che i Cavalieri dello zodiaco rappresentavano nella vita dei giovini homo televisus? Invincibili guerrieri, valenti condottieri votati anima e corpo a Lady Isabel. Per diventare santi, per esser cavalieri han sostenuto prove di rara crudeltà. Ma orma-ai è giunto il momento. Chi vincerà-à l’armatura d’oro. Era circa il 1990 o giù di lì, quando su Odeon Tv, canale campionissimo dei pomeriggi adolescenziali del piccolo schermo risuonava con la sigla dei Cavalieri. Sono passati trent’anni da allora. E non prendiamoci in giro: manco l’hai letto invincibili, che già stavi cantando tutto il resto. Perché, in fondo… … I Cavalieri dello Zodiaco sono uno dei pezzi meglio conservati di quel puzzle sempre più sbiadito chiamato infanzia. La serie, intendo l’anime classico, è andata in onda la prima volta fra il 1990 e il 1991, e si concludeva alla Saga di Nettuno. Da lì in poi solo repliche fino alla totale scomparsa dai palinsesti. In Italia abbiamo dovuto aspettare fino al 2008, quasi diciott’anni, per vedere I Cavalieri dello zodiaco – Hades Chapter. La parte finale del manga, all’epoca non adattata per l’anime. Va da sé, quindi, con Toei Animation che spingeva il rilancio del marchio da un lato e Bandai che dava man forte producendo (costosissimi) pupazzetti a tutta forza dall’altro, che un nuovo film sui Cavalieri fosse solo una questione di tempo. Ma qualcosa di sinistro stava per accadere. La quasi leggenda del grande tempio I Cavalieri dello zodiaco – La leggenda del Grande Tempio, come prodotto in sé, a chi dovrebbe rivolgersi precisamente? Fan di vecchia data, magari? Intendo quelli più o meno sulla trentina che sono cresciuti con i Cavalieri. Oppure a una serie di “nuove leve” composte da ragazzini che non hanno la benché minima idea di chi siano Pegasus e soci? Se tanto mi dà tanto, a nessuna delle due parti. Semmai ‘sto film riesce nella non facile impresa di schifare contemporaneamente entrambi gli eventuali target. Ma facciamo un passo indietro. Nel 2004 uscì I Cavalieri dello zodiaco: Le porte del paradiso. Quinto film d’animazione dedicato alla serie e floppone di quelli belli pesanti. Sarebbe dovuto essere contemporaneamente un seguito diretto della saga di Hades e prologo di una futura, e mai realizzata, “Saga dei cieli”. Più che le porte del paradiso, ‘sto film aprì le porte della cagnara. Cagnara e tutta una serie di casini tra Masami Kurumada, l’autore del manga, e Shigeyasu Yamauchi, il regista del film, che facevano a scaricabarile su di chi era la colpa. Passano gli anni e nel frattempo a qualcuno viene un’idea brillante: facciamo un altro film de I Cavalieri dello Zodiaco. Però, stavolta facciamo un remake della serie classica e lo facciamo in CGI. Con questi presupposti cosa potrebbe mai andare storto? Cioè, a parte tutto? Chiunque si trovi a passare già da un po’ per queste coordinate, sa perfettamente come la penso riguardo i remake. Non sono necessariamente Il Male™ e, spesso, possono anche risultare migliori dell’originale da cui traggono spunto. Rifare la serie classica de I Cavalieri dello Zodiaco, magari espandendola e aggiornandola ai tempi moderni, è pure condivisibile come idea. Allora, dov’è il problema? Facciamoci due conti, va. La serie classica, quella che va dalla Guerra Galattica alla Saga di Nettuno, compresa la Saga filler di Asgard nel mezzo, conta centoquattordici episodi in tutto. Ora, settantatré, e sottolineo settantatré di questi episodi, riguardano l’armatura di Micene, il Grande Tempio e la corsa alle dodici case. Il più famoso arco narrativo della serie. Escludendo sigle e recap dell’episodio precedente, ogni puntata durava all’incirca venti minuti, ok? Ciò significa che la Saga del Grande Tempio conta millequattrocento minuti d’animazione. In altre parole, parliamo di ventiquattro ore di girato complessivo. Come puoi credere, anche solo per un secondo, di riuscire a riassumere, comprimere, oltre venti ore di girato in appena novanta minuti scarsi? Spoiler: non puoi. Tanto per dare una dimensione all’assurdità di una cosa del genere, basta prendere Il Signore degli Anelli. Pur escludendo tutto il superfluo, Peter Jackson c’ha messo tre film e oltre dieci ore per riassumere la storia a schermo. I Cavalieri dello zodiaco – La leggenda del Grande Tempio è l’equivalente dei tre film di Jackson, strizzati in un’ora e mezza. Cosa che, semplicemente, non può funzionare in alcun modo. Tornando al punto, cioè a quale dovrebbe essere il pubblico di riferimento, non ci vuole la scienza per capire che non può andar bene a nessuno. Ché nel caso in cui avessi dodici anni e nemmeno la più pallida idea di chi siano i Cavalieri, guardo La leggenda del Grande Tempio e continuerò, tranquillamente, a non capirci una beata mazza di niente. Condensare un arco narrativo dal respiro ampio in poco tempo, soprattutto quando comprende una pletora di personaggi diversi da rappresentare, ovviamente richiede dei “sacrifici”. Questo è normale. Ma qui storia, protagonisti e motivazioni, sono solo appena abbozzati. Quando non dati addirittura per scontati e glissati completamente. L’esempio più emblematico in questo senso riguarda Phoenix. Appare in sole due scene, che messe assieme non arrivano a tre minuti. Ma il bello è che il personaggio viene preso e buttato nel mezzo così, all’improvviso. Zero introduzione, zero spiegazione, zero tutto. Non conoscendo i personaggi e le loro storie, che diavolo mi dovrebbe rappresentate una cosa del genere? Perciò, siccome I Cavalieri dello Zodiaco – La leggenda del Grande Tempio dà, sommariamente, per scontati storia e personaggi, deve per forza essere indirizzato a me, over trenta cresciuto con i Cavalieri. Invece no. In quanto l’intera forma mentis con cui è stato realizzato il film è palesemente, inequivocabilmente, insindacabilmente adolescenziale. Non è solo una questione di faccette buffe (che buffe non sono) e gag da Cucciolone, di quelli particolarmente poco ispirati con battute più tristi del solito. Parlo proprio del chara design in generale. Con personaggi dall’aspetto marcatamente giovine, dinamico e accattivante. Che si riflette anche nelle armature: piene di lucette al neon tipo Fast ‘n Furious, che fanno (facevano) tendenza. Per dire, pure gli scrigni delle armature sono stati sostituiti da fashionissime medagliette men’s jewelry prêt-à-porter. Le armature che, per magia, vengono fuori dai patacconi appesi al collo di questi quattro tamarri non è manco tutto ‘sto pessimo. Rispetto agli scrigni-zaino portati in spalla come negli anni ottanta magari è pure carina come cosa. Se avesse avuto un senso, però. Al di là della palese intenzione di vendere un’altra tonnellata di merchandising, nel caso il film avesse avuto successo. Quello che non ha per niente senso è il trattamento riservato ad alcuni personaggi. Tipo Milo, il cavaliere d’oro dello Scorpione, diventato inspiegabilmente donna. Cioè, non intendo effeminato tipo Andromeda. Intendo proprio che da Milo è diventato Mila ed è una femmina. Il motivo? Boh! Vattelapesca. Anche Seiya, cioè Pegasus da noi, non ne esce tanto bene da ‘sta Leggenda del Grande Tempio. Dovrebbe essere il protagonista, ma la fretta e la necessità di ficcare tutto, troppo e subito in una tempistica impossibile, lo fa letteralmente a pezzi. Pegasus diventa praticamente tutto: protagonista, spalla comica, risolutore e problematica del gruppo. Figura frammentaria e indefinita, impossibile da identificare caratterialmente. Anche se molto probabilmente il personaggio a cui è andata peggio di tutti è il cavaliere d’oro del Cancro. O per meglio dire, il cavaliere d’oro della Discoteca. Bizzarro incrocio tra un brigante dell’Ottocento con coppola e lupara e un tamarro party-hard che con la testa non è mai tornato da Ibiza. Quindi, a fronte di tutto ciò, è questo che un vecchio fan dei cavalieri avrebbe voluto vedere? Eh, direi proprio di no. Questa, come dire… bizzarra dissociazione tra forma e sostanza, non so se sia a causa del nostro doppiaggio. Non è questione di “pochitto di recalcitranza” o robe del genere. Al contrario, il doppiaggio de I Cavalieri dello Zodiaco – La leggenda del Grande Tempio è un gran lavoro, senza dubbio. Inoltre, è presente l’intero (o quasi) cast di voci storiche: Ivo de Palma, Marco Balzarotti, Tony Fuochi e compagnia bella. Voci che, oltre all’aspetto professionale, personalmente adoro. Ché ci sono cresciuto. Ci sono legato. Ma, forse, chiamare loro per questo progetto non è stata poi tutta ‘sta gran furbata. Nella serie classica de I Cavalieri dello Zodiaco, al di là del fatto che siano passati quasi trent’anni e molti dei doppiatori erano quindi più giovani e con un timbro vocale leggermente diverso, le voci si accordavano con l’aspetto dei personaggi. Per esempio, Phoenix qui sopra, anagraficamente parlando è il più grande fra i cavalieri di bronzo. Ok, bene. Ma ha quindici anni. Quindici, capito? Quindici anni. Ora, non so se rendo l’idea ma, quando il chara design era questo, la voce di un Tony Fuochi su Phoenix ci stava a palla. Ne La leggenda del Grande Tempio invece, i personaggi hanno un aspetto molto più infantile. Molto più in linea con le loro vere età. Perciò, tanto per fare un esempio, vedere un Sirio il Dragone ragazzino, che parla con la voce di Balzarotti, o magari Lady Isabel, scolaretta di sedici anni ma con la voce di Dania Cericola, fanno un effetto da posseduto dal demonio che levati. Per la serie: non è mai troppo tardi per uscire da questo corpo. I Cavalieri dello Zodiaco – La leggenda del Grande Tempio, sia quel che sia, resta un film veramente sottotono, se non addirittura pessimo sotto molti punti di vista. Certo, ci sono degli spunti carini e idee niente male. Tipo il Grande Tempio, per dire. Negli anni Ottanta era una specie di tristissimo complesso di casermoni popolari, spogli e grezzi. Qui è diventato una sorta di luogo ultraterreno. Etereo. Collocato fuori dal tempo e dalla realtà. Forse un po’ troppo in stile Final Fantasy, ma comunque gradevole. Questo non basta a far passare sopra ai troppi difetti e a cose come Saga di Gemini con l’armatura gialla e nera, tipo Ape Maya-du gust is megl che uan. I brividi solo a pensarci. Ebbene, detto questo credo che sia tutto. Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro. Navigazione articoli L’IMPORTANZA DEL REGISTA DOPO I TAGLI A DE PALMA DARK CITY, IN ITALIA SENZA IL DIRECTOR’S CUT