Siamo a Torino quasi un secolo fa. Il capo morale della Goliardia, lo sappiamo già, è Ovidio Borgondo “Cavur, oppositore e satireggiatore del regime mussoliniano, tuttavia alla fine del 1927 il Guf (Gioventù universitaria fascista) indice un concorso per una nuova rivista goliardica, che avrebbe interamente finanziato e organizzato.
La commissione esaminatrice era composta dallo scrittore Curio Mortari, Blanc il musicista, Sandro Bicci direttore della compagnia Camasio-Oxilia, Raffaello Lombardi, vice segretario politico del Guf, Pino Valle, che poi diventerà ginecologo e professore alla facoltà di medicina di Roma, Livio Malfettani e lo scenografo Sergio Maffei.

Chi aveva ispirato e quasi imposto nel Guf la rivista goliardica era stato Livio Malfettani, che non senza darsi un po’ di arie era il factotum delle organizzazioni studentesche di quei tempi, succedendo a Giglio Ferrando.

L’8 Gennaio 1928 questa commissione esamina i testi e le canzoni, che alla loro presenza sono state suonate e cantate dagli stessi autori, e decide che la rivista vincitrice è Fra gonne e colonne, degli autori Mario Albasio, Norberto Bobbio, Renzo Laguzzi e Riccardo Morbelli, con musiche di Norberto Caviglia. Ma essendovi dei buoni pezzi anche nella rivista giudicata seconda, viene salomonicamente deciso di inserire alcuni brani musicali di La corte dei miracoli, musicata da A. Bottero e scritta da Gino Michelotti e… Guido Martina.

GUIDO MARTINA DALLA GOLARDIA A TOPOLINO
Sul palcoscenico di “Tra gonne e colonne” Ovidio Borgondo truccato da donna, e Guido Martina dietro a lui, secondo a sinistra



Norberto Bobbio, figlio di un luminare della scienza medica, non aveva ancora compiuto vent’anni, diventerà professore di Filosofia del diritto e nel dopoguerra filosofo neoilluminista, storico liberal-socialista, senatore a vita e candidato alla presidenza della repubblica nelle elezioni del 1992.
Renzo Laguzzi sarà avvocato, ma anche critico di spettacolo, romanziere e poeta.

GUIDO MARTINA DALLA GOLARDIA A TOPOLINO
Sullo stesso palcoscenico il diciannovenne Norberto Bobbio, poi famoso filosofo e politologo



Riccardo Morbelli lo conosciamo già: proveniva da Orsara Bormida, paese sui primi rilievi delle colline acquesi in provincia di Alessandria, era il più anziano di tutti con i suoi quasi ventuno anni e studiava giurisprudenza
Norberto Caviglia, cugino di Bobbio, studiava medicina per diventare dentista.

Guido Martina, nato a Carmagnola (in provincia di Torino) nel 1906, dall’età di 16 anni risiedeva a Torino per terminare il liceo e iscriversi poi a lettere e filosofia.      

Dopo la laurea, Martina lavorerà in Francia come soggettista e regista. Durante la Seconda guerra mondiale sarà ufficiale di cavalleria. Passerà due periodi di prigionia: prima viene catturato dagli inglesi e poi nuovamente fatto prigioniero dai tedeschi in Austria.

Nel dopoguerra lavorerà per l’albo di Topolino edito da Mondadori. Sarà tra i primi in Italia a creare storie per i personaggi disneyani, che verranno disegnate da artisti italiani, primo tra tutti Angelo Bioletto, già famoso per le figurine dei Quattro moschettieri dalle trasmissioni radio di Nizza e Morbelli.

Sceneggiato da Guido Martina e disegnato da Angelo Bioletto, nel 1949-50 viene pubblicato a puntate su Topolino L’inferno di Topolino, cioè la “grande parodia” della Divina Commedia. Con Topolino al posto di Dante, Pippo stralunato Virgilio, Paperino arrabbiatissimo Farinata degli Uberti.
Un professore di liceo tuffato nel fango dello Stige come Filippo Argenti, viene fatto a pezzi dai dannati. Le streghe della matematica, della grammatica e della geografia e gli autori latini da tradurre, come Cicerone, sono bersagliati dagli scolari con pagelle accartocciate e calamai.

Dall’Inferno di Topolino: il professore è Filippo Argenti



Ogni vignetta del fumetto è commentata da didascalie in rima a burlesche terzine dantesche. Ecco qualche rima di Martina:

Come nel primo canto v’ebbi a dire/ in una selva oscura mi trovai/ che nel pensier mi fa rabbrividire./ Quivi sospiri, pianti ed alti guai/ parole d’ira e suon di man con elle/ sì che pareva d’esser in tranvai…/ Nel quale il passegger vede le stelle/ imperocché viene compresso al punto/ che dalle fauci gli escon le budelle !/ Ma poi che fui ai piè d’un colle giunto/ ove finia la valle maledetta/ che m’avea di paura il cor compunto/ alzai lo sguardo e, giusto dalla vetta, vid’io calare in corsa ratta e folle/ un tal che pedalava in bicicletta./ Tosto che innanzi a me fermarsi volle/ con parolette dolci e faccia lieta/ gridommi: “Benvenuto a questo colle./ Io son nomato Pippo e son poeta/ or per l’inferno ce ne andremo a spasso/ verso un’oscura e dolorosa meta:/ Laggiù poi pregheremo satanasso/ acciocché sia con noi tanto cortese/ da farci uscir dal doloroso passo”./ Indi una mano fra la sua mi prese/ con lieto volto, e con parole alate/ aggiunse: “Vieni, andiamo a quel paese”.
Io cominciai: “Poeta, che è quel ch’i’ odo ?/ Parvemi di sentire un fischio asmatico”./ Ed egli a me: non vedi ? È stato un chiodo/ che mi s’è conficcato in un pneumatico./ Per la miseria ! Con le gomme a terra/ il nostro andar diventa problematico.

Tra la folla dei dannati c’è anche una donna, riconoscibile dall’acconciatura a chignon e il reggiseno



Quale poté essere l’ispirazione della parodia dantesca? Nel 1932, Ovidio Borgondo “Cavur” aveva scritto e messo in scena la rivista goliardica Va’all’inferno, dove i goliardi accompagnavano Dante Alighieri nel viaggio di oltretomba.

Dalla rivista “Va’ all’Inferno”: Cavur (a destra) sorregge Dante brillo



Grande successo di pubblico che Martina rispolverò in chiave disneyana, ottenendo un nuovo successo sotto forma di fumetto e l’inizio di un genere tutto italiano, le “grandi parodie” di Paperino e Topolino. C’è anche da notare, forse, una successiva ispirazione fumettistica con il “buon diavolo” Geppo nell’inferno dantesco.

La crudeltà nelle storie di Guido Martina…



Nei decenni successivi molte saranno le storie disneyane scritte da Guido Martina, anche se questo autore piemontese non amava la famiglia dei paperi. Paperon de Paperoni, ideato da Carl Baks, era gretto ed egoista, e non esitava ad abbandonare i suoi parenti per tenersi tutto il malloppo.
Paperino era sadico verso i nipoti Qui Quo Qua e per un nonnulla li puniva fustigandoli con una sferza o una canna.

Guido Martina scrisse anche le storie western di Pecos Bill, stampate sugli Albi d’Oro dal 1950 al 1955, con i disegni di famose penne del fumetto italiano come Raffaele Paparella, Antonio Canale, Pier Lorenzo de Vita, Rinaldo D’Ami, Francesco Gamba, Gino d’Antonio e Dino Battaglia.
Il personaggio aveva grandi frange sui lati dei pantaloni. Non tutti i disegnatori apprezzavano questa caratteristica grafica, e la chiamavano “le tagliatelle”. Tuttavia il cowboy con le “fettuccine” ebbe un grande successo, mentre in quel periodo Tex Willer restava ancora in secondo piano.

Come mi riferiva Luciano Bottaro, Martina passò i suoi ultimi anni in una villa a Rapallo a picco sul porto della città ligure, ma morirà a Roma nel 1992.


(Testo: La Goliardia, Ovidio Borgondo “Cavur”, Roberto Chiaramonte editore Torino, 2004).

 

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