Grano rosso sangue (Children of the Corn) è un film del 1984 tratto dal racconto lungo I figli del grano di Stephen King. Il racconto/romanzo, uno dei più vecchi dell’autore, venne pubblicato per la prima volta nel 1977 sulla rivista Penthouse. Più o meno un annetto dopo, I figli del grano, insieme a molti altri racconti come Quitters, Inc., Camion e Il compressore (da cui poi sono stati tratti rispettivamente i film L’occhio del Gatto, Brivido e The Mangler), venne inserito nell’antologia A volte ritornano. Questo è tutto molto bello e interessante, però, pensandoci un attimo, fa sorgere una domanda: perché le storie di Stephen King al cinema non riescono ad avere la stessa fortuna che hanno su carta? Cioè, perché in un modo funzionano e nell’altro no? Grano rosso sangue inizia con il piccolo Job che, in un elegante spiegone molesto, ci parla di Gatlin. Piccola città rurale costruita a ridosso tra il niente e il niente, che vede la sua fonte di sostentamento nell’agricoltura. Principalmente del mais. Perciò, è lecito il fatto che l’intera città sia circondata da campi di granturco a perdita d’occhio. Succede che un anno il raccolto, con il conseguente guadagno, è andato tutto all’aceto. Presa coscienza della grave situazione, gli abitanti corrono ai ripari. Ovviamente nel modo più equilibrato e ragionevole possibile: pregare un dio pagano affinché conceda loro un raccolto abbondante. A questo punto fa la comparsa Isaac (John Franklin). Un ragazzino (non è vero, dopo vi spiego il perché) a capo di una strana setta di giovani adepti, il cui credo è incentrato sull’adorazione di “Colui che cammina fra i filari”. Il pippone naturalmente non si ferma, continuando a raccontarci su come Isaac, alla testa del culto, professando bizzarri rituali plagi per bene tutti i ragazzini di Gatlin, i quali insorgono con i loro attrezzi agricoli e massacrano tutti gli abitanti adulti. Questo perché uno dei dogmi fondamentali di “Colui che cammina fra i filari” è che i suoi adoratori non abbiano oltre diciannove anni d’età. Finalmente, terminata la filippica, facciamo un salto avanti di tre anni e conosciamo Burt (Peter Horton), neo-laureato in medicina, e Vicky (Linda “Sarah Connor” Hamilton). Coppietta di giovani yuppie che si prepara a trasferirsi a Seattle, dove Burt inizierà il suo nuovo lavoro. Mentre attraversano lo stato del Nebraska, i due arrivano proprio nei pressi di Gatlin. Sulla strada che porta in città, distratti dai bagordi e gozzovigli che stavano a fare in macchina, falciano in pieno un ragazzino. Non sanno che il ragazzino era già morto prima che fosse investito. Ucciso per aver provato ad abbandonare il culto, il suo cadavere era stato lasciato in mezzo alla strada. Tuttavia, siamo in un film degli anni ottanta, giusto? Perciò Burt e Vicky fanno la cosa più giusta in casi del genere: caricano il cadavere nel portabagagli e si dirigono proprio verso Gatlin. Avvicinandosi al paese, la coppia si imbatte in una stazione di servizio gestita da un anziano. Il quale, sotto il giogo di Isaac, è l’unico adulto rimasto in vita per fare, come dire… il “bidello” della città. Infatti, il suo compito è fuorviare tutti quelli che potrebbero arrivare a Gatlin. C’è un punto che non mi è chiarissimo. Perché fare ennemila ore di spiegone inutile per poi ripiegare su sequenze come questa per allungare il brodo? Mi spiego meglio: nonostante il vecchio faccia il suo compito come ordinato, viene comunque ucciso dai bambini senza motivo. La backstory di Grano rosso sangue è sviluppabile in molti modi. Modi di sicuro più efficaci. Per esempio, avrebbe avuto molto più effetto se rivelata poco alla volta, con l’avanzare dei protagonisti. In modo tale da aumentare il senso d’immedesimazione degli spettatori, inconsapevoli di quanto stia accadendo, inconsapevoli come Vicky e Burt. Invece no. Meglio eliminare subito qualsiasi sorpresa. Spiegare bene tutto quello che è successo e poi fiaccare tutto il film di sequenze pesanti e alquanto inutili. Comunque sia, una volta arrivati in città, Burt e Vicky scoprono che il paese è deserto. Perciò, come ogni cristiano sano di mente farebbe, anziché andarsene, per ore si barcamenano alla disperata ricerca di un telefono. Alla fine della fiera, dopo essersi imbattuti proprio nel piccolo Job e sua sorella, entrambi desiderosi di fuggire da Gatlin, Isaac e il suo culto, finalmente Grano rosso sangue entra nel vivo di quello che dovrebbe essere un pallido tentativo d’intreccio. I bambini incattiviti rapiscono Vicky per sacrificarla, Burt va alla riscossa per tentare di salvarla. C’è persino una specie di sottotrama con Isaac e il suo braccio destro, Malachia (Courtney Gains), che provano a organizzare una sorta di colpo di stato. Non credo ci sia bisogno di andare oltre, perciò arriviamo al classico “Domandone”: com’è Grano rosso sangue? Pure con film vecchi come il mondo non parlo mai dei finali, a parte rari casi. E Grano rosso sangue è uno di questi. D’altra parte non so se si possa parlare di “spoiler” con roba che ha quasi quarant’anni sul groppone. A ogni modo, il film è invecchiato male. Molto male. Oltre ad andare per frasche prendendo una distanza siderale dal romanzo originale, ne stravolge completamente il senso. Proviamo a riassumere la questione in pochi, semplici punti. 1) Grano rosso sangue è a grandi linee un romanzo breve, nel quale Burt e Vicky non sono una coppietta felice che si sta trasferendo per lavoro. In realtà, i due stanno in crisi sul filo della pernacchia a rischio sputo. Il viaggio lo stanno intraprendendo per andare in terapia di coppia. 2) L’incidente con il cadavere del ragazzino e l’arrivo a Gatlin è il medesimo in entrambe le versioni. Salvo il fatto che nel romanzo la reazione di Vicky è decisamente più credibile. Resasi conto del fatto che ci sia qualcosa di strano, terrorizzata prega Burt di andare via. Burt però è un rincoglionito, litiga come al solito e lascia Vicky in macchina continuando a esplorare la città. 3) Nel film alla fine i due si salvano, lasciano Gatlin e, per di più, si portano appresso pure Job e la sorellina. Nel romanzo invece, la vicenda è simile fino allo snodo in cui Vicky viene rapita. Dopodiché: A – Vicky fa la fine di tutti gli altri abitanti del paese, sacrificata al dio pagano che i ragazzi adorano. B – Burt viene ucciso proprio dalla creatura definita “Colui che cammina fra i filari”. All’inizio mi chiedevo perché Grano rosso sangue, come la maggior parte delle opere di Stephen King, nel passaggio dalla carta allo schermo non funzioni. Ripeto in continuazione che media diversi significano linguaggi diversi. Naturale che ci siano strutture, regole e, soprattutto, tempi narrativi diversissimi fra racconto scritto e racconto visivo. Perciò non è il caso di sottolineare questa ovvietà. Oltretutto è ancor più ovvio il bisogno di apportare le necessarie modifiche affinché la diegesi scorra lineare. Questo è un conto, ok? Stravolgere tutto è un altro. A essere onesti, Grano rosso sangue non è tutto da buttare. Sì, sicuramente è ignorante forte, così come colmo di sequenze inutili e con tutte quelle idiosincrasie tipiche dei film di quegli anni. Ma alcune cose bisogna ammettere che sono azzeccate. Vedi il personaggio di Isaac, per esempio. Tra parentesi, come dicevo sempre all’inizio, l’attore che interpreta Isaac, John Franklin, all’epoca del film aveva la bellezza di venticinque anni. Il suo aspetto da dodicenne è dovuto a una strana patologia legata all’ormone della crescita, che lo fanno sembrare un bambino. Resta il fatto che il racconto di King è del 1977 e, con tutti i suoi quasi quarant’anni sul groppone, resta godibile e incredibilmente attuale. Visti anche i temi che tratta di sponda, come il fanatismo o quello delle sette. Ricordiamoci che solo l’anno prima c’era stata la strage di Jonestown. Che per chi non lo sapesse, si trattava di una setta di fanatici religiosi fondata dal pastore Jim Jones, il quale alla fine, in pieno delirio, organizzò un suicidio di massa rituale in cui morirono quasi mille persone. Il film, invece, butta tutto al risciacquo forzato: la vera forza della fede, nessun accenno al matrimonio fallito dei protagonisti, un lieto fine oltremodo stonato e in netta contrapposizione al romanzo. Più o meno vale quanto dicevo nelle due righe su IT: la stragrande maggioranze delle opere di Stephen King è inadattabile. Perché King è bravo a scrivere. Ma a scrivere tanto, però. I suoi romanzi sono stracolmi di dettagli e descrizioni. I suoi romanzi sono così apprezzati per via del suo approccio omnidimensionale in cui, di solito, la “storia dell’orrore” è semplicemente un aspetto superficiale. Grano rosso sangue con le sue atmosfere lovecraftiane di certo non è un’opera complessa e articolata come It. Ma ha indubbiamente i suoi momenti. Mentre il film è… fiacco. Fatto quasi a tirar via. Fondamentalmente, i creepy children sono un tema abbastanza sfruttato fin dagli anni cinquanta. Ne Il giglio nero (The Bad Seed) del 1956, oppure Il villaggio dei dannati del 1960, tanto per dirne un paio. Grano rosso sangue non apporta e non aggiunge niente al genere. Sorge spontanea la domanda: perché rimaneggiare un romanzo valido che riesce a sopravvivere allo scorrere del tempo, in favore di una carrellata di va be’? Ebbene, detto questo credo che sia tutto. Stay Tuned, ma sopratutto Stay Retro. Navigazione articoli UNCHARTED E I PREDATORI DELL’ADATTAMENTO PERDUTO NOTHING BUT TROUBLE, NIENT’ALTRO CHE GUAI PER DAN AYKROYD