A volte la storia prende i toni della fiaba. C’era una volta una principessa, Giulia, dell’illustre famiglia dei Gonzaga duchi di Mantova, appartenente al ramo dei signori di Sabbioneta. Per convenienza politica e di finanza, nel 1526 venne fatta sposare tredicenne a Vespasiano Colonna, romano, ardito militare ma di 33 anni più vecchio, zoppo e senza una mano essendo stato seriamente ferito in battaglia. Neppure due anni dopo Vespasiano muore. Nel suo testamento lascia i propri cospicui averi alla giovane moglie, ma se Giulia si risposasse, le terre, i feudi ed i denari passerebbero alla figlia di primo letto Isabella. Sarà così che la giovane vedova si stabilirà nel castello di Fondi (in provincia di Latina) crescendo in bellezza e in fama, tenendo una splendente corte dove riceve e aiuta gli artisti e i letterati dell’epoca rinascimentale. Tra tutti costoro, ha degli amanti? Così si suppone, ma di nascosto per non dare motivo di contestazione dell’eredità dei Colonna. Tanto viene lodata, lusingata e corteggiata che si guadagna l’appellativo di donna più bella d’Italia. Mal gliene incoglie perché c’è chi non la considera una gentildonna ma una appetitosa preda. C’era una volta un feroce pirata saraceno, capudan (gran capitano) Kair ed Din soprannominato Barbarossa (tingeva i suoi peli con l’henné). La sua figura ispirerà un fumetto di Jean Michel Charlier disegnato da Victor Hubinon, ma nella parodia di Goscinny e Uderzo i fortissimi Asterix e Obelix affonderanno regolarmente la sua nave. Barbarossa è il bey di Algeri, una specie di governatore militare dell’Algeria in nome dell’impero turco ottomano e principale organizzatore della pirateria barbaresca nel mar Mediterraneo. Le sue fulminee incursioni terrorizzano le coste dalla Spagna all’Italia ai Balcani, inoltre mantiene un rapporto segreto ma privilegiato con il re di Francia. La notte dell’8 agosto 1534 la flotta di Barbarossa approda nella spiaggia tra Terracina e Sperlonga, e con una rapida marcia i guerrieri saraceni si portano a Fondi, che viene presa del tutto di sorpresa, invasa e saccheggiata. Svegliata d’improvviso, Giulia balza dal letto dove dorme nuda per il caldo estivo, non ha il tempo di vestirsi, si copre sommariamente con un lenzuolo. Per fortuna c’è con lei un uomo; costui non si perde d’animo. I pirati sono già nel castello, con agilità l’uomo fa calare la Gonzaga da una finestra, afferra due cavalli, vi fa salire la principessa e sprona al galoppo sottraendosi dai nemici. Una leggenda insinua che quel suo accompagnatore, un giovane scudiero, approfitta di lei troppo provocante perché seminuda, ma non è verosimile. Nella realtà Giulia raggiunge il paese di Campodimele, altro feudo dei Colonna, dove potrà rivestirsi ed essere tenuta al sicuro. La galoppata avrebbe coperto la distanza di 14 chilometri, percorribile in meno di mezz’ora da un cavallo lanciato a velocità. Ancora la leggenda dice che Giulia farà uccidere il suo supposto stupratore, ma in realtà si presume che lo scudiero fu premiato per il suo coraggioso salvataggio, anche se forse poi allontanato per evitare maldicenze sull’aver visto e toccato troppo. Malgrado il bottino fatto a Fondi, Barbarossa rimane deluso. La sua impresa aveva come meta il rapimento della bella Gonzaga, da portare in dono al suo signore, il sultano ottomano Solimano detto il Magnifico. Se per ipotesi il saraceno fosse riuscito nella sua ardita impresa, Giulia avrebbe perso la propria libertà, ma nell’harem del palazzo del Topkapi ad Istambul non sarebbe stata meno onorata come principessa, e Solimano era un uomo grande, forte e vigoroso, che toccava appena i 40 anni, e avrebbe soddisfatto molto meglio la giovane donna costretta in Italia alla vedovanza ed alla castità almeno apparente. Nello stesso tempo c’era un giovane monaco novizio, Dionigi Galeni, nato da poveri contadini calabresi di Motta sant’Agata a Reggio Calabria, oggi distrutta, che Barbarossa rapisce nel 1536 a Capo Rizzuto e lo mette al remo delle sue galere. Essendosi poi convertito all’Islam, Dionigi Galeni entra a far parte delle ciurme barbaresche. Per il suo coraggio e la sua intelligenza viene apprezzato sia da Barbarossa che dal suo successore Dragut, e quando quest’ultimo rimane ucciso nel 1565 durante l’assedio dell’isola di Malta, Galeni viene nominato bey di Algeri, continuando le scorrerie e le rapine. Ha preso il nuovo nome di Alì, soprannominato Uluc, che in turco significa proprio “il rinnegato”. Ma la sua origine cristiana si fa sentire. Nel 1571 alla battaglia di Lepanto porta la propria flotta in combattimento con quelle di Alì Pascià, ammiraglio della flotta turca, e di Mohammed Scirocco, capo della flotta egiziana. Quando però le flotte cristiane di Spagna, Venezia e Genova hanno la meglio, al contrario degli altri comandanti che vogliono combattere fino all’ultimo per “guadagnare il paradiso dei guerrieri musulmani” Uluc Alì ordina la ritirata, riuscendo così a salvare trenta delle sue navi, preziose per continuare la pirateria, infatti nel 1575 riuscirà a catturare lo spagnolo Miguel de Cervantes, l’autore del Don Chisciotte, già combattente a Lepanto, che farà liberare cinque anni dopo con il pagamento di un riscatto. Nominato grande ammiraglio di tutte le forze marittime ottomane, Dionigi Galeni si occupa della ricostruzione della flotta, evitando così l’attacco e l’occupazione dei paesi musulmani. Si stabilisce in un palazzo ancora esistente presso Istanbul, che fa chiamare Nuova Calabria, perché malgrado la sua fortunata carriera guerresca, che l’aveva fatto diventare potente, ricco e famoso, rimpiange i luoghi della sua infanzia, povera ma serena. Nei suoi ultimi anni (muore nel 1587) Dionigi Galeni progetta di trasferire la pirateria nell’oceano, come già facevano i corsari inglesi, autorizzati dalla regina Elisabetta I a depredare i galeoni spagnoli carichi dell’oro del Messico e del Perù. Lo scetticismo nella corte del sultano farà fallire l’iniziativa, ma il tempo gli darà ragione. Quando nel 1604 il re inglese Giacomo Stuart improvvidamente licenzia i suoi corsari chiamati i “cani del mare”, costoro si trasferiscono con le loro navi ad Algeri, e in accordo con i bey successori di Uluc Alì continuano gli arrembaggi contro i mercantili spagnoli. E la principessa ? Non sentendosi più sicura a Fondi trasferisce la sua corte a Napoli. Qui rimane per il resto della vita, per lo più ritirata presso un convento di monache. Ma dopo il 1566, data della sua morte, l’inquisizione si impadronirà delle sue carte, e verrà fuori che la principessa ha preso sotto la sua protezione gli intellettuali italiani simpatizzanti per i protestanti come Pietro Carnesecchi. Il papa Pio V, attivo eliminatore di eretici, esclamava che l’avrebbe voluta voluta bruciare sul rogo se fosse stata ancora viva. E Carnesecchi l’aveva già fatto giustiziare. E adesso un fumetto di Adriano Imperiale ci farà tornare a quei giorni… Navigazione articoli IL BACIO SENSUALE DI HAYEZ NOVEMBRE 2024: MINNI DIVENTA CAPITAN MARVEL