Tre autori attivi nella prima metà degli anni sessanta, gli ultimi del Vittorioso, non sono certo da considerarsi “minori” rispetto a quelli che abbiamo trattato dettagliatamente negli articoli precedenti, inoltre appartengono al gruppo che assicura al settimanale il grosso della produzione di fumetti (autoconclusivi e non). Di Gino D’Antonio ho già scritto qui. È uno degli autori più “americani”, a proprio agio con le storie di ambientazione contemporanea. Ma è anche abile nei “kolossal” in costume, in questo somigliando un po’ al grande Gianni De Luca. L’ultimo exploit di Gino D’Antonio sul Vittorioso, prima di passare alla Bonelli (all’epoca Cepim) con la celebre Storia del West, è infatti lo storico Alessandro. Ruggero Giovannini è stato una delle colonne del Vittorioso, fin dalla ripresa postbellica, nel 1945. Il suo Jim Brady, pubblicato in quell’anno, è forse il primo eroe del settimanale di taglio “moderno”, che si rifà apertamente alla scuola americana del fumetto realistico e noir. Anche lui, al crepuscolo del Vittorioso, si impegna con ambientazioni medievaleggianti. La disfida è un episodio affascinante, soprattutto per certe suggestioni “magiche”. Ma l’avventura di Giovannini, prima di passare con successo ad altri lidi (principalmente Il Giornalino, ma anche il Corriere dei Piccoli), si conclude con un “realistico” Oro Proibito. Raffaele Paparella, attivo fin dagli anni trenta, è fra gli autori più colpevolmente trascurati (e sottovalutati) del fumetto italiano, e sì che è stato attivissimo, non solo sul Vittorioso. Ha lavorato, per esempio, al Pecos Bill mondadoriano del 1949. A proprio agio con ogni tipo di ambientazione, da quelle più moderne alle storie in costume, Paparella sa dipingere con abilità grandi vignette “panoramiche” dense di minuti particolari, ma è maestro anche nelle scene d’azione. Gli esempi che riporto di seguito credo siano eloquenti. Il grande giornalismo per ragazzi Probabilmente dopo il 1962 è la proprietà del Vittorioso a impedire alla redazione di tornare agli antichi fasti fumettistici: d’altronde un cambiamento radicale è alle porte, e si respira aria di smobilitazione. Domenico Volpi e il suo staff investono tutte le energie nella parte redazionale, che si fa sempre più agguerrita, moderna e sorprendentemente avanzata. Non viene persa occasione per sottolineare l’importanza della memoria storica recente, con una “copertura” di ricorrenze fondamentali come il 25 aprile e la firma della carta costituzionale. È davvero notevole che l’articolo riprodotto qui sopra sollevi una polemica a cui i redattori non si sottraggono affatto. Notate l’alto livello di civiltà della seguente nota redazionale, quasi certamente scritta da Volpi. Quale altro giornale per ragazzi, nel 1965-1966, dimostrava una simile coscienza civile? Lo farà solo il Corriere dei Ragazzi, diversi anni dopo, in un contesto radicalmente mutato. Il Vittorioso, giornale cattolico e ritenuto a torto o a ragione “di destra” (certamente non si sottrae alla logica dei gruppi contrapposti, in epoca di guerra fredda), affronta con coraggio anche pagine nere della storia sociale italiana. Naturalmente, viene privilegiato il lato ottimistico della cronaca, con ampio spazio al progresso tecnologico e scientifico. Ma lo si fa sempre con grande sensibilità e intelligenza. Nel 1964, si comincia a parlare di Luna: l’ufficio stampa della Nasa inonda le redazioni di tutto il pianeta con particolari già avanzati sul progetto Apollo. Il Vittorioso offre ai propri lettori informazioni reali e documentate: un anticipo di ciò che vedremo, ahimè non più sul Vittorioso, nel luglio del 1969. La guerra nel Vietnam, lacerante per le coscienze non solo americane e foriera di terribili divisioni ideologiche in tutto il mondo, non è ignorata: Franco Caprioli è incaricato di dare le coordinate geografico-politiche. Gli ultimi fuochi de Il Vittorioso Gianni De Luca ha abbandonato il Vittorioso (e i fumetti in generale) già dal 1959, e per il settimanale è stata una perdita gravissima: era difatti, stilisticamente, il più dotato fra i disegnatori “naturalistici”, come Jacovitti lo era fra quelli “pupazzettistico-avventurosi”. Dedicatosi con straordinari risultati all’illustrazione, tornerà al fumetto solo alla fine degli anni sessanta su Il Giornalino: ma da quel periodo, e fino alla prematura scomparsa, sarà tra i più grandi (e avanzati, dal lato espressivo) autori italiani. A differenza della gran parte dei suoi colleghi appartenenti alla schiera “autoriale”, non abbandonerà il mondo dell’editoria per ragazzi, riservando a quel pubblico le sue a volte sconvolgenti sperimentazioni grafico-narrative (come il ciclo shakespeariano). La sua vetta artistica è senz’altro Il commissario Spada, edito fra il 1969 e il 1982. Nel 1962, Gianni De Luca torna sul Vittorioso con alcune copertine, splendide ancorché sporadiche. Anche Sebastiano Craveri, nell’ultimo anno del settimanale, torna con alcune tavole: Ma è Jacovitti a sparare, in quel triste 1966, l’ultimo gran fuoco artificiale. Si chiude Come abbiamo visto, la crisi del Vittorioso accelera improvvisamente dopo il 1962: oltre a Jacovitti e a Craveri, anche Franco Caprioli dirada moltissimo le sue collaborazioni, che si riducono a qualche copertina e a dei pur pregevoli redazionali. D’altra parte, la metà degli anni sessanta, per il Fumetto, è una stagione sia di crisi sia di epocali successi. Con autori del calibro di Romano Scarpa, Giovan Battista Carpi e tanti altri “disney italiani”, il settimanale Topolino raggiunge vette di oltre cinquecentomila copie settimanali vendute. Nel 1965 nasce Linus, che “sdogana” il Fumetto tra i lettori colti. Sulle sue pagine fiorisce la prima stagione del cosiddetto fumetto d’autore, con capiscuola come Hugo Pratt e Guido Crepax. Anche il Fumetto “popolare” gode di ottima salute, con il Tex bonelliano. Il suo contraltare autoriale vive una grande stagione creativa sul Corriere dei Piccoli. E il Vittorioso? La sua crisi, come abbiamo visto, ha radici antiche, e l’abbandono delle grandi firme ne è più una conseguenza che una causa. Qualcuno, molto più in alto di Domenico Volpi e della sua affiatata redazione, ha probabilmente deciso che Il Vittorioso non è più utile nel contesto di una battaglia ideologica, in cui il fumetto è solo una delle possibili armi: quindi, se le vendite non sono in grado di reggere da sole la pubblicazione, è inutile fornire sovvenzioni extra. Se le cose sono andate davvero così, stupisce che il settimanale sia sopravvissuto per altri quattro anni. Il 1963-1966 è infatti un periodo di grande difficoltà: si ricorre a una pletora di ristampe, riciclando perfino le copertine degli anni cinquanta di Jacovitti, in cui le date, accanto alla firma, vengono cancellate, aggiornate oppure a volte lasciate pari pari. Nel 1965, la redazione ci regala una riedizione de Le Babbucce di Allah, un capolavoro di Costa e Jacovitti. Ne approfitto per mostrarvene una tavola, che in precedenza ho riprodotto malamente. Perfino le copertine celebrative dei primi e degli ultimi numeri di ogni annata, da sempre affidate ai grandi maestri (soprattutto Jac) e realizzate con gran fasto, sono adesso tristi collages di ristampe. Si tenta di nuovo la carta del fotoromanzo, dandogli perfino l’onore della copertina. Una strizzata d’occhio al “bondismo”, che nel 1966 è già imperante. Torna sporadicamente la prima pagina a fumetti: un tempo appannaggio di Craveri, Caesar e Jacovitti, adesso ospita perfino alcune serie di riempitivo. A volte, anzi, sembra che venga impaginato quello che capita sottomano. Per il resto, molte copertine fotografiche, anche interessanti e con riferimenti a scottanti argomenti di attualità. Nel 1963, un articolo sulla segregazione razziale negli Stati Uniti e uno sull’Unione Europea, gettano sull’apparato giornalistico del Vittorioso una luce di impegno civile. Ma anche il galoppante consumismo reclama i suoi spazi, con pubblicità a piena pagina e redazionali di supporto. La musica è ormai protagonista del settimanale, specialmente con Lo Zecchino d’oro. Fino al 1965 alla manifestazione canora organizzata dall’Antoniano di Bologna è dedicato ampio spazio, con alcune splendide copertine di Gianni De Luca che ritraggono I popolarissimi Mago Zurlì (Cino Tortorella) e Richetto (Peppino Mazzullo): Poi si abbandonano i bambini per passare agli adolescenti. E proprio la musica è il mezzo di “aggancio” delle nuove generazioni. Si cerca di “cavalcare” i nuovi idoli giovanili, a cominciare dai cantanti di successo e dagli attori televisivi. C’è una rubrica di novità discografiche, in cui si parla anche dei Beatles e dei Rolling Stones: nella pagina seguente, si recensisce brevemente lo storico album Revolver dei Beatles. Un lettore coglie l’essenza della swinging London. Mentre anche l’industria aggredisce il mercato dei quattordicenni. E naturalmente non manca lo sport, da sempre una delle colonne del settimanale. Una rubrica di libri si occupa anche delle prime ristampe filologiche di fumetti d’epoca! Il volume di Braccio di Ferro, segnalato con tanto di copertina, fa parte della leggendaria serie Garzanti de L’età d’oro del Fumetto, è il primo a riproporre in modo consapevole e perfino filologico l’immortale serie di Elzie C. Segar. È una delle primissime volte che si parla esplicitamente di collezionisti di fumetti: l’anno è il 1966, c’è già stata la prima Lucca, e Linus pubblica articoli sul comicdom internazionale. In mezzo a questa gran messe di rubriche, intelligenti, informative, curiose e drammatiche, che farebbero pensare a un periodico vivo e vitale, manca qualcosa di fondamentale, ovvero i grandi fumetti dei grandi autori, com’era sempre stato nella lunga storia del Vittorioso. I lettori ne sono pienamente consapevoli e li reclamano. La redazione ammette tutto quanto, più o meno tra le righe di varie risposte. Ma c’è ben poco da fare. Ormai è stata decisa in alto loco la trasformazione radicale del giornale, che si trasformerà in rivista con il primo numero dell’anno 1967. Intanto, però, la diffusione del settimanale, com’è naturale, scende progressivamente fino a livelli minimi. Tra i miei personali ricordi di assiduo frequentatore delle edicole, nel 1966 non c’è traccia del Vittorioso! La redazione pianifica un radicale restyling del settimanale e si prepara all’epocale cambiamento. A metà del 1966, il colpo di scena: la proprietà decide di liquidare non solo la vecchia formula del “giornale”, ma anche lo staff, quasi al completo, e di riedificare il periodico su basi completamente nuove. È un colpo evidentemente imprevisto. Cade anche Domenico Volpi, il “redcap”, l’anima del Vittorioso da decenni, che saluta con struggente malinconia i lettori. Avete letto che amarezza, nelle frasi di Volpi? Non tanto nell’editoriale, quanto nelle risposte ai lettori. C’è perfino una stoccata niente male al direttore responsabile… Ecco l’ultima copertina. E così, esattamente trent’anni dopo il suo esordio (meno una settimana), Il Vittorioso chiude i battenti. In realtà, almeno ufficialmente, l’avventura come si è detto prosegue sul Vitt (1967-1970), con la stessa numerazione della storica testata. Nel 1967, Il Vittorioso diventa Vitt rinunciando alla testata degli anni trenta ormai fuori moda. Come il concorrente Corriere dei Piccoli, nella seconda metà degli anni sessanta Vitt pubblica soprattutto materiale franco-belga, con una piccola percentuale di fumetti italiani. Il Corrierino però appare più ricco e comunque il vero vincitore risulterà Topolino, con i suoi fumetti “americaneggianti”. Aumenta anche la diffusione degli albi “tutto fumetto” della Bonelli e Diabolik. Gli autori del Vittorioso si trasferiscono soprattutto su Il Giornalino, settimanale cattolico più ordinario, ma ben distribuito dalle parrocchie di alcune zone d’Italia. Tra questi ci sono Gianni De Luca, Franco Caprioli e Sebastiano Craveri. Jacovitti inizialmente finisce sul Corriere dei Piccoli, per andare poi anche lui su Il Giornalino – NdR (Gli altri articoli di Giornale POP dello stesso autore, dedicati alle prime riviste a fumetti italiane, li trovate cliccando QUI). Navigazione articoli TOM & PONSI – 59 MATITE BLU 165