Nell’articolo sono presenti alcuni SPOILER necessari al fine della disanima dell’opera cinematografica.


 

La tela deformata della realtà

È raro, nel corso della storia del cinema, imbattersi in un film che riesca a spostare i confini della narrazione, della scenografia e della percezione visiva in modo tanto radicale quanto Il gabinetto del dottor Caligari (Das Cabinet des Dr. Caligari, 1920). Più che un semplice film muto, questa pietra miliare dell’Espressionismo tedesco è un viaggio claustrofobico nei recessi contorti della psiche umana e, insieme, un attacco al potere e alla manipolazione esercitata in nome dell’autorità.
La vicenda si apre con un prologo apparentemente pacato: due uomini parlano su una panchina. Uno dei due, Francis, comincia a raccontare una storia che ha dell’incredibile. Il tono si fa subito inquieto, e ciò che segue è un racconto in flashback che disgrega progressivamente ogni certezza. In una cittadina fittizia chiamata Holstenwall, una festa itinerante giunge portando con sé uno spettacolo bizzarro: il misterioso Dr. Caligari presenta al pubblico Cesare il sonnambulo, capace — afferma — di predire il futuro.
Quel che inizia come un freak show si trasforma in un incubo. A ogni apparizione di Cesare, segue un delitto. I sospetti si addensano intorno alla figura del Dottore e del suo assistente addormentato, ma la verità, come il film ci ricorda nel finale, è solo un altro livello di illusione. Niente è ciò che sembra. E se tutto fosse solo la narrazione di un pazzo?
La grande intuizione dei creatori del film — Carl Mayer e Hans Janowitz, sceneggiatori, insieme alla regia di Robert Wiene e alla visione plastica dei tre scenografi Hermann Warm, Walter Reimann e Walter Röhrig — è stata quella di concepire un’opera che trasforma l’ambiente in uno specchio della follia. Le linee spezzate, le prospettive impossibili, le ombre dipinte direttamente sulle pareti, le strade contorte e angolose: l’intero mondo di Caligari è un sogno febbrile reso concreto. Ma chi sta sognando?

Il gabinetto del dottor Caligari

Il doppio fondo del racconto: tra delirio e struttura

La struttura del film è un meccanismo a trappola, una macchina narrativa perfetta che gioca con lo spettatore in modo sottile e diabolico. Se la superficie sembra aderire a una storia gotica (uno scienziato folle, un assistente zombificato, una serie di omicidi notturni, una fanciulla in pericolo), la verità è che il cuore pulsante del film risiede nell’ambiguità. Ogni atto del racconto aggiunge un nuovo strato di tensione. Alan, l’amico di Francis, è ucciso dopo che Cesare ha predetto la sua morte. Il tentato omicidio di una donna e il suo salvataggio portano a un sospetto che si rivela una falsa pista. Jane, la giovane donna contesa tra i due amici, è al centro di un crescendo drammatico che culmina in un rapimento da parte di Cesare. Tutto sembra costruito con logica stringente, eppure ogni evento pare scivolare in un’irrealtà sempre più compatta.
Quando Francis scopre che il Dr. Caligari è in realtà il direttore di un manicomio e ha usato Cesare come strumento per compiere omicidi, sull’esempio di un antico mistico del XVIII secolo, tutto sembra trovare un ordine. Ma è l’epilogo a destabilizzare definitivamente ogni verità. Finito il flashback, Francis viene mostrato come un paziente dell’ospedale psichiatrico, Jane come una folle, Cesare come un semplice internato silenzioso. E Caligari? È ora il direttore dell’istituto, apparentemente premuroso e lucido. Il ribaltamento è completo.
Questa chiusura, spesso definita come un twist ante litteram, non è solo una trovata narrativa, è una riflessione filosofica sulla percezione, sulla relatività della verità, sulla natura della follia. La domanda finale non è Chi è pazzo?, ma piuttosto: È possibile distinguere davvero il normale dal folle quando ogni forma di rappresentazione è distorta?. Il film non risponde. Al contrario, insinua un dubbio che permane ben oltre la visione.

L’estetica della mente: scenografia e messa in scena

Se la narrazione è il cuore del film, la sua pelle e i suoi muscoli sono senz’altro il comparto visivo. L’espressionismo cinematografico, di cui Caligari è forse la più famosa incarnazione, prende qui una forma assoluta. I fondali dipinti a mano non cercano di simulare il reale ma lo deformano, lo reinquadrano secondo l’angoscia dei personaggi. Le strade sembrano grondaie di legno, le finestre tagli di coltello, i mobili strutture in bilico. È come se il mondo esterno fosse riflesso in uno specchio frantumato.
Il merito principale va attribuito a Hermann Warm e ai suoi collaboratori Reimann e Röhrig, influenzati dall’arte figurativa tedesca dell’epoca, in particolare dalla pittura espressionista. L’idea di Warm era quella di creare non semplicemente scenografie, ma ideogrammi visivi, segni simbolici, quasi astratti, che comunicassero una verità interiore più che esterna. Questo approccio si integra perfettamente con il soggetto, in quanto lo spettatore è chiamato a entrare non in uno spazio fisico, ma nella mente del narratore. Una mente disturbata, ossessiva, oppressa dalla figura autoritaria di Caligari.
A livello registico, Robert Wiene eredita un impianto già fortemente strutturato (Fritz Lang, inizialmente designato alla regia, contribuì in modo determinante a ideare l’espediente del racconto incorniciato nel manicomio) e lo guida con sapienza, pur senza un vero e proprio stile personale. La regia è al servizio dell’insieme: tutto nel film obbedisce a un disegno coerente, a un sistema chiuso e alienante dove il tempo sembra curvarsi su se stesso e ogni gesto è predestinato.

Caligari e oltre: autorità, controllo e paura del potere

Non bisogna dimenticare, infine, che Il gabinetto del dottor Caligari è anche un film politico, in senso lato. Nella figura di Caligari — che è al tempo stesso imbonitore, medico, ipnotizzatore e assassino per interposta persona — si concentra una critica sotterranea ma lucida all’autorità incontrollata. Mayer e Janowitz, reduci dalle macerie della Prima guerra mondiale e testimoni dei primi fermenti autoritari nella Repubblica di Weimar, concepirono il personaggio come un simbolo dell’abuso di potere in ambito amministrativo, militare, sociale e psichiatrico. D’altra parte, Cesare (il sonnambulo), è un corpo usato, uno strumento obbediente, privato di volontà. È, a tutti gli effetti, una metafora dell’uomo sottomesso a un’autorità che ne spegne l’identità. Il fatto che Cesare sia anche una figura tragica — vittima oltre che carnefice — rende il quadro ancora più inquietante. La forza di Caligari sta nella sua ambiguità. Rappresenta insieme il male assoluto e la faccia razionale del potere scientifico. La medicina, in mano sua, diventa controllo, repressione, esperimento sociale.
Il finale, con il direttore che dichiara di aver finalmente capito la follia del paziente, suona come una beffa crudele. Chi ha ragione? Il pazzo che accusa l’autorità, o l’autorità che lo definisce pazzo? Il film non si sbilancia ma, anzi, lascia che l’estetica, ancora espressionista anche nei momenti conclusivi, getti un’ombra definitiva sulla possibilità di distinguere tra verità e costruzione.

Una vertigine senza fine

A più di un secolo dalla sua uscita, Il gabinetto del dottor Caligari conserva intatta la sua potenza visiva e concettuale. È un film che ha anticipato temi cardine del cinema moderno: la soggettività del punto di vista, l’inattendibilità del narratore, il sospetto nei confronti del potere costituito. Ma è anche un’opera che ha saputo sintetizzare, come poche altre, l’intreccio tra forma e contenuto. La follia di Francis, l’ossessione di Caligari, l’inconsapevolezza tragica di Cesare, tutto è riflesso, amplificato e deformato da un ambiente che è mente e gabbia insieme.
Nessuna risposta, solo domande. Nessuna via di fuga, se non attraverso lo stesso incubo da cui si vorrebbe scappare. Il film è ancora oggi una prigione elegante e spaventosa in cui siamo tutti intrappolati, spettatori ipnotizzati di uno spettacolo che non finisce mai.

ALLUCINATORIO…

 


Il gabinetto del dottor Caligari
(Das Cabinet des Dr. Caligari, 1920)

regia: Robert Wiene

sceneggiatura: Carl Mayer, Hans Janowitz

fotografia: Willy Hameister
scenografia: Hermann Warm, Walter Reimann, Walter Röhrig
musiche originali: Giuseppe Becce
musiche home video: Timothy Brock, Edison Studio

con
Werner Krauss: dottor Caligari
Conrad Veidt: Cesare, il sonnambulo
Friedrich Fehér: Francis
Lil Dagover: Jane Olsen
Hans Heinrich von Twardowski: Alan
Rudolf Lettinger: dottor Olsen
Rudolf Klein-Rogge: criminale arrestato
Hans Lanser-Ludolff: uomo anziano
Ludwig Rex: segretario della fiera
Elsa Wagner: vecchietta

orrore
fantastico
thriller

Decla-Film

b/n
film muto
77 minuti

Germania

1920


 

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