Quando un ventidue anni fa la battuta cominciò a circolare fu un piccolo ordigno esplosivo: “Se è gratis, sei tu la merce” (più esattamente, “If you’re not paying for the product, you are the product”, frase attribuita al giornalista e informatico Andrew Lewis). In internet tutto stava diventando gratuito, la stessa internet per prima. All’inizio, nel 1995 a internet dovevi abbonarti, costava 15.000 lire al mese, avevi mezz’ora di navigazione al giorno a bassissima velocità e comunque la telefonata con il modem la pagavi tu, a nessuno veniva in mente che fosse ingiusto pagare per quel servizio. Poi un giorno una sorpresa, internet diventò gratuita, certo si doveva continuare a pagare il costo della telefonata, che poi è quello che facciamo ancora oggi, con la fibra ottica o il cavo coassiale paghiamo la connessione, non il servizio. Alcuni pensarono: ah che bello, ma la cosa aveva un che di sinistro, perché alla fin fine il dubbio restava, se non pago io, chi lo fa? E la risposta arrivò poco dopo, se è gratis sei tu la merce, non eri più un cliente, eri diventato la merce, venduta ad altra merce, una rivoluzione in questi termini ignorata dagli economisti della Bocconi. Giornale Pop è gratuito, chiunque viene qui e legge quanto vuole, non ci sono neanche quei patetici tentativi di tirar su qualche centesimo, come con Buy Me a Coffee (una azienda che per conto tuo chiede di darti una mancia per quello che fai) o la speranza di fare abbonare le persone con Patreon (che raccoglie soldi per un qualsiasi progetto personale). Paghiamo tutto noi, il server e il tempo. Noi siamo Sauro Pennacchioli e io che gli tengo in piedi il sito, con Angela Ravetta redattrice. Per salvare Giornale Pop dalla catastrofe informatica di un anno fa causata dalla precedente gestione distratta del server ci sono volute trecento ore di lavoro, mio e di Sauro, e ancora c’è molto da re uperare. Sauro non lo so, io lo rifarei. Adesso arriva di sicuro il furbacchione che mi dice: ma chi te lo fa fare?, chi ve lo fa fare? Nessuno, lo facciamo perché esistono cose che si sente che vanno fatte. Io da undici anni mando avanti una webradio che poi spesso è in onde corte che mi è costata finora 3500 ore di lavoro e bollette significative per tenere acceso un server 24 ore al giorno (più il costo dei server, dei NAS, il noleggio dei trasmettitori in onde corte, eccetera). Ma sorpresa, non è la mia radio, sono io il prodotto, perché la mia radio è uno dei tanti canali di una azienda tedesca, loro mi danno un indirizzo di streaming, pagano i diritti, io produco i programmi e loro incassano i soldi della pubblicità. Ascoltatori? Qualche decina al giorno, e quei pochi mi pongono comunque tra le mille webradio più ascoltate in Germania, il che la dice lunga sull’attuale concetto di successo. Chi me lo fa fare? Ammetto, agli inizi te lo fa fare la speranza ingenua di emergere, sai di produrre qualcosa di buono e pensi che esponendolo, a un certo punto per qualche motivo qualcuno noterà la tua bravura, competenza, cultura, simpatia, intelligenza, affidabilità, serietà, una tua qualità qualsiasi. Ma la disillusione è rapida; la verità è che nessuno nota niente, perché sei uno dei tanti milioni e centinaia di milioni di coglioni che regalano il loro tempo a google, a Microsoft, a Zuckerberg e compagnia bella. Allora perché non mollare? È ovvio che non ha senso andare avanti, è frustrante. Però mollare vuol dire chiudere Giornale Pop con i suoi 8.000 articoli e dunque vuol dire buttar via il lavoro di tanti autori che senza chiedere niente in cambio hanno scritto pezzi che se pubblicati su un periodico da edicola qualche anno fa sarebbero stati pagati anche 350 euro l’uno, quelli migliori. E noi non sputiamo sul lavoro delle persone. Vuol dire chiudere una radio costruita con decine di migliaia di dischi di cui almeno un terzo comprati proprio per offrire una programmazione il più possibile interessante: la gente mi scrive e mi domanda dove trovare i dischi che sente, “che su Spotify non ci sono“. Vuol dire suicidarsi culturalmente; e forse anche dover ammettere di non esistere è troppo insopportabile, ma Google e amici suoi lo sanno benissimo e non hanno niente di cui preoccuparsi. E quindi si va avanti. Ma non è giusto ed è un aiuto verso la catastrofe. Molti, moltissimi si lamentano che i fumetti sono in crisi, che sono brutti, o che la musica di adesso è proprio mediocre. Quanti di voi cari fumettomani sarebbero disposti a spendere 10, 15 euro al mese per comprare una bella rivista di fumetti? O una nuova rivista antologica di splendidi fumetti americani anni Cinquanta inediti in Italia? 15 euro?!, ma se con 10 euro al mese posso vedermi migliaia di film su Netflix o Amazon! Il discorso peraltro non ha neanche più senso perché il fumetto è morto, stecchito, definitivamente, e questo perché si è interrotta una linea temporale. Sono esistite generazioni di fumettisti, professionisti che senza aver frequentato alcuna scuola si sono passate di mano il mestiere lungo i decenni, poi è arrivata internet con il tutto gratis, un terremoto, confusione, e questo tramandarsi della tecnica grafica, del senso del fumetto, della conoscenza della sua storia, dell’esperienza si è interrotto. Poi si è ripreso in parte, ma quella mancanza momentanea di ossigeno dirottato verso l’ipertofia degli smartphone e degli orrendi social è stata fatale, perché i giovani aspiranti disegnatori e autori hanno perso il contatto di cui prima, forse sanno qualcosa della storia del fumetto, ma non lo sentono come una cosa propria, non hanno idea di chi fosse Fortunello, degli artifici di traduzione di Bristow, vedono solo linee grafiche semplificate spesso capolavori del Kitsch, disegnano solo supereroi o donnine nude perché non hanno strumenti cognitivi per capire Krazy Kat o Pogo, ma oggi nessuno di loro riuscirebbe neanche a intravedere quell’Alan Ford che tiene banco da decenni, troppo semplice per le loro alte aspirazioni culturali, loro vogliono i pallosissimi Moebius e Crepax. Vedo ogni tanto i lavori prodotti da ragazzi delle varie scuole di fumetto, alcuni sono carini, ma è tutta roba già stravista e loro probabilmente non lo sanno perché non hanno passato la giovinezza a leggerli, i fumetti, e poi sono solo vignette usa e getta, non ci sono storie, non c’è una idea grandiosa, un progetto in divenire di una serie, di un’epopea come quella di Asterix o della caserma di Beetle Bailey, nessun disegno che rimanga impresso per tutta la vita come il volto di Fra Salmastro da Venegono. Abbondano gli omaggi a, mediocri anche se fatte bene espressioni grafiche di una aridità interiore difficilmente recuperabile, soprattutto con tutti quelli che commentano su Facebook che bello!, bravo! Bravo una cippa, il tuo disegno è orrendo e vuoto. E il dibattito finto intellettuale si sposta sulla intelligenza artificiale, qualcuno o qualcosa da incolpare anziché ammettere la propria distrazione mentre ti sfilavano il mondo da sotto i piedi. Quando vi lamentate perché i fumetti che girano sono mediocri, perché i libri che girano sono spesso brutti ma proprio brutti, dovreste domandarvi se non è colpa vostra e nostra. Internet ha modificato la percezione del valore della conoscenza, non la rete in quanto tale ma chi la governa, che ha svilito definitivamente il valore del lavoro intellettuale, già prima poco considerato di suo e ora portato a zero. Ma voi vi siete opposti? No, perché era così`bello avere tutto gratis. Vedo gente che non ha mai visto un lavoro grafico fatto bene, non ha mai contemplato una bella copertina, non ha mai studiato le perfezioni delle linee geometriche dei ponti sospesi, gente così che da un giorno all’altro si mette a disegnare volantini o poster, progetta stand fieristici per roba culturale, imposta libri scientifci, tanta roba fatta malissimo, vergognosa: la conseguenza dell’aver dichiarato che chiunque può disegnare o fare grafica senza neanche aver mai visto una pagina di Little Nemo o aver letto i princìpi del concetto grafico di Kandinskij. L’ha dichiarato internet, affermando che chiunque ha diritto, anzi un dovere alla visibilità, sì, e come scovi l’unico bravo in mezzo a milioni di derelitti che non sanno chi fosse Konrad Wachsmann o Plantin? Vi siete opposti al degrado? No, perché finalmente anche i mediocri avevano un posto al sole anche se il sole artificiale di Facebook, e ad altri mediocri non pareva vero di poter giudicare pubblicamente qualsiasi cosa, dalla Torre Eiffel alla microbiologia molecolare. Dal punto di vista teorico è stata risolta con la famosa democrazia della rete, uno vale uno, almeno fin quando non si cerca un bravo chirurgo e allora lo si paga una fortuna piuttosto che andare da quello che capita passato dalla mutua. Solo che se muori sotto i ferri ti accorgi che il chirurgo non era granché, mentre che il progetto grafico del programma di un concerto è fatto col culo non se ne accorge nessuno, perché anche ai committenti mancano ormai gli strumenti. Possibile che nessuno si sia accorto, neanche un magazziniere, che quanto scritto sul coperchio di decine di milioni di barattoli dello yogurt non vuol dire assolutamente niente? “… ci impegniamo per piacerti sempre di più, come il nuovo Yomo fragole…”: chissà che volevano dire, peccato perché lo yogurt è buono La parte commerciale della cultura, giornali, periodici, case discografiche, eccetera, ha reagito maldestramente alla nuova situazione facendosi prendere dal panico e scegliendo la strada più facile, quella dell’annichilimento e della speranza in un miracolo. La tipografia che aveva stampato per decenni libri fatti bene ha visto assottigliarsi il fatturato e ha accettato di stampare giornaletti pornografici (accadeva spesso nei tardi anni Novanta), morendo strapiena di debiti con l’avvento dello streaming porno. Editori che non vendono più abbastanza per sopravvivere minacciati dai milioni di libri di libero anche se a spesso illegale download in rete diventano editori a pagamento e invadono il mercato di porcherie illeggibili scritte da velleitari che mai avrebbero trovato un vero editore disposto a pubblicarle. Quegli editori sono così tanti che non ci sono abbastanza velleitari per tutti, e chiudono sperando di salvare i risparmi di una vita. Le notizie di attualità più o meno si raccattano in rete, senza firma, senza autorevolezza, e i quotidiani cercano di recuperare lettori pubblicando gossip, provate a sfogliare il “Corriere della Sera”, pagine e pagine sul delitto di Garlasco, interviste a soubrette, opinioni su opinioni su qualsiasi argomento, il nulla pieno di refusi. Ma in qualche modo i quotidiani hanno ragione: quando Sauro mi propone di inserire il termine “erotico” nei titoli dei podcast, gli ascolti triplicano, e gli articoli con la parola “delitto” nel titolo sono un successo assicurato. E il pubblico qualificato? Quello non dedito a stanco onanismo geriatrico? Quello si perde, e i loro figli sono giá perduti e tutti si regolano su notizie in rete che nessuno firma, nessuno verifica, nessuno si domanda se siano propaganda o rispecchino la realtà, e se qualcuno dice qualcosa di diverso è un piantagrane da odiare tanta è l’angoscia, anche se inconsapevole, che provoca la nuova incertezza. Ormai i giochi sono fatti e ci vorranno forse secoli per ricostruire un mondo culturale di estensione e qualità pari a quelle di trent’anni fa. Però, mentre attendiamo una nuova età dell’oro, per favore piantatela di lamentarvi per il declino del fumetto, per il declino della letteratura, per il declino della fotografia, per il declino di qualsiasi cosa. Siete stati voi, siamo stati noi a mandare in rovina tutto questo, in cambio del download di qualche fumetto o qualche libro digitalizzato da persone che diffondendoli pensano di opporsi all’establishment, pensano di contribuire a una rivoluzione culturale. Forse maoista: se Goscinny non fosse stato pagato a peso d’oro, non avremmo avuto Asterix, e infatti oggi non esiste nessun Asterix. Siete stati voi gongolando per il miliardesimo tramonto fotografato con il telefonino, ma che bello, meraviglioso, sei bravissima! E tanti saluti alle fotografie di Vincenzo Aragozzini, ma più terra terra anche a quelle di Ansel Adams. Giornale Pop resterà in piedi, ma se un giorno Giornale Pop chiuderà non mettetevi a scrivere commenti addolorati sui social, perché la verità è che nessuno di voi, e dico nessuno sarebbe mai disposto a tirar fuori un euro al mese per questa pubblicazione, o lo fareste un paio di mesi spinti da subitaneo senso del dovere in rapido esaurimento. Ma in fondo avrete ragione, basterà cercare un’altra pubblicazione qualsiasi per passare il tempo sul water, l’offerta è sterminata. Poi poco importa che Pennacchioli sia un giornalista di enorme esperienza e che io abbia fatto siti web e libri per quarant’anni, anche scrivendoli al posto di chi li firmava, il vostro gusto si sarà così impoverito che vi andrà bene anche ChatGPT che oggi disprezzate. Però, almeno, già da oggi per favore piantatela di lagnarvi che la qualità delle cose non è più quella di una volta. Ciao. Andrea Antonini Il presente articolo riguarda solo la mia personale visione, benché citato, Sauro Pennacchioli ha probabilmente altre idee e non ho inteso tirarlo dentro. Navigazione articoli PODCAST: TRUCCARE UN MOTORINO NEGLI ANNI SETTANTA LE VITI CON STANDARD SAE J429 PER RESTAURARE LA JEEP
Posso comprendere questo articolo per così dire “polemico”, di Antonini, ma che ci volete fare, “mala tempora currunt”, tentare di opporvisi è inutile e patetico. Non amo particolarmente i fumetti e seguivo Giornale Pop soprattutto per gli altri argomenti trattati (cinema, tv, costume vintage, ecc). Ho notato cambiamenti nell’ultima versione aggiornata e corretta del sito, anche negativi (alcuni argomenti meno trattati in favore di più fumetto, molti meno commenti (“pensieri” come li chiamate adesso) in calce agli articoli… chissà poi perché…). Personalmente, pur avendo proposto alcune settimane fa a Sauro alcuni articoli da scrivere, non ne ho ancora inviato nessuno anche perché a dir la verità (sarà l’età) mi è decisamente passata la voglia di scrivere in assoluto, e d’altronde non credo che un “désengagé” come me sia utile a Giornale Pop, vista la vostra preoccupazione di far conoscere fumetti e argomenti “di qualità”. Quanto alla “speranza ingenua di emergere” secondo me non bisogna neppure che ti entri nell’anticamera del cervello. O scrivi solo per divertimento personale o dovresti lasciar perdere! La via di mezzo non esiste. Statemi bene. Rispondi
i fumetti sono un argomento aggregante, ma non rappresentano una linea editoriale; quella è un fenomeno emergente creato da chi manda gli articoli; Rispondi
Quanta roba! Un sacco di riflessioni (condivise , per la maggior parte). Ogni paragrafo andrebbe commentato e sarebbe spunto di riflessione a se’ stante. Se uno ci credesse ancora che discutendo pubblicamente si possano cambiare le cose o “risvegliare le coscienze” , come si soleva dire una volta. O forse semplicemente la Pigrizia. Comunque grazie per il mammozzone, Antonini. Per i dati e l’esperienza raccontati. C Rispondi
Io pagherei volentierissimo anche 10 euro al mese per un mensile cartaceo come Giornale Pop. Il casino poi sarebbe trovare un edicola aperta, ma tant’è. Rispondi