Anche se in casa i figli ci fanno sfruttare i loro abbonamenti a Netflix e altro, per pigrizia mia (e, tutto sommato, disinteresse) guardo solo quel che passano quella trentina di canali tv gratuiti, e recupero un po’ di robe su RaiPlay e MediasetInfinity, con qualche sporadica occhiata a RakutenTv. Così ho atteso con tutta calma che il trittico di film di Diabolik dei Manetti Bros arrivasse in Rai, i primi due qualche mese fa e il terzo in questi giorni, per vedere cos’avevano combinato i due registi. Naturalmente, nel frattempo avevo già letto qui e là commenti e recensioni. Fuori tempo massimo, ecco dunque anche il mio parere di (ex) lettore di Diabolik, spettatore distratto e addetto ai lavori dell’editoria. L’impressione è che i Manetti abbiano deciso, forse con l’idea di aderire più adeguatamente al personaggio, di fare dei film “come se” fossero stati fatti negli anni sessanta. E bisogna dire che il compitino è stato svolto al meglio. “Diabolik” sembra infatti un film di quell’epoca con tutti, ma proprio tutti i difetti di quelle produzioni: inquadrature banali, tempi teatrali, fotografia sbiadita, inseguimenti soporiferi, dialoghi didascalici, recitazione piatta. Per quello che riguarda gli attori, bene Mastandrea che riesce a essere (nei limiti dell’operazione) un convincente Ginko; molto in parte, soprattutto come physique du rôle, Miriam Leone nei panni di Eva Kant, inadatto da tutti i punti di vista Luca Marinelli/Diabolik, inevitabilmente sostituito nel secondo capitolo della trilogia. Il primo film riprende la trama dell’episodio con l’arresto di Diabolik e l’incontro con Eva Kant, che a sua volta riprendeva quello della cattura ed esecuzione di Fantomas che sto leggendo in questo periodo. Una curiosità: il trucco per salvarsi dall’esecuzione escogitato da Allain e Souvestre, un tubo di gomma infilato in gola, anziché le sorelle Giussani (che pure, per le prime storie del loro criminale avevano saccheggiato tranquillamente i libri del Re del Delitto francese) lo copiò in quegli anni Luciano Secchi/Max Bunker su Kriminal. Per il resto, nulla da aggiungere per questa pellicola al giudizio generico scritto sopra sui film dei due fratelli. Il secondo film non si discosta molto dal primo. Con l’arrivo di Giacomo Gianniotti migliora la presenza scenica del protagonista, ma la new entry Monica Bellucci nei panni di Altea di Vallenberg fa sprofondare la godibilità della pellicola con l’abituale, inascoltabile recitazione. Pessima anche la gestione della trama, con Eva Kant che si finge bloccata tra le rocce e viene abbandonata dal compagno, ma quando arriva Ginko è di nuovo improvvisamente in grado di muoversi e fuggire gettandosi nel fiume! Le cose migliorano un po’ con il terzo e ultimo capitolo della serie, “Diabolik chi sei?”. La fotografia è meno smorta, e anche se la recitazione soprattutto dei componenti della banda dei rapinatori continua a essere pesantemente “da anni sessanta”, la trama riesce a coinvolgere un po’ di più e il racconto della giovinezza di Diabolik realizzato con un efficace bianco e nero tiene in piedi tutto il film. Perfetto anche, nella parte del Diabolik ventenne, il giovane Lorenzo Zurzolo, che ha finalmente volto e recitazione adeguati al ruolo. Con qualche anno in più sulle spalle, potrà essere l’interprete giusto per eventuali nuovi film sul Signore del Crimine. L’impressione finale è quella di un’operazione nata su presupposti infelici che forse avrà fatto contenti i più tradizionalisti lettori della prim’ora, ma ci lascia con un prodotto davvero poco esportabile nelle attuali condizioni e convenzioni di mercato. Purtroppo la cinematografia italiana sembra non volere (o potere, per mancanza di mezzi, intelligenze e competenze) percorrere la strada dei film di genere adeguandosi a ritmi e tecnologie a cui ci hanno abituati le produzioni di altri paesi e che pure, senza andare troppo lontani, troviamo in nazioni come la Francia. Navigazione articoli IL TAGLIAERBE PORTATO IN TRIBUNALE DA STEPHEN KING